La ceretta di Occam di Beatrice Mautino
biotecnologa, giornalista e comunicatrice scientifica. Tra i suoi libri
più recenti Il trucco c’è e si vede (Chiarelettere, 2018)
98 Le Scienze 6 15 novembre 2019
Si fa presto a dire naturale
Il settore dei cosmetici «ecobio» è in forte crescita
ma è un universo ancora variegato e confuso
C
hi frequenta il mondo dei cosmeti-
ci lo sente nominare in continuazio-
ne. Stiamo parlando di quello che è
chiamato «ecobio», un settore in continua cre-
scita, ma per il quale non esiste una defini-
zione condivisa fra produttori e consumato-
ri. Per tastare il polso della situazione, ho fatto
un sondaggio fra i miei lettori chiedendo agli
utilizzatori di cosmetici ecobio di dirmi quale
fosse, per loro, il significato della parola. Ho ri-
cevuto poco meno di 5000 risposte in 24 ore
e, senza pretese statistiche o velleità sociolo-
giche, ho provato ad analizzarle.
Prima la salute
Il primo dato che è emerso è una divisione
abbastanza netta fra chi attribuisce all’ecobio
caratteristiche «eco», quindi legate all’impat-
to ambientale e chi lo fa invece per la propria
salute. Per i due terzi delle persone un cosme-
tico ecobio è un cosmetico «che rispetta l’am-
biente ed è pensato come eco-friendly» e per
qualcuno l’ecobio è addirittura «una scelta so-
ciale e politica». Il restante terzo compra pro-
dotti ecobio perché pensa che siano più sicu-
ri e salutari.
Per verificare quanto le proporzioni di que-
sti due blocchi fossero consistenti, ho chiesto
alle stesse persone se nello scegliere un co-
smetico si affidassero di più alle certificazioni
(che in genere puntano sull’aspetto ambienta-
le) o agli ingredienti (che in genere sono ana-
lizzati per questioni di salute) e la situazione si
è ribaltata: il 72 per cento ha dichiarato di ba-
sarsi sugli ingredienti, mentre solo il 28 per
cento ha detto di scegliere prodotti certificati.
Quindi, probabilmente, nel mio campione, la
percentuale di chi compra ecobio per l’am-
biente è sovrastimata, mentre quelli che lo
fanno per motivi di salute sono di più di quelli
che lo esplicitano.
Scorporando i due blocchi troviamo sot-
togruppi interessanti. C’è chi definisce eco-
bio come «100 per cento naturale», chi invece
lo identifica con la biodegradabilità di ingre-
dienti e prodotti.
Nel blocco di chi compra ecobio per moti-
vi di salute, l’elemento più eclatante è la fre-
quenza di parole che si rifanno al mondo del
«senza». Ecobio è «senza nichel», «senza test
su animali», senza la triade di «petrolati, para-
beni e siliconi», «senza composti chimici» o,
più in generale, «schifezze».
Nuove linee guida
Peccato che il termine «ecobio» formal-
mente non esista. I cosmetici che afferiscono
a questo universo sono più variegati che mai
e ci ritroviamo con decine di enti privati che
competono per conquistare il mercato propo-
nendo ognuno un disciplinare diverso, ognu-
no con le proprie liste di ingredienti ammessi
e proibiti e con percentuali minime differenti
di ingredienti di origine naturale o da agricol-
tura biologica.
Cercare di fare un confronto fra i vari disci-
plinari è un’impresa titanica. Ci si perde nei
numeri e nelle definizioni e sembra che gli en-
ti facciano a gara a chi è il più puro.
Un tentativo di ordine è stato fatto proprio
nei mesi scorsi dalla ISO, l’ente indipenden-
te affiliato all’Organizzazione mondiale del
commercio che ha il compito di stilare nor-
me internazionali. Dopo dieci anni di lavoro
ha emesso la ISO 16128, una linea guida che
permette di misurare la «naturalità» e la «bio-
logicità» di un prodotto usando un metodo e
calcoli comuni a tutti con un approccio radi-
calmente differente da quello delle certifica-
zioni classiche. Per la ISO 16128, infatti, non ci
sono ingredienti proibiti, né si fa distinzione
in base al processo produttivo, entrambe ca-
ratteristiche che hanno fatto infuriare gli en-
ti certificatori.
È ancora presto per dire se questo sistema
prenderà piede, ma di sicuro sta dando una
bella scossa all’universo ecobio e obbligherà
le aziende a fare i conti. Letteralmente.