L\'Espresso - 20.10.2019

(Steven Felgate) #1
L’intervento

zazione, d’altronde, non poteva che aumentarne il nume-
ro ed enfatizzarne gli efetti. A casa nostra, nei paesi libe-
raldemocratici, tali contraddizioni sono talmente forti
da indebolire l’appeal della democrazia, al punto di met-
tere in discussione che essa sia il regime politico più fun-
zionale agli scopi di chi vuole organizzare il vivere civile
perseguendo libertà e giustizia. Così va in scena quella
democrazia dei vuoti di cui parlava, sempre domenica
scorsa, il direttore Marco Damilano nel suo editoriale.
La montagna sulla quale la sinistra, come Sisifo, spinge
a forza di braccia la sua pietra s’è fatta più erta. E la disce-
sa da cui, conquistata la cima, la pietra rotola al piano, è
diventata più ripida. Proprio perché il mondo è più com-
plicato, le energie di cui Sisifo potrebbe giovarsi hanno
origini diverse. E sovente anche loro contraddittorie. La
vecchia e nuova forza del laburismo e della socialdemo-
crazia, la forza della rappresentanza sindacale e politica
del lavoro, possono oggi soccorrere Sisifo, ma non esauri-
re il suo fabbisogno energetico. La forza delle emergenze
ambientali, che reclamano cambiamenti epocali, entra
ad esempio in conlitto con la forza del lavoro. L’urgenza
verde può e vuole farsi energia al servizio dello sforzo di
Sisifo, ma solo a patto di trovare una sintesi con le altre
forze che ne sostengono la fatica.
Giuseppe Berta, ragionando (sul Corriere Economia
del 14 novembre scorso) intorno al dissidio fra transizio-
ne energetica e industria dell’auto, l’ha spiegata così, fuor
di metafora sisiiana: «La prossima generazione di veico-
li a batterie sarà più semplice da costruire, per cui ci sarà
bisogno di meno mano d’opera e molti dei processi oggi
aidati all’uomo domani saranno eseguiti da robot.
Scompariranno così posti di lavoro e le capacità e le co-
noscenze di molti non serviranno più. Quando la situa-
zione troverà un suo equilibrio, ci si aspetta un quadro
industriale a minore intensità di lavoro».
Come fa la sinistra a tenere insieme e governare un
progresso così umanamente contraddittorio?
Come fa Sisifo a non perdere la iducia in se
stesso a continuare a spingere il suo macigno?
Non avere una scrittura issa, per dirla ancora
con Genna, può aiutare. Vivere una stagione di
mezzo, com’è proprio la fase di transizione di
questi nostri contraddittori anni, richiede di
fare ricorso alla reinvenzione di sé e del mon-
do. Richiede di recuperare le ragioni storiche
di un’azione pubblica complessiva, più che di

iuseppe Genna ha scritto domenica
scorsa su L’Espresso un articolo (“La
sinistra è desiderio”) che ben descrive
la natura della sinistra: «La sua predi-
cazione non si basa su nessuna scrittu-
ra. La sinistra è la sua stessa reinven-
zione». Ripensarsi costantemente,
quindi ricrearsi, è l’attributo fonda-
mentale del riformismo. Ed è proprio sviluppando
quest’attributo di critica e revisione, che la sinistra stori-
camente si pone come termine dialettico della destra. La
fedeltà a una teoria data e issa impedirebbe, com’è ov-
vio, alla sinistra di distinguersi: la fedeltà a un canone
scritto è per deinizione conservatrice.
Le rilessioni di Genna ricordano quelle di Eduard
Bernstein, che alla ine dell’Ottocento scriveva che il ine
è nulla, il movimento è tutto e il socialismo, piuttosto che
un ine da raggiungere, è lo strumento per far evolvere e
rendere sempre più democratica la democrazia. Bern-
stein era amico di Engels ed era un pensatore e un mili-
tante socialdemocratico. Vivendo nel Regno Unito, stu-
diava l’evoluzione del capitalismo e della democrazia li-
berale britannica, veriicando come le premonizioni di
Marx sul crollo imminente dell’economia di mercato
fossero un po’ esagerate.
Nel suo libro più bello (“I presupposti del socialismo e i
compiti della socialdemocrazia”), Bernstein osservava
come una delle premesse che la dottrina marxista richie-
deva per l’avvento del comunismo, l’accumulazione del
capitale, non si stava realizzando. Al contrario, il capitale
e la ricchezza andavano aumentando e distribuendosi.
Noi socialdemocratici, scriveva Bernstein, dovremmo
dolercene, e lavorare ainché il capitale si accumuli in
poche mani, poiché Marx ci ha detto che è essenziale che
accada se vogliamo produrre le condizioni per il comuni-
smo. Tuttavia non solo non ce ne doliamo: noi operiamo
politicamente ainché il capitale cresca e si
difonda! L’errore, si chiedeva quindi Bern-
stein, sta nella teoria o nella pratica? Non può
che stare in una teoria, concludeva, che pre-
tende che le condizioni di vita di tutti debbano
peggiorare per il perseguimento di un obietti-
vo inale predeterminato e, per giunta, sba-
gliato.
Il nostro presente ofre alla vista ovunque
contraddizioni tra prassi e teoria: la globaliz-

SINISTRA, LA DIETA DI SISIFO

DI ANTONIO FUNICIELLO

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