la Repubblica - 12.11.2019

(Ron) #1
«Don’t ask, don’t tell» è la formula
magica con cui la sfera militare sta-
tunitense gestisce le situazioni più
imbarazzanti. E “non chiedere, non
dire” è anche la pratica seguita in Ita-
lia da governo, Parlamento e alti co-
mandi di fronte alle operazioni del-
le forze speciali. Difficile stabilire do-
ve finisca la ragione di Stato e comin-
ci l’ipocrisia istituzionale, ma nessu-
no ha mai voluto fare luce sulla real-
tà di quello che i nostri incursori
compiono all’estero. Di sicuro com-
battono: uccidono, catturano nemi-
ci, subiscono perdite. Lo fanno da 14
anni. In questo lungo periodo tutti i
partiti si sono alternati al potere,
senza premurarsi di chiarire quanto
accadeva. Se in passato si potevano
chiamare in causa gli obblighi verso

la Nato e i relativi patti segreti, pure
questo alibi ormai ha perso valore.
Resta solo il buco nero nella nostra
democrazia.
Anzitutto bisogna ricordare che i
commando non vanno a rischiare la
vita per iniziativa personale: agisco-
no per ordine dei governi e nel limi-
te, spesso spinto all’estremo, del
mandato stabilito dal Parlamento.
Le indagini delle procure militari
non hanno mai sanzionato il loro
comportamento. Eppure i vertici
delle forze armate e i ministri non
hanno mai reso nota la natura di
queste azioni — “don’t tell” appunto
— mentre nessun movimento politi-
co si è mai mobilitato per saperne di
più, osservando la prassi del “don’t
ask”. Alle Camere le interrogazioni

si contano sulla punta delle dita e
nelle votazioni annuali sulle missio-
ni internazionali la questione non
viene mai sollevata.
Tutto comincia alla fine del 2006,
quando dall’Afghanistan trapelano
indiscrezioni sull’operazione Saris-
sa, il nome della lancia delle falangi
macedoni, pubblicate da L’Espres-
so. A condurla è la Task Force 45, un
reparto composto dal meglio delle
forze speciali. Primo problema: il re-
parto non dipende dalla gerarchia
italiana ma direttamente dal coman-
do Nato, dove sono presenti ufficiali
italiani, che non ha bisogno del per-
messo di Roma per mandare all’as-
salto questi incursori di Esercito,
Marina e Carabinieri. Secondo pro-
blema: contrariamente alla retorica
dominante delle “spedizioni di pa-
ce”, la Task Force 45 fa la guerra. Va
alla caccia dei capi talebani e qaedi-
sti, scopre e “neutralizza” i laborato-
ri dove si confezionano le micidiali
bombe artigianali, elimina e cattura
i nemici. Anche se nei rapporti uffi-
ciali non c’è mai traccia di vittime
né di prigionieri, che non si sa se ven-
gano consegnati alle autorità di Ka-
bul o a quelle Usa. Non è neppure
chiaro se il ministro della Difesa Ar-
turo Parisi fosse pienamente infor-
mato di questa entità guerriera. I do-
cumenti statunitensi svelati da Wiki-
Leaks, oltre a fornire dettagli sulle
attività belliche top secret, spiega-
no come davanti alle insistenze del-
la Casa Bianca per un maggiore im-
pegno in Afghanistan, il premier
Prodi e il ministro degli Esteri D’Ale-
ma avrebbero promesso di mantene-
re immutato il numero dei militari,
aumentando però la quota di com-
battenti. La Task Force 45, appunto:
una soluzione rapida e invisibile.
All’epoca, soltanto Rifondazione
ha presentato interrogazioni, senza
particolare insistenza. Poi quando a
Palazzo Chigi è tornato Berlusconi
la spedizione afghana viene molti-
plicata, quasi 5000 uomini, e lancia-
ta in vere offensive. Solo l’uccisione
di un ufficiale della Task Force 45 ha
risvegliato l’opposizione, con alcuni
deputati Pd pronti flebilmente a
chiedere ragione di una squadra
d’assalto creata dai loro compagni
di partito.
L’ambiguità è proseguita fino al
2016, quando Matteo Renzi ha cam-
biato le regole: le forze speciali pote-
vano agire agli ordini di Palazzo Chi-
gi, equiparate così agli 007 con riser-
vatezza e immunità totali. Un modo
di assumersi la responsabilità politi-
ca delle azioni, che però le rendeva
formalmente segrete e rivoluziona-
va le tradizioni in materia. Questa
copertura istituzionale, usata in Li-
bia contro l’Isis, non riguarda la Ta-
sk Force 44, spuntata dal nulla in
Iraq per debellare lo Stato Islamico.
Ufficialmente, il mandato è di men-
toring: consigliare le truppe locali e
se necessario accompagnarle in bat-
taglia. Un altro escamotage speri-
mentato in Afghanistan e in Soma-
lia. M5S ha contestato l’attività ira-
chena, pur non facendone una cam-
pagna come per l’F-35. Poi la mini-
stra Trenta è andata a Bagdad a in-
contrare gli uomini della Task Force
44 e ieri Di Maio ha giustamente tri-
butato solidarietà ai feriti, definen-
doli “impegnati nella formazione
delle forze irachene”. Il solito ritua-
le farisaico, per tutelare il silenzio.
Fino ai prossimi caduti, sacrificati in
guerre che non esistono. Ma da cui
dipende anche la nostra sicurezza.

BADERKHAN AHMAD/AP

Il Parlamento


si nasconde dietro


alla formula “Non


chiedere, non dire”.


Mentre si combattono


guerre che non


esistono ufficialmente


diGianluca Di Feo

Primo piano La trappola mediorientale


Così cala il segreto di Stato


sulle nostre missioni fantasma


. Martedì,^12 novembre^2019 pagina^7

Free download pdf