La Stampa - 06.11.2019

(Romina) #1

ALESSANDRO BARBERO


V


enti o trent’anni fa,
quando facevo le-
zione all’università
sulla crisi del Tre-
cento, cominciavo
evocando l’unica
grande crisi che a memoria
d’uomo avesse investito il mon-
do in tempi relativamente re-
centi, la crisi del ’29. Oggi, na-
turalmente, evoco la crisi che
stiamo tuttora vivendo, e in
cui i miei studenti in pratica so-
no nati, dato che dura da quan-
do erano bambini. Dopo aver
ricordato che è cominciata nel
2008 e non accenna a finire,
nonostante le menzognere ras-
sicurazioni di economisti e po-
litici, li avverto che non biso-
gna illudersi, perché ci sono
state in passato crisi anche più
lunghe: quella del Trecento è
durata un secolo! A questo
punto, di solito, gli studenti si
mettono a ridere, anche se ma-
gari fanno di nascosto gli scon-
giuri: l’idea di una crisi come
quella attuale che si prolunga
per un secolo è così controin-
tuitiva che sembra più che al-
tro uno scherzo.
In realtà il paragone fra le
crisi del capitalismo moderno
e quella che gli storici chiama-
no la crisi del Trecento serve
soprattutto a scoprire che que-
sta parola, «crisi», in realtà
può indicare fenomeni molto
eterogenei. Nel 1929 come
nel 2008 è stato il crollo della
borsa di New York a dare il via
a una reazione a catena che
ha visto il collasso della bolla
finanziaria, la riduzione dei
consumi, il dilagare della di-
soccupazione e un impoveri-
mento generalizzato. Quan-
do parliamo di crisi del Tre-
cento non intendiamo dire
niente del genere: nel corso di
quel secolo i consumi pro capi-
te non si sono affatto ridotti, la

disoccupazione non si sapeva
neanche cosa fosse, e non c’è
stata nessuna compressione
dei prezzi e dei salari. Ma allo-
ra, in che senso quello è stato
un secolo di crisi?
Il fatto è che ogni sistema
economico dev’essere valuta-
to in base ai suoi parametri e ai
suoi obiettivi; e se facciamo co-
sì scopriremo che c’è un paral-
lelo possibile fra la crisi che in-
vestì l’Europa medievale alle
soglie del Rinascimento e le cri-
si ricorrenti del capitalismo in-
dustriale e finanziario moder-
no. Il parallelo sta nell’arresto
della crescita. Per secoli la so-
cietà del Medioevo era cresciu-
ta, in tutti i sensi possibili: la
popolazione aumentava, e

quindi aumentava la produzio-
ne agricola, perché bisognava
mantenere sempre più gente,
e crescendo la produzione agri-
cola erano aumentati anche
gli scambi, i commerci, la circo-
lazione monetaria. E dunque
erano cresciuti i profitti, sia
quelli dei proprietari terrieri e
dei mercanti, sia quelli prodot-
ti da tasse e gabelle; l’edilizia ti-
rava, città e villaggi si ingrandi-
vano, si aprivano continua-
mente nuovi cantieri. C’era
sempre più gente che sapeva
leggere e scrivere, si produce-
vano sempre più libri, si faceva
ricerca a livello sempre più so-
fisticato, miglioravano le cono-
scenze e le tecnologie: e tutto
questo a un ritmo lentissimo
ma sicuro, e per secoli. C’è da
stupirsi se nel Medioevo regna-
va nell’Europa cristiana un va-

sto ottimismo, la certezza che
il mondo è costruito secondo
un piano razionale e che Dio
ha dato all’uomo gli strumenti
per capirlo e dominarlo?
E poi la crescita cominciò a
incepparsi. Già nel corso del
Duecento, e poi sempre più
spesso all’inizio del Trecento,
si moltiplicano gli anni in cui il
raccolto è cattivo. Il prezzo del
pane sale, arriva al doppio ri-
spetto agli anni normali; e la
folla dei salariati che già in
tempi di abbondanza fanno fa-
tica a dar da mangiare a tutti i
figli deve stringere la cinghia,
e mangiare meno del necessa-
rio, per molti mesi, in attesa
del prossimo raccolto che for-
se, se Dio vuole, andrà bene e
farà scendere i prezzi. Pochi
muoiono davvero di fame, ma
molti muoiono di malattie a
cui sarebbero sopravvissuti se
fossero stati ben nutriti; i bam-
bini dei poveri muoiono più de-
gli altri, e quando sopravvivo-
no crescono rachitici; e se l’an-
no dopo il raccolto è di nuovo
cattivo, la situazione può di-
ventare drammatica. Negli an-
ni fra il 1315 e il 1317, in gran
parte del Nord Europa tre catti-
vi raccolti consecutivi produ-
cono una carestia così spaven-
tosa che nelle strade delle città
si raccolgono davvero ogni
mattina i morti d’inedia.
È evidente che qualcosa era
andato storto. Ma cosa? Oggi
ne sappiamo abbastanza sui
mutamenti climatici per con-
cludere che il clima era impaz-
zito. Dopo secoli di caldo e di
bel tempo stabile, i cronisti ri-
portano continuamente piog-
ge fuori stagione e rovinose
inondazioni. Gli anelli dei tron-
chi d’albero o i rilevamenti nei
ghiacciai confermano che co-
mincia a fare più freddo: sono
le prime avvisaglie della picco-
la era glaciale che attanaglierà

il continente europeo fino
all’Ottocento. E tuttavia, se è
bastato questo per provocare
effetti così catastrofici, signifi-
ca che il sistema era già sotto-
posto a una pressione tale da
non poter sopportare nessuno
sbalzo. L’Europa medievale
era cresciuta troppo, e nono-
stante gli enormi progressi in-
tellettuali e artistici, il progres-
so tecnologico non aveva tenu-
to il passo: per dar da mangia-
re a sempre più gente, la solu-
zione principale era consistita
nel mettere a coltura sempre
più terra.
Oggi noi stiamo diventando
consapevoli che l’acqua o il pe-
trolio non sono inesauribili; i
nostri antenati medievali sco-

prirono che neanche la terra lo
è. Dopo secoli di crescita non
c’erano più nuovi campi da
mettere a coltura, e la produtti-
vità della terra, troppo sfrutta-
ta, cominciava addirittura a di-
minuire. I cattivi raccolti del
primo Trecento colpirono un
mondo in cui c’erano già trop-
pi poveri che anche negli anni
buoni mangiavano appena a
sufficienza, e in cui anche le re-
gioni più produttive non pote-
vano più permettersi di esporta-
re la maggior parte del loro gra-
no. Problemi come i limiti dello
sviluppo e il saccheggio delle ri-
sorse, insomma, si sono manife-
stati anche in una società appa-
rentemente molto più ecologi-
ca della nostra, che non disper-
deva CO2 nell’atmosfera e non
creava buchi nell’ozono. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

ELENA FERRANTE


D


ue anni prima di
andarsene di casa
mio padre disse a
mia madre che
ero molto brutta.
La frase fu pronun-
ciata sottovoce, nell’apparta-
mento che, appena sposati, i
miei genitori avevano acqui-
stato al Rione Alto, in cima a
San Giacomo dei Capri. Tutto


  • gli spazi di Napoli, la luce
    blu di un febbraio gelido,
    quelle parole – è rimasto fer-
    mo. Io invece sono scivolata
    via e continuo a scivolare an-
    che adesso, dentro queste ri-
    ghe che vogliono darmi una
    storia mentre in effetti non
    sono niente, niente di mio,
    niente che sia davvero comin-
    ciato o sia davvero arrivato a
    compimento: solo un garbu-
    glio che nessuno, nemmeno
    chi in questo momento sta
    scrivendo, sa se contiene il fi-


lo giusto di un racconto o è
soltanto un dolore arruffato,
senza redenzione.
Ho amato molto mio pa-
dre, era un uomo sempre gen-
tile. Aveva modi fini del tutto
coerenti con un corpo esile al
punto che gli abiti sembrava-
no di una misura in più, cosa
che ai miei occhi gli dava un’a-
ria di inimitabile eleganza. Il
suo viso era di lineamenti deli-
cati e niente – gli occhi profon-
di dalle lunghe ciglia, il naso
di un’ingegneria impeccabi-

le, le labbra rigonfie – ne gua-
stava l’armonia. Mi si rivolge-
va in ogni occasione con un pi-
glio allegro, qualunque fosse
il suo umore o il mio, e non si
chiudeva nello studio – stu-
diava sempre – se non mi
strappava almeno un sorriso.
Gli davano gioia soprattutto i
miei capelli, ma mi è difficile
dire, adesso, quando comin-
ciò a lodarmeli, forse già
quando avevo due o tre anni.
Di certo, durante la mia in-
fanzia, facevamo conversa-

zioni di questo tipo:
«Che bei capelli, che quali-
tà, che luce, me li regali?».
«No, sono miei».
«Un po’ di generosità».
«Se vuoi te li posso presta-
re».
«Va benissimo, tanto non
te li restituisco più».
«Hai già i tuoi».
«Quelli che ho li ho presi a
te».
«Non è vero, dici le bugie».
«Controlla: erano troppo
belli e te li ho rubati».
Io controllavo ma per gio-
co, lo sapevo che non me li
avrebbe mai rubati. E ridevo,
ridevo moltissimo, mi diverti-
vo più con lui che con mia
madre. Voleva sempre qual-
cosa di mio, un orecchio, il
naso, il mento, diceva che
erano così perfetti che non
poteva vivere senza. Quel to-
no lo adoravo, mi provava di
continuo quanto gli fossi in-
dispensabile.
Naturalmente mio padre

non era così con tutti. A volte,
quando qualcosa lo coinvol-
geva molto, tendeva a som-
mare in modo agitato discorsi
finissimi ed emozioni incon-
trollate. Altre volte invece ta-
gliava corto e ricorreva a frasi
brevi, di estrema precisione,
così dense che nessuno ribat-
teva più. Erano due padri mol-
to diversi da quello che ama-
vo, e avevo cominciato a sco-
prire la loro esistenza intorno
ai sette o otto anni, quando lo
sentivo discutere con amici e
conoscenti che a volte veniva-
no a casa nostra per riunioni
molto accese su problemi di
cui non capivo niente. In gene-
re me ne stavo insieme a mia
madre in cucina e facevo po-
co caso a come litigavano po-
chi metri più in là. Ma a volte,
poiché mia madre aveva da fa-
re e si chiudeva anche lei nel-
la sua stanza, io restavo sola
in corridoio a giocare o a leg-
gere, soprattutto a leggere, di-
rei, perché mio padre leggeva

moltissimo, mia madre pure,
e io amavo essere come loro.
Non facevo caso alle discus-
sioni, interrompevo il gioco o
la lettura solo quando all’im-
provviso si faceva silenzio e in-
sorgevano quel - le voci estra-
nee di mio padre. Da quel mo-
mento dettava legge e io
aspettavo che la riunione fi-
nisse per capire se era tornato
a essere il solito, quello con i
toni gentili e affettuosi.
La sera in cui disse quella
frase aveva appena saputo
che non andavo bene a scuo-
la. Era una novità. Fin dalla
prima elementare ero stata
sempre brava e solo negli ulti-
mi due mesi avevo comincia-
to a far male. Ma i miei geni-
tori tenevano moltissimo al-
la mia buona riuscita scolasti-
ca e mia madre soprattutto,
ai primi brutti voti, si era al-
larmata.
«Che succede?».
«Non lo so».
«Devi studiare».
«Io studio».
«E allora?».
«Certe cose me le ricordo e
certe altre no».
«Studia finché non ti ricor-
di tutto».
Studiavo fino allo stremo,
ma i risultati continuavano a
essere deludenti. Quel pome-
riggio, in particolare, mia
madre era andata a parlare
con gli insegnanti ed era tor-
nata molto dispiaciuta. Non
mi aveva rimproverata, i
miei genitori non mi rimpro-
veravano mai. Si era limitata

a dire: la più scontenta è la
professoressa di matemati-
ca, ma ha detto che se vuoi ce
la puoi fare. Poi se n’era anda-
ta in cucina a preparare la ce-
na e intanto era rientrato mio
padre. Dalla mia stanza sentii
solo che gli stava riassumen-
do le lagne dei professori, ca-
pii che per giustificarmi tira-
va in ballo i cambiamenti del-
la prima adolescenza. Ma lui
la interruppe e con una delle
sue tonalità che con me non
usava mai – persino una con-
cessione al dialetto, del tutto
proibito in casa nostra – si la-
sciò uscire di bocca ciò che si-
curamente non avrebbe volu-
to che gli uscisse:
«L’adolescenza non c’en-
tra: sta facendo la faccia di Vit-
toria».
Se lui avesse saputo che po-
tevo sentirlo, sono sicura che
non avrebbe mai parlato a
quel modo così distante dalla
nostra solita leggerezza diver-
tita. Credevano entrambi che
la porta della mia camera fos-
se chiusa, la chiudevo sem-
pre, e non si resero conto che
uno di loro l’aveva lasciata
aperta. Fu così che a dodici an-
ni appresi dalla voce di mio
padre, soffocata dallo sforzo
di tenerla bassa, che stavo
diventando come sua sorel-
la, una donna nella quale –
gliel’avevo sentito dire fin
da quando avevo memoria


  • combaciavano alla perfe-
    zione la bruttezza e la mal-
    vagità. —
    c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI


LE PRIME PAGINE DEL NUOVO ROMANZO DA DOMANI IN LIBRERIA, VOCE NARRANTE UNA RAGAZZINA DEI QUARTIERI BORGHESI DI NAPOLI


Elena Ferrante


“Ho amato molto mio padre”. Ma poi...


“Voci Olimpiche” in concorso per cantare l’”Alcina”


Più di 200 cantanti under 40 da tutto il mondo si sfidano al Teatro Olimpico
di Vicenza per il 1° concorso internazionale «Voci Olimpiche» promosso da
Fondazione Cariverona e realizzato dalla Società del Quartetto. La giuria pre-
sieduta dal maestro Andrea Marcon (foto) selezionerà 15 finalisti che vener-
dì si contenderanno i ruoli dell'«Alcina» di Händel in scena all'Olimpico nell’a-
prile 2020 con l'Orchestra Barocca di Venezia diretta da Marcon.

Addio a Antonutti, “Padre padrone” dei Taviani


A 84 anni nella sua Udine è morto l’attore Omero Antonutti. Tutti lo ricor-
dano per il sodalizio coi fratelli Taviani che gli diedero spazio da protagoni-
sta in «Padre padrone», Palma d'oro a Cannes nel 1977, e ai qualio è poi
rimasto legato, da «Kaos» (1984) a «Tu ridi» (1998). Recitò in tv in «Un
eroe borghese» di Michele Placido e «I banchieri di Dio» di Giuseppe Fer-
rara nel ruolo di Roberto Calvi. Ma fu anche apprezzato attore di teatro.

Storia ed economia


Lezione aperta a Torino


DALL’OTTIMISMO DELLA CRESCITA AL CROLLO ECONOMICO CAUSATO DAL CLIMA


Una crisi lunga come la nostra:


il tardo Medioevo evoca il 2008


Pieter Bruegel il Vecchio,« Il trionfo della morte», dipinto del 1562 c.


MICHELA TAMBURRINO


L’


attesa è finita, La vita bugiarda degli adulti, il nuo-
vo romanzo di Elena Ferrante (di cui qui antici-
piamo le prime pagine), esce domani per E/O.
L’autrice bestseller torna in un territorio a lei ca-
ro, Napoli, questa volta nei quartieri più borghe-
si a ridosso del Vomero, e con il racconto dell’io
narrante che ci porta in una famiglia all’apparenza politically
correct nella quale una ragazzina cerca di colmare il divario
che porta dal sempre conosciuto all’ignoto, dall’infanzia all’e-
tà adulta. Lo fa con gli strumenti scombiccherati che i suoi ge-
nitori le forniscono, carichi di menzogne e falsità. Subito i te-

mi ferrantiani tornano di prepotenza: c’è l’abbandono, il rap-
porto difficile con gli adulti, soprattutto con il padre prima
adorato e poi detestato a causa del tradimento familiare, con
la madre giudicata in principio troppo debole per reagire, con
la zia, presenza scoperta per caso che riporta la protagonista
alle origini delle cose con fare duro, volgare ma caldo e avvol-
gente. Giovanna, che troviamo dodicenne e salutiamo sedi-
cenne, mette in crisi i valori della sinistra che la famiglia le ha
inculcato per abbracciare una strada altra che si rivelerà solo
all’apparenza più sincera. E diventa adulta quando pure lei
impara a mentire talmente bene da sentirsi grande. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Louvre, colletta per acquistare Apollo di Pompei


Il Museo del Louvre ha avviato una campagna di sottoscrizione
pubblica per raccogliere 6,7 milioni di euro necessari per acquista-
re una preziosa statua di Apollo rinvenuta sotto le ceneri di Pom-
pei. Oltre metà della somma è già stata garantita dalla Società de-
gli Amici del Louvre. Negli ultimi cento anni la statua, del secondo
TM o primo secolo avanti Cristo, è stata nelle mani di privati.

TEMPI


MODERNI


CULTURA, SOCIETÀ
E SPETTACOLI

Per secoli la società
feudale era
cresciuta in tutti
i sensi possibili

Domani a Torino, al grattacielo
Intesa Sanpaolo, lo storico e
scrittore Alessandro Barbero
terrà la lezione-conferenza
«Fra recessione e innovazione:
la crisi del Trecento». L’appunta-
mento fa parte del ciclo di lezio-
ni di Barbero sul tema «Quando
l’economia cambia la storia», or-
ganizzato da Intesa Sanpaolo e
curato da Giulia Cogoli. Le suc-
cessive lezioni saranno il 14 no-
vembre, «Il denaro e le donne:
Grazia Nasi, una finanziera del
Cinquecento», e il 21 novem-
bre, «La bancarotta dello Stato:
le cause della rivoluzione france-
se». Ingresso gratuitocon preno-
tazione sul sito http://www.grattacie-
lointesasanpaolo.com/news.

La vita bugiarda degli adulti
di Elena Ferrante
esce domani per le Edizioni E/O
(pp. 336, € 19)

ILLUSTRAZIONE DI SUSANNA GENTILI


ANTEPRIMA


Poi la piccola era
glaciale che durò
fino all’Ottocento
distrusse i raccolti

MERCOLEDÌ 6 NOVEMBRE 2019LASTAMPA 23

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