Il Sole 24 Ore - 05.11.2019

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22 Martedì 5 Novembre 2019 Il Sole 24 Ore


Commenti


MICROCOSMI


LA CITTÀ INFINITA


DEL GRANDE NORD


INTORNO A MILANO


L


e città sono tornate al centro della crescita


economica e in Italia oggi è Milano a incarna-
re con più successo questo fenomeno. È me-

no chiaro come stia cambiando il rapporto
tra i centri in ascesa e le grandi piattaforme

produttive del Nord. Milano non è mai stata


una company town chiusa tra le sue mura. Anni fa deno-
minai come città infinita il suo crescere orizzontale

secondo un meccanismo proliferante che concentrava


tra Malpensa e Orio al Serio il maggior numero di im-
prese, di capannoni, di addetti, di centri commerciali

e di sportelli bancari. Un modello che ha raggiunto il


culmine nel primo postfordismo.
Oggi la raccontiamo nel suo skyline verticale come

parte di un’economia della conoscenza globale a base


urbana, in cui le città paiono più connesse tra loro che
radicate nel loro intorno territoriale. È poco utile indu-

giare solo in rappresentazioni da città-stato (Parag


Khanna). Questa è solo una faccia della medaglia. Per
capire la nuova Milano occorre guardare a cosa resta

sia del Mi-To fordista (dov’era la Fiat al Lingotto c’è un


centro commerciale, come all’Alfa Romeo di Arese)
che nella piattaforma lombarda connessa a quelle ve-

neta ed emiliana. Occorre scomporre e ricomporre il


territorio della “vecchia” città infinita nel cambio di
modello produttivo dal distretto alla piattaforma di

area vasta. La “nuova globalizzazione” ha verticalizza-


to, selezionato e allungato le filiere, oggi sempre più
simili a cluster che assemblano territori, produzione,

servizi e tecnologie, i cui gangli operano simultanea-


mente in varie parti del mondo. Nella Brianza che ali-
menta il Salone del Mobile e nella meccatronica tra

Lecco, Bergamo, Monza, il manifatturiero rimane nu-


cleo portante di economie che diventano sempre più
articolate e terziarie. Quasi loro malgrado.

Qui si coglie un primo rischio: le
piattaforme produttive e i sistemi

delle élite intermedie dei territori


pedemontani, paiono subire la me-
tamorfosi terziaria più come una

contrazione del manifatturiero che


come il possibile emergere di nuove
industrie e di un modello economi-

co più equilibrato sul fronte di mercati, consumi interni


e sviluppo locale. Il ciclo delle medie imprese cresciute
reggendosi su capitali e saperi propri, oggi di fronte ai

grandi cambiamenti tecnologici e ai mutati scenari


geopolitici, sta raggiungendo il proprio limite di svi-
luppo. Occorre pensare nuove modalità d’intervento

e nuove istituzioni. Sul territorio tra le imprese cresce


una sensazione di solitudine nell’affrontare scenari
sempre più complessi, in un contesto che ha visto la

densità del tessuto d’impresa rarefarsi sotto i colpi del-


la crisi. Con Milano orientata a dare più attenzione alle
sue connessioni verticali che orizzontali.

Nell’urbano regionale che va da Torino a Trieste,


Via Emilia compresa, denso di città medie, il vero no-
do è il rapporto tra saperi formali e contestuali, con

un tessuto di istituzioni come i Politecnici, il Cnr,


strutture di accesso alle risorse della ricerca e dell’in-
novazione e una rete forte di istituti professionali. Le

imprese sono oggi stratificate in una élite che ha in-


corporato l’innovazione complessa, una base attesta-
ta sui saperi contestuali che rischia di subire la tra-

sformazione, e una “pancia” mediana approdata alla


piccola innovazione in cui si qualifica ciò che già si fa.
Occorrerebbe agire su questo tipo di impresa per evi-

tare che la velocità del salto tecnologico ne produca
il downgrading lungo la scala del valore. Qui è impor-

tante anche il cambiamento che sta vivendo sui terri-


tori la rete dei corpi intermedi, affaticata nel costruire
luoghi di intelligenza collettiva che le consentano una

“diplomazia” delle relazioni verso Milano e tra terri-


tori. Ci sono nuovi protagonisti come le fondazioni,
le utility, i gestori delle reti e le banche che si aggrega-

no con logiche di area vasta.


A fronte di una economia in metamorfosi, la società
è affaticata. Il welfare di comunità nella crisi ha tenuto,

c’è un tessuto di terzo settore forte, la popolazione cre-


sce, ma l’ascensore sociale si è inceppato come mostra-
no i dati sul crescere della povertà. Le partita Iva del

lavoro autonomo di prima generazione e quelle di se-


conda generazione dei lavori terziari, non garantisco-
no più in modo automatico il riprodursi di un tessuto

decentrato di ceti medi affluenti. Non bastano i numeri


dell’export. La città infinita postfordista era la città dei
due terzi inclusi, nel suo scomporsi e ricomporsi verti-

cale occorre pensare Milano in rete con l’urbano regio-


nale delle piattaforme produttive. Milano in una geoco-
munità capace di costruire nuovi equilibri sociali.

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di Aldo Bonomi


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PIANI INCROCIATI TRA GOVERNI E BANCHE CENTRALI


I


l taglio dei tassi da parte delle


banche centrali e le altre misure


non convenzionali prese recente-
mente dalla Federal reserve ame-

ricana e dalla Banca centrale eu-


ropea hanno incontrato il plauso
dei mercati, ma hanno anche solle-

vato interrogativi e, talora, vera e


propria opposizione. Quelle che era-
no considerate misure eccezionali e

temporanee, come i tassi negativi


oppure i programmi di acquisto di
titoli obbligazionari, sembrano or-

mai costituire il quadro di lungo pe-


riodo in cui si muove l’economia
mondiale. Questa prospettiva solleva

obiezioni e alimenta una discussione


più ampia che sta occupando da tem-
po economisti, policy maker e le stes-

se banche centrali sul ruolo della po-


litica monetaria e sui suoi limiti.
La Fed ha lanciato una revisione

strategica dei propri obiettivi, stru-


menti e capacità di comunicazione.


I risultati sono attesi per la prima


metà del . Come annunciato da
Mario Draghi, la Bce, sotto la guida di

Christine Lagarde, farà lo stesso nei


prossimi mesi. Era dal  che la
Bce non si impegnava in un esercizio

di questo tipo.


Questo dibattito va al di là dei se-
minari tra esperti, ma interessa i go-

verni e gli uomini politici, che sono


ormai alle prese con quelle che l’Eco-
nomist ha chiamato le «nuove strane

regole dell’economia mondiale».


Gli esiti di questo dibattito hanno
infatti inevitabili ripercussioni sulle

politiche di bilancio, sulla funzione
anti-ciclica della finanza pubblica, e

quindi sui livelli di indebitamento e


di debito pubblico. I due piani, quello
strategico del futuro delle banche

centrali e quello immediato delle


scelte di bilancio, si intrecciano.


Gli economisti Olivier Blanchard


e Larry Summers sono intervenuti a


più riprese con un’apertura a un ap-
proccio meno ortodosso, o più «ri-

lassato», al debito pubblico. Si so-


stiene che si debba ripensare il tradi-
zionale consensus attorno ai livelli

massimi di debito pubblico. Secondo


Summers, per esempio, un livello
prudenziale di debito può essere og-

gi più alto rispetto a quando i tassi
erano attorno al  per cento. Quindi

i tassi bassi o negativi, che dobbiamo


attenderci ancora per diversi anni,
modificherebbero in maniera pro-

fonda la «tensione» sul debito.


Ovviamente tutto ciò avrebbe im-
plicazioni maggiori per un Paese ad

alto debito come il nostro.


L’Italia sta già beneficiando del ta-
glio dei tassi della Bce e precedente-

mente della sua aspettativa. Da fine


agosto, il Btp a dieci anni paga inte-


ressi inferiori all’ per cento. La stessa


Nota di aggiornamento al Def pre-
sentata dal governo indica che «l’in-

cidenza della spesa per interessi pas-


sivi sul Pil scendera dal ,% del 
al ,% del , per attestarsi al ,%

nel ». Si tratta complessivamen-


te di un risparmio cumulato di diversi
miliardi di euro rispetto a quanto pre-

visto dai precedenti documenti di po-


litica economica: numeri importanti,
ma che non modificano radicalmente

il quadro di finanza pubblica.


Ci si deve pertanto chiedere se
l’emergere di un nuovo paradigma

sul debito permetterebbe negli anni


a venire ai governi italiani politiche
significativamente più espansive a

stimolo dell’economia. La politica


economica è infatti anche il risultato
del quadro complessivo in cui si

muove. Ci si può domandare se in


certi periodi emergano spazi che


precedentemente non erano dispo-


nibili. Non facilita una risposta posi-
tiva il quadro europeo, dove i livelli di

indebitamento e debito sono fissati


da norme e testi legali.
Tuttavia la parola finale spetterà

ai mercati: un materiale restringi-


mento degli spread dei titoli italiani
sarebbe buon viatico per ottenere

spazi di bilancio ulteriori. I mercati,


com’è noto, guarderanno non solo ai
livelli del debito, ma soprattutto alla

composizione della spesa e alla ca-


pacità di riforma dei settori fonda-
mentali per competitività e crescita.

Ancora una volta, si tratterà di dimo-


strare il continuum tra politica mo-
netaria, di bilancio e riforme struttu-

rali. Come dimostra il recente rap-


porto di S&P il giudizio sull’Italia è
ancora sospeso.

Capo globale strategie di Muzinich & Co.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Fabrizio Pagani


Pronta la critica del Medef: «Creare


campioni non è vecchia scuola»


IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA FRANCIA REPLICA A VESTAGER


Creare campioni industriali europei è un lodo per
«assicurarsi un avvenire», non si tratta di «una vecchia

scuola», ma di assicurare una effettiva «sovranità»


industriale. Lo ha sottolineato il presidente del Medef,
la Confindustria francese, Geoffroy Roux de Bezieux a

commento dell’intervista della commissaria alla


Concorrenza, Margrethe Vestager pubblicata da alcuni
giornali europei nella quale l’esponente danese

ribadisce che la Ue non deve aiutare i campioni
industriali «nutriti e coccolati» con risorse pubbliche

ma deve permettere che la concorrenza li spinga a
crescere. Nell’intervista, Vestager indica che

«storicamente il mandato della Commissione è


vigilare affinché il mercato serva i consumatori. Non
c’è contraddizione tra l’emergere di campioni

industriali e loro protezione, anzi è importante che i
consumatori vedano che il mercato li serve perché

questa è l’Europa. E poi se abbiamo grandi aziende è


perché sono state sfidate dalla concorrenza, non
perché sono state protette da un cartello».

ANSA

3,2%


SPESA PER
INTERESSI
PASSIVI SUL PIL
La Nota di
aggiornamento al
Def presentata
dal governo
indica che
«l’incidenza della
spesa per
interessi passivi
sul Pil scenderà
dal 3,2% del 2020
al 3,1% del 2021,
per attestarsi al
2,9% nel 2022».

LA DIFESA DEI CONSUMATORI UE


PASSA DAI BIG INDUSTRIALI EUROPEI


—Continua da pagina 


L


a crisi del multilaterali-


smo non mette oggi in


discussione solo le re-
gole del commercio in-

ternazionale, ma anche
la definizione di concor-

renza e i confini dei mercati. La


questione è di grande attualità
nella transizione tra la vecchia e la

nuova Commissione, soprattutto


dopo il blocco della fusione tra i
due giganti della produzione di

treni Siemens e Alstom e dopo


l’apertura di un’indagine sull’ope-
razione tra Fincantieri e il francese

Chantiers de l’Atlantique. Le mi-


sure della Direzione per la Concor-
renza della Commissione Europea

hanno creato molte inquietudini,


specialmente in Francia e Germa-
nia e aperto un dibattito sul ruolo

dei “Campioni Europei”. Ossia i


leader di mercato in grado di com-
petere globalmente. Chi critica la

decisione della Commissione so-


stiene che la tutela dei consuma-
tori non dovrebbe andare a scapito

di un disegno strategico di più am-


pia portata che ha l’obiettivo finale
di rafforzare la crescita e la pro-

duttività europea. La Commissio-


ne, al contrario, sostiene che una
fusione viene bloccata se le pro-

spettive di miglioramento dell’ef-


ficienza non giustificano le minori
tutele dei consumatori.

Qualunque sia la dimensione
delle imprese che si fondono è

chiaro che l’Autorità deve e così fa,


tenere conto anche delle possibili
sinergie tra le due imprese e del-

l’abbattimento dei costi e miglio-


ramento di competitività che po-
trebbe derivare dalla fusione. In

effetti dal , da quando è in vi-


gore il regolamento europeo sulle
fusioni, meno di  operazioni

non sono andate in porto su .


notificate. Ma la soluzione del dif-
ficile compromesso tra efficienza

e tutela del consumatore dipende


dal contesto complessivo in cui
operano le imprese.

La Francia, la Germania e la Po-
lonia hanno da poco pubblicato un

documento per «modernizzare la


politica della concorrenza della
Ue» dove sostengono che in un

quadro competitivo complesso il


concetto di efficienza dovrebbe
anche tenere conto dell’importan-

za strategica della fusione in


un’ottica globale. Allo stesso tem-
po il concetto di mercato dovrebbe

essere ampliato: la difesa dei con-
sumatori europei dipende anche

dalle importazioni e indiretta-


mente dalla capacità delle imprese
di competere su mercati terzi.

Se i criteri di efficienza e di di-


mensione del mercato possono
essere utilmente riconsiderati,

non bisogna invece cadere nell’er-


rore di attribuire alle politiche di
tutela della concorrenza obiettivi

di Giorgio Barba Navaretti


che non le sono propri. Favorire la


nascita e la crescita di campioni
europei è compito della politica

industriale e della politica tecno-
logica, non delle regole sulle fu-

sioni e acquisizioni.


Ciò che invece va fatto, e qui la
Direzione per la Concorrenza ha

un ruolo da giocare, è introdurre


meccanismi di tutela delle nostre
imprese dalla concorrenza sleale

di aziende di paesi terzi: imprese


controllate o sussidiate dallo Stato
o fusioni che comunque derivano

da una strategia geopolitica che ha


poco a che vedere con operazioni
di mercato. O anche imprese che

beneficiano di un mercato interno


protetto da crescenti barriere
commerciali.

L’evoluzione da un contesto


globale tutto sommato cooperati-
vo a uno profondamente conflit-

tuale cambia purtroppo le regole


del gioco e obbliga anche l’Unione
Europea a dotarsi di strumenti

adeguati a difendere lo spazio


competitivo delle proprie aziende.
Anche per questo motivo,

l’azione dell’autorità della concor-


renza deve rimanere in ambito eu-
ropeo. Il documento franco/tede-

sco/polacco sostiene invece che in


vari casi e soprattutto nella defini-
zione dei criteri di efficienza, i po-

teri delle autorità nazionali do-
vrebbero essere rafforzati. Rinvi-

gorire la sovranità nazionale su


uno dei pochi ambiti di politica
economica della Commissione,

soprattutto in un’ottica di mercato


unico, sarebbe un errore davvero
grave e darebbe facilmente spazio

a interessi nazionali probabil-


mente di scarso beneficio per la
collettività europea.

In sintesi, non spetta alla signo-


ra Vestager lo sviluppo e la pro-
mozione dell’industria europea,

ma certo la rapida evoluzione di


mercati richiede anche un conti-
nuo aggiornamento delle regole

sulla concorrenza.


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