Internazionale - 01.11.2019

(Ron) #1

Europa


I


n questi giorni ricorrono i sessant’anni
dalla prima richiesta di adesione pre-
sentata dalla Turchia alla Comunità
economica europea. C’è voluto quasi
mezzo secolo prima che il paese ottenesse
lo status di candidato e avviasse, nel 2005,
le trattative per entrare nell’Unione euro-
pea. L’obiettivo dell’integrazione, tuttavia,
è ancora lontano. La recente decisione del-
la Commissione europea di non approvare
l’avvio delle trattative per l’adesione con la
Macedonia del Nord e l’Albania è il segnale
che forse anche i sei stati dei Balcani occi-
dentali (oltre ai due citati, Serbia, Bosnia
Erzegovina, Kosovo e Montenegro) stanno
andando incontro allo stesso destino di
eterni candidati.
La Francia, i Paesi Bassi e la Danimarca
sono sempre meno propensi a sostituire il
Regno Unito in uscita dall’Unione con i pa-

esi dei Balcani occidentali. Sostengono che
prima servono riforme per rendere l’Euro-
pa più forte e unita e che solo in seguito si
può parlare di allargamento. Ma il punto di
vista di Parigi e di Bruxelles non tiene conto
delle esigenze della regione. La decisione
della commissione, per esempio, ha asse-
stato un duro colpo agli equilibri politici
della Macedonia del Nord. Bisognerà poi
valutare le conseguenze per l’Albania e per
i paesi dell’Europa orientale già entrati
nell’Unione e convinti sostenitori di un
nuovo allargamento. La sensazione è che le
riforme di cui ha parlato il presidente fran-
cese Emmanuel Macron siano uno stru-
mento per isolare ulteriormente i paesi
dell’est.

Moneta di scambio
In Macedonia del Nord, il premier Zoran
Zaev sperava di convocare elezioni antici-
pate a dicembre, ma poi ha accettato un
rinvio all’aprile del 2020. Attaccato dall’op-
posizione nazionalista della Vmro-Dpmne,
Zaev voleva andare rapidamente al voto per
evitare di perdere troppi consensi. Per far
approvare il cambio del nome del paese da
Macedonia a Macedonia del Nord, il pre-
mier aveva cercato l’appoggio dei partiti

Le speranze tradite


dei Balcani


Con la decisione di rimandare
i negoziati per l’ingresso
dell’Albania e della Macedonia
del Nord nell’Unione europea,
Bruxelles rischia di perdere peso
politico nell’Europa sudorientale

Zoran Daskalović, Novosti, Croazia


GEoRGI LICoVSKI (ANSA)


Skopje, Macedonia del Nord, 18 ottobre 2019 della minoranza albanese, concedendole in
cambio maggiore autonomia. Se il premier
dovesse uscire indebolito dalla urne, il vec-
chio conflitto tra i macedoni e la comunità
albanese potrebbe riaprirsi, soprattutto se
anche in Albania si assisterà a una crescita
dei sentimenti antieuropei. Nonostante in
passato avesse flirtato con l’idea della Gran-
de Albania, l’attuale premier albanese Edi
Rama da tempo si dice favorevole a un’unio-
ne degli albanesi attraverso l’adesione di
tutti gli stati dei Balcani occidentali
all’Unione europea.
Ma il vincitore delle ultime elezioni in
Kosovo, Albin Kurti, leader del partito
Vetëvendosje! e possibile futuro premier,
sostiene invece che l’unificazione naziona-
le degli albanesi può avvenire esclusiva-
mente in una federazione tra Kosovo e Al-
bania. Già il nome del partito (che in italia-
no significa “autodeterminazione”) rivela
chiaramente le sue priorità politiche. E in
effetti i dirigenti di Vetëvendosje! hanno
sempre dichiarato che non si sarebbero sot-
tomessi ai dettami di Bruxelles per quanto
riguarda i negoziati sulla normalizzazione
dei rapporti con Belgrado.
Secondo il presidente serbo Aleksandar
Vučić, il rifiuto dell’Unione di avviare le
trattative con Skopje e Tirana farà diminui-
re la fiducia nelle istituzioni europee anche
in Serbia. “Macron può preoccuparsi
dell’Europa. Noi invece ci preoccuperemo
di noi stessi: risolveremo i problemi della
regione e svilupperemo buone relazioni con
Cina, Russia e Turchia”, ha detto il presi-
dente serbo. Vučić ha poi negato di avere un
“piano b” in caso di mancato ingresso in
Europa, ma ha precisato di non avere nes-
suna intenzione di “mettersi a piangere o a
fare scioperi della fame per convincere Bru-
xelles ad aprire nuovi capitoli del negoziato
di adesione”. La sua opinione è che “non si
può parlare solo di una stanchezza da allar-
gamento”, perché ormai “è evidente che
non si vogliono accogliere nuovi paesi in un
futuro prossimo”. La conclusione è che i
serbi “devono preoccuparsi di se stessi e
concentrarsi sull’obiettivo di raggiungere
un accordo regionale per la libera circola-
zione di merci, capitali, persone e servizi”.
Tutto molto bello e ottimista, ma l’idea
di Vučić di una “autoeuropeizzazione” del-
la regione dopo l’abbandono da parte di
Bruxelles non sembra una prospettiva rea-
lizzabile e in grado stavolta di impedire alle
grandi potenze di usare i Balcani come mo-
neta di scambio. u af
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