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di Natalia Aspesi
I segue dalla prima pagina
S
ervizi che assistono, confortano, indirizzano il cliente,
fino al punto da pretendere di guidare al suo posto.
La nuova auto ne sa più di noi. Basta riscuotere le
informazioni, accettare le opzioni, seguire le indicazioni per
viaggiare più sicuri, riducendo le incognite. Da strumento,
l’automobile senza che ce ne accorgessimo è diventata un
compagno di viaggio, che pensa e sceglie per noi. È un
ribaltamento gerarchico, un trasferimento di potere dal
soggetto all’oggetto, nascosto dentro la neutra inevitabilità
di una metamorfosi tecnologica: quasi una reinvenzione
dell’automobile.
Come in tutte le rivoluzioni non ci si ferma dove si comincia.
Gli effetti vanno ben oltre la fabbrica, infatti, e sono sociali e
culturali. La densità automobilistica nelle grandi città
contribuisce in modo determinante all’inquinamento, la
nuova sensibilità ai problemi dell’ambiente porta il
cittadino a prevalere sul cliente, pretendendo che la
questione delle emissioni venga affrontata alla radice, e se
ne faccia dunque carico l’industria. È la prevalenza culturale
per il motore elettrico, spinto dagli stessi utenti ad
abbreviare i tempi di sperimentazione, aumentare le fonti di
alimentazione, ridurre i costi di manutenzione. Ma la svolta
è già in atto, la nuova legislazione incalza, l’impresa deve
inseguire l’inedita sensibilità ambientale che si fa questione
politica, si organizza in domanda pubblica, diventa mercato.
E l’Italia è in ritardo.
Infine, la terza sfida. Economia, ecologia e tecnologia si
uniscono trasformando le nozioni stesse di proprietà,
possesso, uso e utilizzo, in relazione all’automobile. Diventa
un bene strumentale, da prendere e posare, per andare da
qui a lì, come un mezzo pubblico a guida privata, senza
investimento finanziario ed emotivo. La uso anche se non è
mia, anzi, la uso proprio perché non è mia, risparmio, e
restituisco l’auto a puro mezzo di mobilità per brevi tragitti
da navetta urbana, proprio al culmine della curva del suo
potenziale tecnologico, che le consentirebbe di fare molto di
più. D’altra parte è proprio l’accumulo tecnico-informatico
che si scarica nel cruscotto che permette il car sharing, l a
condivisione, e ci rende infine liberi, perché liberati
dall’obbligo di acquistare se vogliamo viaggiare. Un modello
sociale inedito, che trasformerà una volta ancora la buona
vecchia automobile. Imbottita di nozioni e capace di
emettere segnali incrociati al cliente e alla casa madre,
l’auto condivisa è un computer da viaggio, e la sua estetica,
la sua funzionalità, il suo schema di lavoro presto si
differenzieranno dall’auto che possediamo in garage, per
modellarsi inevitabilmente sulla sua nuova missione
metropolitana.
Tutto questo è evidentemente troppo non soltanto per una
piccola impresa, ma anche per due pesi medi del settore,
come sono Fca e Psa. La soglia di sopravvivenza nel nuovo
mercato globale, che è mitologicamente fissata sopra i 6
milioni di auto prodotte all’anno, è lontana per entrambe. La
partita ecologica, la conversione nel motore elettrico, la
sofisticazione informatica richiedono investimenti
massicci, finanziamenti robusti per l’innovazione, economie
di scala, capacità di reggere agli up and down di un mercato
ciclico. Le intese parziali, sui componenti di prodotto, sul
processo produttivo, non tengono il passo con i tempi.
D’altronde già oggi Fca e Psa sono il frutto di aggregazioni,
con il nucleo storico che ha cercato nuovi partner per
trovare nuovi mercati e una diversa massa critica.
Fca fa dunque di necessità virtù, come il nuovo socio
francese, sapendo che nel consolidamento mondiale
dell’industria automobilistica sopravviveranno quattro o
cinque grandi gruppi. Unite, le due società si porteranno
reciprocamente in dote il mercato delle Americhe, dove Psa
è tradizionalmente debole, e il mercato europeo e asiatico,
dove Fca potrà trovare nuovi sbocchi grazie alla rendita di
posizione francese. Psa metterà a disposizione del partner le
due piattaforme modulari “multienergia” su cui stanno
nascendo i modelli elettrici che tra due anni saranno
presenti nella gamma di ogni marchio. In più, in Carlos
Tavares (l’ex uomo Renault che oggi guida Psa e ha risanato
Opel) John Elkann ha trovato il manager globale che cercava
dal giorno in cui è morto Marchionne.
Come dice Le Monde, Elkann – che sarà presidente della
nuova società – è un capitano d’industria che decide da solo.
Ha cercato qualche mese fa l’intesa con Renault, e ha rotto la
trattativa quando al tavolo si sono appoggiati con troppa
invadenza il governo francese (azionista al 15 per cento) e il
partner giapponese Nissan. Ma anche in quei giorni ha
tenuto la porta aperta con Psa tanto che quando l’accordo
con Renault sembrava possibile, ha pranzato con Robert
Peugeot, per informarlo.
Dietro i due marchi che ora si fonderanno in una newco
basata in Olanda, con fabbriche in Francia, Italia e Stati
Uniti, ci sono infatti le famiglie tradizionali dell’automobile
europea, Peugeot da un lato con il 12,23 per cento, Agnelli
dall’altro con il 29. L’Avvocato aveva sempre considerato
Peugeot-Citroen il “partner naturale” per Fiat. Oggi Elkann
propone ai mercati la fusione, portando la galassia familiare
(che sembrava interessata solo ai dividendi, in attesa della
vendita) a sottoscrivere un nuovo impegno per un campione
europeo della nuova automobile. Certo, bisognerà vigilare
sulle eventuali sovrapposizioni di prodotti, e sui riflessi che
questo doppiaggio potrà avere sul futuro degli stabilimenti
italiani e soprattutto sull’occupazione. Ma da oggi l’auto
italiana è diventata più europea: e il dopo-Marchionne, che
sembrava impossibile, è davvero incominciato.
C
aro direttore, il tuo editoriale di martedì mi
ha fatto riflettere, non tanto di politica,
quanto di vita, la mia vita, anche se ormai molto
corta. Già mi aveva scosso, ancora prima dei
risultati largamente previsti delle elezioni umbre,
la fotografia dei quattro personaggi di governo,
con quel sorriso che dati i tempi mi è parso vuoto e
addirittura offensivo. La risata, come i pollicioni in
alto, il gesto più scemo mai visto in situazioni
drammatiche come questa, va lasciata ai mastini
sicuri di vincere o ai barboncini che non
prevedono di perdere. Capisco che adesso si è
tutti in attesa della insicura (mentre in Umbria lo
era) nuova sconfitta del Pd: dico solo Pd perché i
giovanotti e le signorine in via di totale
abbandono da parte di Grillo sono stati il peggior
abbaglio, dopo il fascismo, che abbia stordito gli
italiani speranzosi di novità, magari positiva. Il
giornalismo politico che si pensa ancora
democratico fa benissimo il suo lavoro, ma siamo
noi lettori, noi cittadini a non averne più voglia:
sperare ed essere ogni volta delusi, sentirsi
impantanati in un vuoto senza soluzione, non
percepire da parte di chi dovrebbe difenderci
nessuna fatica o addirittura nessuna capacità di
opporsi sul serio con intransigenza e passione,
anche solo a parole, ma soprattutto di persona, tra
la gente, a quel che con troppa velocità sta
succedendo. Impegnarsi a ridare un po’ di fiducia
e speranza a chi le ha perse entrambe, a tentare di
svegliare dal torpore musone il resto degli italiani
che si affidano agli urli di una fatina sconsiderata
e alle chiacchiere nebulose di un negromante
insidioso. Certo si tratta di un incantesimo, perché
seguendo mesta la loro propaganda su Facebook,
incessante, di giorno e di notte, un fiume di
invenzioni, bugie, promesse insensate, prese in
giro, discorsi di Del Debbio, Porro, Capezzone.
Giordano e quelli della kapò laziale in preda a un
maschilismo guerriero e del generale lumbard,
con un elegante bicchiere da cocktail tra le dita (sì,
proprio tra le dita, e al posto della più rustica
polenta, segnale di un nuovo pubblico di
riferimento). Mi pare quindi di aver capito che non
è la realtà che chi si dichiara popolo vuole, ma la
finzione. Non vuole sapere nulla di ciò che
succede davvero, di manovre governative, di
debiti enormi, di tasse, di leggi e di Costituzione,
degli scontri in Parlamento, delle sciocchezze che
ne escono o delle verità drammatiche: è come se la
cosiddetta vituperata casta si fosse davvero
volontariamente separata dal resto del Paese, o
invece che sia stato il Paese a voltare le spalle;
spazientito, distratto, in cerca di qualcosa di più
facile, di più comprensibile, di meno minaccioso
della realtà. Se pure venissero provati eventi
criminali, azioni illecite, vergogne dei loro
beniamini politici, a questo popolo che rifiuta il
futuro e il resto del mondo non importerebbe
nulla, credo, se già ha accettato il neofascismo,
l’antisemitismo, oltre al generico razzismo.
Vogliono qualcuno che non chieda
partecipazione e responsabilità, sacrifici e misura,
ma che da solo risolva tutto: distraendo,
rallegrando con una serie di bisbocce tutti
insieme, gomito a gomito, raccontandosi
barzellette e intanto promettendo una facile
Bengodi per superitaliani, da ottenere con una
semplice crocetta su un pezzo di carta. Il resto
ovviamente è sperdimento, sfinimento, parole,
silenzio. Va bene, è andata così, forse non poteva
andare diversamente, forse addirittura è giusto
così: e io mi rassegno, ma mi pare che siano tanti a
farlo, compreso il governo che se no studierebbe
un minimo di difesa seria, accettabile anziché
odiarsi tutti. Cosa faremo dopo, quando ci sarà
quel premier lì, con ministri tipo i randellatori di
CasaPound e quelli che odiano le donne e il sesso
tipo Family Day e un nuovo presidente scelto per
il suo grado di rincoglionimento? Io
personalmente niente, se Repubblica non verrà
chiusa la comprerò, se mi farà lavorare chiederò
una rubrica di giardinaggio, se mi minacceranno
mi chiuderò in casa; già da anni ho abbandonato
la televisione tutta insopportabile, avrò il tempo
per tornare a lavorare a maglia, di andare dalle
maghe, e di rileggere I Promessi Sposi e tutto
Balzac e Simenon (già cominciato). Forse una
malsana curiosità mi spingerà in qualche adunata,
però munita del mio fido bastone, ma di sicuro
rifiuterò il credo salvinista, come mia madre
maestra sfidò il regime rifiutando la divisa
fascista, finché le fu possibile.
Bucchi
di Ezio Mauro
La fusione Fca-Peugeot
L’auto del dopo Marchionne
Diario di una delusa
Ridatemi la voglia
di politica
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. Venerdì,1 novembre^2019 Commenti pagina^35