ella migliore delle ipotesi,
l’ostilità della Lega a sanzionare
il razzismo, l’antisemitismo e
l’omofobia deriva da
un’impostazione “liberale”: non
si può formalizzare, come
pretende di fare il politicamente
corretto, la lotta all’odio. È più o meno questa la
spiegazione che la senatrice Barbara
Pucciarelli, sia pure in modo approssimativo,
fornisce dell’astensione sulla Commissione
Segre.
Nella peggiore delle ipotesi, la Lega è invece
contraria a sanzionare razzismo e omofobia
perché nei suoi ranghi pullulano non solo
parole razziste e omofobe, ma anche persone
razziste e omofobe, come testimonia,
purtroppo, una più che ventennale produzione
di frasi e gesti politici che di liberale hanno zero,
e di intollerante e discriminatorio, moltissimo.
Da Borghezio che disinfettò i treni «pieni di
puttane nigeriane» a Gentilini che agli
immigrati «sparerebbe come ai leprotti»
all’europarlamentare che disse alla radio «se un
gay mi dà fastidio lo prendo a calci nei
coglioni», la saga è interminabile. E tutta agli
archivi, per chi avesse voglia di un lungo viaggio
nell’abbrutimento rivendicato come
«schiettezza».
I leghisti sono liberi di considerare spiritoso e
giustificato un linguaggio che ferisce e umilia
altre persone umane. Non di fingere che ci sia,
nella loro ostilità alla Commissione Segre,
alcunché di liberale. L’ipocrisia calza a pennello
ai fautori del politicamente corretto. Dal partito
dei Gentilini e dei Borghezio ci si aspetterebbe,
piuttosto, una spavalda rivendicazione:
vogliamo dire quello che ci pare contro negri,
ebrei e culattoni, e se c’è qualcosa da vietare,
vietiamo i musulmani.
I segue dalla prima pagina
I
l dubbio che la questione migratoria sia la migliore
copertura possibile per la questione energetica è forte. Ci
hanno parlato per anni di invasione, ci hanno fatto sentire
insicuri nelle nostre case, hanno proclamato che non sono
importanti i numeri, ma la percezione che abbiamo di quei
numeri. Tutto questo non è stato fatto solo per polarizzare
l’opinione pubblica al fine di ottenere i voti degli arrabbiati,
ma probabilmente per un fine ben più strategico: giustificare
lo stanziamento di fondi da mandare in Libia, magari a
vantaggio di una parte.
E se l’accordo sul “contenimento” dei flussi migratori fosse
anche una copertura per sostenere Fayez al Serraj con l’avallo
di Trump? Sarebbe un modo per partecipare alla guerra civile,
anche perché l’impressione è che la vita delle persone
detenute illegalmente nei lager libici sia senza valore al
cospetto degli interessi petroliferi italiani.
Se da un lato le motivazioni dell’accordo italo-libico
parrebbero chiare, resta la amara consapevolezza che più a
lungo questo governo lascia in mare chi fugge dall’inferno
libico, più i feroci populisti potranno urlare facendo campagna
elettorale sulla pelle di quei disperati. Nei prossimi giorni
verrà rinnovato l’accordo: si tratterebbe di altri 50 milioni che
si aggiungono a quelli già stanziati dall’Europa negli scorsi
anni.
Questo accordo fa il paio con quello che la Germania di Angela
Merkel ha siglato con il tiranno Erdogan per il controllo dei
confini orientali dell’Europa. Ma quale pensiamo possa essere
il nostro futuro se finanziamo governi autoritari e in guerra? Il
ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha detto che avrebbe
convocato una commissione italo-libica per favorire un
ulteriore coinvolgimento delle Nazioni Unite. Di Maio ignora
che le Nazioni Unite, visto il numero abnorme di migranti
illegalmente trattenuti in Libia (650mila è la stima per difetto)
non riescono a prestare soccorso, a creare corridoi umanitari o
anche a rimpatriare chi dalla Libia non vuole nemmeno più
venire in Europa, ma tornare al proprio Paese di origine. E
mentre accade questo, a noi viene portata come prova dei
presunti effetti positivi dell’accordo italo-libico la diminuzione
degli sbarchi. Dagli oltre 100mila arrivati in Italia nel 2017, si è
passati ai quasi 3000 del 2019. Ma queste cifre non ci dicono
che sono calati gli arrivi in Libia dai Paesi limitrofi prima
ancora che gli arrivi in Europa. E non ci dicono nemmeno che
fine fanno le migliaia di persone che restano Libia e non
possono partire. Non ce lo dicono, ma noi lo sappiamo: restano
bloccate in centri di detenzione dove subiscono ogni genere di
tortura. Restano bloccati nel Paese che ci minaccia di lasciarli
venire tutti in Italia e in cambio ottiene soldi. Possibile che ci
sia qualcuno al governo che abbia il coraggio di rivendicare
questa schifezza? Ma non è tutto: il Consiglio presidenziale di
Tripoli ha emesso un decreto che impone alle Ong di non
intervenire senza il permesso della Guardia costiera libica,
anche in caso emergenza. Il decreto, inoltre, impone alle Ong
di garantire l’accesso alle loro imbarcazioni a ufficiali libici.
Magari a salire a bordo saranno gli stessi che hanno aperto il
fuoco mentre la Alan Kurdi salvava i migranti. O sarà proprio
Abdulrahman Al Milad, detto Bija, riconfermato a capo della
Guardia costiera di Zawyah nonostante, secondo l’Onu, sia un
torturatore e un trafficante di esseri umani.
Non è assurdo imporre alle Ong che salvano vite l’ennesimo
codice di condotta, mentre nessun codice di condotta è
imposto a chi tortura e uccide? Due giornalisti, Nello Scavo e
Nancy Porsia, sono stati posti sotto tutela proprio per aver
raccontato chi fosse Bija e per aver svelato la sua presenza in
Italia nel 2017, seduto a un tavolo con funzionari dell’Interno
(al Viminale c’era Minniti) con cui trattava il blocco dei
migranti. Un criminale ha trattato con l’Italia il blocco dei
migranti. Forse potremmo fermarci qui e non aggiungere
altro, ma due navi sono ancora in mare: la Alan Kurdi della Ong
Sea-Eye con 90 naufraghi e la Open Arms, che ne ha 15. I
migranti della Alan Kurdi non hanno solo subìto torture e
maltrattamenti in Libia, ma sono stati soccorsi mentre i
criminali della Guardia costiera libica, che noi italiani
addestriamo e finanziamo, gli sparavano addosso. Il governo,
prima di concedere tregua ai disperati della Ocean Viking, h a
aspettato di perdere nel voto in Umbria. Le prossime elezioni
ci saranno in Emilia Romagna tra troppo tempo, mentre in
mare la disperazione è tangibile, e urgente è la necessità di far
sbarcare le 105 persone della Alan Kurdi e della Open Arms,
provando ad agire senza sentirsi costretti alla ferocia da una
tendenza generale. Ma credo che sia importante
tranquillizzare chi ritiene che questo secondo governo Conte
abbia aperto i porti. Niente affatto: i porti sono chiusi, anzi, si
aprono e si chiudono proprio come quando al governo c’era
Salvini, per mera propaganda e convenienza elettorale. Su
immigrazione e sicurezza tutti gli ultimi governi hanno agito
in totale continuità. Esiste una gestione dell’immigrazione
inaugurata da Minniti, proseguita da Salvini e abbracciata dal
secondo governo Conte che individua nemici per scaricargli
addosso responsabilità che non hanno, che crea tensione e
odio sociale senza risolvere alcun problema e che ignora quel
che invece è fin troppo chiaro: non si possono chiudere i porti,
non si possono bloccare i flussi migratori; si tratta di sfide
epocali che si devono affrontare con senso dello Stato, con
senso della comunità e con l’umanità del diritto. Non sento di
poter chiedere a questo governo un cambio di rotta, ma se il
suo destino è segnato, che almeno dimostri di tenere in conto
la vita umana, perché la realpolitik non sarà una scriminante
innanzi alla Storia.
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N
Chi inietta il veleno dell’odio
Ma non si nasce razzisti
È
molto difficile spiegare il razzismo a chi non lo conosce,
non lo ha dentro, non lo considera naturale. Perché
pensa sia qualcosa di estraneo, inculcato. Non è nel sangue,
è un veleno che viene iniettato, preparato chimicamente da
chi trae una qualche forma di vantaggio diffondendolo.
Razzisti non si nasce e molto spesso e volentieri non si
diventa. Sono cresciuto a Bologna che, a dispetto dei luoghi
comuni, non era la città aperta e cordiale che veniva
raccontata. Di una famiglia del palazzo sentii dire che era
«brava gente, benché marocchini». Erano pugliesi. Quando
si prendeva un treno per Roma circolava la
raccomandazione di assicurarsi non proseguisse oltre, o ci
sarebbero stati passeggeri «che si tolgono le scarpe e
mangiano formaggi». Anni più tardi andai a lavorare a
Torino e qualcuno mi accolse ringhiando: «Perché vieni a
rubarci posti da giù?». Dove «giù» era il luogo che i miei
concittadini del giorno prima consideravano «su». Quando
tutto è relativo, ne consegue che ogni affermazione non si
basa su una verità, ma su una pretesa: riguardante alloggi,
posti, lavori. Basta spostarsi dal centro di gravità, non
rendendolo permanente, per vedere il ballo dei punti di
vista diventare frenetico. Un nordafricano su un autobus
lombardo era guardato decine di anni di fa come un’eresia
ambulante. Chissà come si sentiva. Nessuna
rappresentazione può restituirci le sue emozioni,
bisognerebbe sperimentarle. Più o meno come mi è capitato
spesso, da unico occidentale, bianco in mezzi di trasporto o
stazioni africane o arabe. Aveva motivo la diffidenza o
addirittura il ribrezzo fondamentalista nei miei riguardi?
Ero una minaccia per gli altri? A mille chilometri di
distanza, in quello stesso istante, le parti e i colori non erano
forse rovesciati?
C’è un episodio abbastanza convincente che può essere
tramandato. Esiste un’isola dispersa nell’oceano, chiamata
Tristan da Cunha, a metà strada tra Brasile e Sudafrica. I
suoi abitanti discendono per la maggior parte da un gruppo
di naufraghi. Sono stati abituati a vivere senza seguire
condizionamenti “culturali” pre-esistenti, tant’è che hanno
organizzato la società prevedendo una turnazione degli
incarichi e delle mansioni. Generazioni si sono succedute in
questa remota landa finché, all’inizio degli anni Sessanta,
una minaccia atmosferica ne consigliò l’evacuazione.
Vennero trasportati a Città del Capo dove vigeva l’apartheid
e si narra che ebbero una reazione sbalordita, non capendo
come fosse possibile e, soprattutto, non adeguandosi. Il che
porta a chiedersi: chi mai, di suo, per natura, potrebbe
odiare la senatrice a vita Liliana Segre?
Pensare di dover spiegare l’assurdità e la pericolosità del
razzismo a qualcuno, di qualunque età, sembra un torto alla
sua intelligenza e sensibilità. D’altronde, chi compie
l’operazione contraria fa un torto, ben più grande, all’intera
umanità. Purtroppo la sovrappopolazione del pianeta non
offre sufficienti isole deserte in cui trapiantare costoro e
lasciarli a disegnare confini, erigere muri, frammentarsi
negli infiniti e immaginari popoli sovrani di su e di giù.
di Michele Serra
L’amaca
La lunga marcia
della brutalità
La vignetta di Biani
L’accordo con Tripoli
Le mire di un patto crudele
di Gabriele Romagnoli
di Roberto Saviano
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ILLUSTRAZIONE DI GUIDO SCARABOTTOLO
pagina. (^34) Commenti Venerdì,1 novembre 2019