Internazionale - 01.11.2019

(Ron) #1
storia. A un livello più profondo, alcuni dei nostri
compatrioti hanno ricordato l’ovvio: il modo in cui
l’occidente percepiva l’Europa centrorientale nel
passato, le differenze culturali e così via.
Per anni era stato facile ridicolizzare un avversa-
rio politico dicendo: “Cosa ne penserebbero in occi-
dente?”. Chiunque fosse capace di creare una nuova
percezione dell’occidente in Polonia potrebbe, in te-
oria, conquistare menti e cuori dei cittadini. Dovreb-
be essere una visione al tempo stesso non postcomu-
nista e non mitica, ma pragmatica: un’immagine
dell’occidente come il luogo naturale della Polonia.
Questo però non cambia il fatto che, oggi, i sostenito-
ri dell’Unione europea in Polonia si trovano ad af-
frontare un compito più difficile di qualunque altro
nella storia della terza repubblica. In Polonia e Un-
gheria abbondano i dibattiti sullo stato di diritto. Ep-
pure già da qualche anno il rapporto con l’occidente
viene messo in discussione dagli economisti che sug-
geriscono di abbandonare l’innovazione imitativa a
favore di un modello nazionale di modernizzazione.
Oggi l’atteggiamento tende a essere molto più prag-
matico che in passato. In questo senso, i paesi dell’Eu-
ropa centrorientale sono già in occidente, perché il
loro atteggiamento è diffuso anche nei paesi occiden-
tali dell’Unione europea.
Ma questo è avvenuto in misura limitata. Sono
passati quasi trent’anni dalla caduta dell’impero so-
vietico, eppure malgrado lo sventolio di bandiere
europee da Lisbona a Tallinn, le due metà del conti-
nente sotto molti aspetti non si sono ancora incontra-
te, soprattutto su questioni che riguardano la memo-
ria collettiva e come viene immaginata la società. Nel
2003, per esempio, in un referendum nazionale qua-
si l’80 per cento degli elettori polacchi si espresse a
favore dell’adesione all’Unione europea. Non molto
tempo dopo, nel 2005, due referendum nei Paesi Bas-

antidoto alla globalizzazione. Ma pur sostenendo che
la democrazia può funzionare solo in un contesto di
stati nazione, Kaczyński scelse di fare riferimento
all’intellettuale tedesco-britannico Ralf Dahren dorf,
liberale ed europeista. Diritto e giustizia elaborò una
posizione politica che Kaczyński ribadì nel suo di-
scorso pre-elettorale del 2015: dobbiamo partecipare
attivamente all’Unione europea per poter essere uno
dei sei stati più importanti al suo interno. Si potrebbe-
ro citare molti altri esempi di affermazioni simili.
Da quando esiste la terza repubblica, o quasi, il
“mondo migliore” che l’occidente rappresenta per i
polacchi è stato più immaginato che analizzato. In un
certo senso, La fine della storia e l’ultimo uomo, il sag-
gio del 1992 del politologo statunitense Francis Fuku-
yama che aveva interpretato il 1989 come la vittoria
definitiva della democrazia liberale e del mercato,
era un’espressione quasi perfetta dello stato d’animo
dei cittadini dell’Europa orientale di allora. La gente
non era particolarmente interessata alla validità
dell’impostazione teorica di Fukuyama o alla sua ca-
pacità di durare. Nei primi anni novanta, molti intel-
lettuali di Varsavia, Praga e Budapest (che oggi maga-
ri sono diventati euroscettici) volevano semplice-
mente che avesse ragione.
Sotto il comunismo, Juliusz Mieroszewski, un
analista politico polacco che viveva in esilio, ci ricor-
dò che la Polonia non appartiene né all’est né
all’ovest. Ma sulla scia di quanto successo nel 1989,
questa considerazione non era certo al primo posto
nei nostri pensieri. Pensavamo invece a come “fuggi-
re dall’est” il più rapidamente possibile, a qualunque
costo. Il resto – programmi politici, decisioni econo-
miche, alleanze militari – erano solo mezzi per rag-
giungere questo scopo. Ma la vita continua. Sono
cresciute nuove generazioni e l’entusiasmo acritico
per tutto ciò che è occidentale è stato relegato alla


PIERLUIgI LONgO
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