18 Giovedì 12 Settembre 2019 Il Sole 24 Ore
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LE CELEBRAZIONI A ROMA
NEI 150 ANNI
DEGLI EDITORI
LA STORIA DEL PAESE
«I
n latino liber-libro e liberum-libero sono
due etimi differenti: da un lato, l’interno
della corteccia degli alberi su cui si scrive-
va, dall’altro la condizione di libertà. Ma
l’identità del suono trasmette una sugge-
stione davvero grande: avvicina i libri alla
libertà». Applauditissimo, il presidente della Repubblica,
Sergio Mattarella, è stato ospite dell’Aie, l’Associazione
italiana editori che ieri all’Auditorium Parco della Musica
a Roma ha celebrato i suoi anni davanti a un parterre
di ospiti che vanno dai principali editori al ritornato mini-
stro dei Beni culturali, Dario Franceschini, agli ex premier
Romano Prodi e Mario Monti, all’attuale presidente Anica,
Francesco Rutelli, al presidente Fieg, Andrea Riffeser
Monti, solo per citarne alcuni.
Un record di longevità per l’organizzazione che riuni-
sce gli editori di libri le cui radici affondano nelle idee (e
nella caparbietà, considerando i tempi) di fondatori fra
cui Nicola Zanichelli, Emilio Treves, Edoardo Sonzogno.
Quello dell’Aie è un percorso lungo anni che inevita-
bilmente si intreccia con la storia del Paese. In quel
l’Italia unita aveva otto anni e la capitale era Firenze. La
breccia di Porta Pia arriverà un anno più tardi e Roma
diventerà capitale due anni dopo. Come ha ricordato Pao-
lo Mieli che ha condotto i lavori, nel venivano pubbli-
cati L’idiota di Fedor Dostoevskij e L’educazione sentimen-
tale di Gustave Flaubert e anche allora (corsi e ricorsi sto-
rici) l’Italia viveva un momento politico complicato, con
l’avvicendarsi dei governi Menabrea e Lanza e l’inasprirsi
del malcontento per la tassa sul macinato. Da allora il
Paese è cresciuto, passando attraverso i dizionari Zinga-
relli negli anni della Prima guerra mondiale, o la prima
enciclopedia Treccani degli anni o ancora i primi “best
seller” come Le avventure di Pinocchio o Cuore. Quella del-
l’editoria libraria è «anche una storia di libertà. Libertà
che vuol dire confronto, dialogo, apertura di orizzonti»,
continua il capo dello Stato con riflessioni che approdano
ai giorni nostri: «Tante famiglie si stanno misurando con
le difficoltà di assicurare ai propri figli quel che occorre
per l’istruzione» e «l’istruzione dei ragazzi è valore pri-
mario della Repubblica», ha aggiunto Mattarella, puntan-
do poi sul fatto che «si legge ancora troppo poco in Italia,
dobbiamo migliorare. Leggere è una ricchezza immate-
riale della quale non possiamo fare a meno. La scuola
resta un bacino decisivo in cui seminare».
Nodo cruciale quello della lettura. Il presidente dell’Aie,
Ricardo Franco Levi, lo definisce «un’autentica emergenza
nazionale». Lo scandisce Levi, presidente di quegli editori
che devono vivere come «privilegio e responsabilità» il
loro «essere portatori di un interesse particolare che corri-
sponde all’interesse generale» di un Paese in cui non può
esserci futuro «se non mettiamo l’istruzione, la conoscen-
za, il sapere al centro dell’agenda politica nazionale». Che
la sfida passi per l’aumento dei lettori lo testimoniano i dati
di una ricerca Aie (“Sfida al futuro”) che segnalano come
si legga poco (il % dei -enni legge un libro all’anno
con l’Italia che tra i cinque maggiori mercati europei è
quello con indice di lettura più basso) e male (il % legge
un libro ogni mesi e solo il % per più di un’ora al giorno).
Il digitale, in questo, non ha aiutato ad allargare la base
(solo il % legge libri esclusivamente in digitale). «Non
chiediamo aiuti speciali per noi», ma «una politica di effet-
tiva promozione della lettura», ha voluto puntualizzare
Levi, orgoglioso di parlare a nome della «prima industria
culturale del Paese», il cui prestigio è testimoniato dall’in-
vito «dopo quasi vent’anni come Paese ospite d’onore alla
Fiera del Libro di Parigi del e dopo più di trenta a
quella di Francoforte» del . Saranno palcoscenici sen-
za pari per la quarta editoria in Europa. Certo, da sfruttare
con una comunione di intenti e di politiche che non ha
avuto la sua cartina di tornasole nel dualismo vissuto, per
esempio, fra i Saloni di Torino e di Milano. A ogni modo,
Parigi e la Buchmesse possono rappresentare un plus per
un mercato che «tiene, rispetto al grande mondo dell’edi-
toria in senso lato. Il libro è parte dell’evoluzione culturale
del Paese. Coesione a tutto campo, dalla cultura si riparte»,
ha detto il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia.
Anche qui a parlare sono i dati: +,% annuo di crescita a
valore nel primo semestre del e +,% quanto a copie
(, milioni) nei libri di varia adulti e ragazzi nei canali
trade (compresa la stima Aie di Amazon), un mercato nel
da , miliardi nel trade e , in quello complessivo.
«La legge sul libro è stata approvata dalla Camera.
Adesso c’è lo spazio, visto che la legislatura durerà, per
migliorare, integrare, ragionare», ha detto a margine il
ministro Franceschini. Sul palco invece Levi conclude rifa-
cendosi alle parole di Mattarella che nel , all’inaugura-
zione del Salone di Torino, disse che «leggere ha a che fare
con la libertà e la speranza». Per quella libertà e speranza
«noi editori siamo impegnati. Lo siamo stati nei primi
anni e lo saremo anche per i prossimi».
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«CETA E MERCOSUR BANCO DI PROVA PER IL GOVERNO»
«C
he succede-
rà con il Ce-
ta? E con i
trattati del-
l’Unione
europea con
gli Usa e il Mercosur?». Michele Geraci,
sottosegretario in quota Lega dello Svi-
luppo economico con delega al com-
mercio estero nel precedente governo,
ha lasciato in eredità decisioni sulla po-
litica commerciale che ora potrebbero
condizionare pesantemente il rappor-
to tra i nuovi alleati MS-Pd. Già ieri
qualche segnale si è visto: le dichiara-
zioni del nuovo ministro dell’Agricol-
tura, la renziana Teresa Bellanova, che
apre a un «ragionamento» sulla ratifi-
ca del Ceta, il trattato commerciale con
il Canada, hanno innescato subito la
replica dei Stelle con il senatore Nico-
la Morra («Siamo fortemente contrari
e non è nel programma»).
Geraci riannoda il filo della vicenda:
«Sia io che Di Maio e Salvini pensiamo
che il Ceta possa recare problemi ai
nostri agricoltori e personalmente
non lo porterei in Parlamento per la
ratifica. Lasciarlo così, in sospeso, è
un’arma tattica nei negoziati con la Ue
perché Bruxelles sa che se l’Italia lo
boccia il trattato decade. Ma mi chiedo
che cosa farà ora il Pd, che aveva sem-
pre sostenuto l’importanza di ratifi-
carlo». Lo stesso discorso inoltre, pro-
segue Geraci, si può fare su altre parti-
te in cui il «liberismo commerciale dei
Dem non si concilia con la posizione
dei Cinque Stelle che invece, in analo-
gia con la Lega, sono a favore dei sog-
getti più schiacciati dalla globalizza-
zione come gli agricoltori e le micro e
piccole imprese».
Sul tema dell’accordo di libero
scambio tra Ue e Usa, ciò che resta del
vecchio Ttip, Geraci ricorda che Lega e
Stelle si erano schierati a favore solo
a patto di tenere fuori dal dossier l’agri-
coltura. «Non mi sembra però che il Pd
abbia mai sostenuto questo punto. E
non basta, ci hanno criticato anche sul-
la nostra astensione in merito all’ac-
cordo con il Vietnam, decisione da me
presa per proteggere i produttori di ri-
so per evitare una ripetizione del caso
Cambogia, e sarebbero favorevoli sen-
za troppe remore al trattato con i Paesi
del Mercosur (Argentina, Brasile, Para-
guay e Uruguay) su cui invece l’asse
gialloverde si era mostrato molto cau-
to. Queste ambiguità prima o poi
emergeranno», dice l’ex sottosegreta-
rio che, nel frattempo, non sembra
aver accantonato velleità politiche.
«Per ora mi occuperò di mettere al ser-
vizio del Paese la mia esperienza, poi
vediamo che succede». Il suo nome era
stato centrale nelle settimane in cui si
è preparata la firma del protocollo di
intesa con la Cina per la Nuova Via del-
la Seta. «Sono passati sei mesi, abbia-
mo già risultati sull’aumento dei voli
tra i due Paesi e su accordi per il turi-
smo in Sicilia, abbiamo avuto apertura
sulle esportazioni di carni bovine e ovi-
ne e c’è l’interesse di investitori cinesi
per società di calcio. In più, a novem-
bre, l’Italia sarà ospite d’onore alla Fie-
ra di Shanghai. Ora tocca alle imprese
e il mio invito è quello di avere più co-
raggio. Devono vincere la storica pau-
ra, comprensibile, a interagire con quel
mercato, nella consapevolezza che i
due governi hanno aperto una strada
per dare alle aziende un maggiore li-
vello di sicurezza e protezione in ter-
mini di reciprocità delle regole».
Con il prospettato passaggio delle
competenze sul commercio estero dal-
l’ex ministero di Di Maio al suo nuovo
dicastero - cioè dallo Sviluppo econo-
mico agli Affari esteri - ora sarà proprio
la Farnesina a gestire tutta l’implemen-
tazione del protocollo con la Cina.
«Quando lo abbiamo firmato, gli Esteri
si occuparono prevalentemente delle
questioni che potevano impattare sul
nostro atlantismo e sul rapporto con
Ue e Stati Uniti, mai messi in dubbio».
di Carmine Fotina
UE, USA E CINA: I DAZI SI BATTONO
SOLO SE RITORNA LA PIENA FIDUCIA
M
entre Donald Trump
è quotidianamente
impegnato a inner-
vosire con i suoi
tweet a turno tutti i
suoi principali part-
ner commerciali (dalla Cina al-
l’Unione europea, dall’India al Ca-
nada e al Messico), gli altri Paesi
hanno cominciato a dedicarsi con
rinnovato entusiasmo alla produ-
zione di una nuova generazione di
accordi preferenziali, volti a rinsal-
dare i loro legami economici reci-
proci a dispetto, verrebbe voglia di
dire, degli Stati Uniti.
In linea di principio, gli accordi
commerciali preferenziali tra grup-
pi ristretti di Paesi membri dell’Or-
ganizzazione mondiale del com-
mercio (Omc) sarebbero una viola-
zione del suo motto multilaterale “o
tutti (partecipano), o nessuno (può
partecipare)”. Tuttavia questa vio-
lazione è tradizionalmente tollerata
nella misura in cui gli accordi tra
pochi possono essere considerati
un primo passo verso futuri accordi
tra tanti, soprattutto quando gli
esclusi, in questo caso gli Stati Uniti,
non se ne curano.
Prendiamo il caso dell’Unione
europea. A oggi la Ue ha accordi in
vigore con circa trentacinque Paesi.
L’ultimo è quello entrato in vigore
con il Giappone il febbraio . In
aggiunta, l’Unione ha molti altri ac-
cordi in diverse fasi di completa-
mento. Con poco meno di una tren-
tina di Paesi ha già concluso con
successo la fase di negoziazione dei
relativi accordi commerciali. Molti
dei Paesi coinvolti sono africani, ma
il fiore all’occhiello è la recentissima
conclusione, il giugno , dei
negoziati con il Mercosur, il merca-
to comune dell’America meridiona-
le, che coinvolge il Paraguay e l’Uru-
guay, ma anche l’Argentina e so-
prattutto il Brasile, la maggiore po-
tenza economica sudamericana e
un membro del circolo ristretto dei
“grandi mercati emergenti” (di cui
fanno parte colossi come Cina e In-
dia). Questi accordi attendono la fir-
ma delle controparti e la successiva
ratifica interna dei Paesi firmatari
in un’ottica “dentro o fuori”: o ven-
gono firmati e ratificati così come
sono o non se ne fa niente (“no de-
al”). Questo vale ovviamente anche
per il negoziato concluso il no-
vembre con il Regno Unito in
ambito Brexit, anche se il nuovo pri-
mo ministro britannico Boris John-
son sembra doversene ancora fare
una ragione.
A una fase più avanzata in termini
di completamento sono altri accordi
già firmati ma non ancora ratificati,
come quelli con Singapore e Viet-
nam, siglati rispettivamente il ot-
tobre e giugno . Ci sono
infine ulteriori accordi con più di
quaranta partner commerciali, che
sono anch’essi firmati e in attesa di
ratifica, ma vengono già applicati in
via provvisoria. Questi ultimi copro-
no un gran numero di Paesi africani,
i Caraibi, la quasi totalità dei Paesi
del Centro America, quasi tutto il Su-
damerica fuori dal Mercosur e so-
prattutto il Canada. Tirando le som-
me, la Ue ha quindi accordi commer-
ciali in vigore o in cantiere con più di
cento Paesi in tutto il mondo.
La ragione di questa iperattività
europea è che il commercio interna-
zionale ha bisogno di certezza nelle
regole del gioco e gli accordi interna-
zionali sono il modo migliore per
creare tale certezza, almeno quando
non c’è Donald Trump a rappresen-
tare uno dei contraenti. Dal marzo
molto si è detto e scritto sugli
“effetti del primo ordine” della guer-
ra dei dazi dichiarata dagli Stati Uniti
contro il resto del mondo, cioè sugli
effetti causati da tasse più alte sulle
importazioni americane. Molto me-
no si è detto e scritto sugli “effetti del
secondo ordine” della strategia neo-
protezionista del presidente ameri-
cano, cioè sugli effetti dell’incertez-
za causata dalle accelerazioni, dalle
sterzate e dalle inversioni di marcia
della sua amministrazione in mate-
ria di commercio internazionale.
Per capire quanto questi “effetti
del secondo ordine” possano essere
importanti, è utile analizzare che
cosa è successo dopo che Stati Uniti
e Cina sono diventati “amici” in oc-
casione dell’ingresso della Repub-
blica Popolare Cinese nell’Omc l’
dicembre . La maggior parte
dello straordinario aumento delle
importazioni americane dalla Cina
è avvenuto proprio a partire da
quella fatidica data. Verrebbe quindi
naturale pensare che sia stata la ri-
duzione dei dazi statunitensi, di cui
ha potuto godere la Cina entrando
nell’Omc, a causare la crescita delle
importazioni statunitensi.
In realtà le cose non sono andate
così. E la ragione è che i dazi appli-
cati dagli Stati Uniti alle importa-
zioni cinesi sono rimasti pressocché
invariati dopo l’ingresso della Cina
nell’Omc. A stimolare il commercio
cinese, infatti, non è stata tanto la
riduzione dei dazi quanto la ridu-
zione dell’incertezza sui dazi tra i
due Paesi. È vero che, in base alla
di Gianmarco Ottaviano
GERACI (LEGA):
PRIMI RISULTATI
DELL’INTESA
CON PECHINO,
MA SERVE
PIÙ CORAGGIO
Sul trasferimento delle competenze
c’è stato ieri un incontro tra il ministro
dello Sviluppo economico Stefano Pa-
tuanelli e i sindacati, che hanno ribadi-
to la contrarietà all’operazione per l’in-
debolimento del Mise. Patuanelli
avrebbe informato dell’intenzione di
preservare alcune funzioni, ad esem-
pio il legame con le camere di commer-
cio che si occupano di internazionaliz-
zazione. E il decreto legge, inizialmente
atteso al consiglio dei ministri di oggi,
potrebbe essere rinviato per approfon-
dimenti. Da ex sottosegretario dello
Sviluppo, Geraci aspetta dettagli per
dare un giudizio definitivo: «Può esse-
re una cosa che funziona, la diplomazia
economica ci vuole ed è giusto raffor-
zarla ma molto dipenderà dalle moda-
lità con cui si fa. Può avere un senso a
patto di tenere un legame molto stretto
con lo Sviluppo perché non dimenti-
chiamo che alla fine parliamo di inter-
nazionalizzazione delle imprese che
vivono a cavallo con il mercato dome-
stico. La Farnesina avrà il difficile com-
pito di amalgamare le competenze tec-
niche e i dati del sistema industriale ed
il passaggio del personale che ora se ne
occupa al Mise può essere un primo
passo. Ma servirà un coordinamento
trans-ministeriale».
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“clausola della nazione più favorita”
(Cnpf), nessuno Stato membro del-
l’Omc può discriminare un altro
Stato membro, imponendo a que-
st’ultimo dazi più alti che agli altri
Stati membri. Tuttavia, gli Stati
Uniti già applicavano volontaria-
mente alla Cina tale clausola dal
lontano . L’aspetto cruciale è
che, essendo una concessione, in
qualunque momento gli Stati Uniti
avrebbero potuto cancellarla. Non
l’hanno mai fatto, ma negli anni No-
vanta, sulla scia delle proteste della
piazza Tienanmen, la revoca è finita
regolarmente sul tavolo del parla-
mento di Washington. Una spada di
Damocle sulla testa delle imprese
cinesi, la cui caduta avrebbe com-
portato un drammatico aumento
del dazio medio americano sulle
importazioni cinesi, per esempio
dal al % nel .
A promuovere gli scambi tra Cina
e Stati Uniti dopo il non è stato
tanto l’esercizio effettivo della Cnpf,
quanto la certezza che tale esercizio
non poteva più essere sospeso unila-
teralmente da una delle due parti. I
danni più duraturi che Donald
Trump sta facendo all’economia
mondiale non vengono necessaria-
mente dai maggiori dazi, ma piutto-
sto dall’incertezza creata sulle “re-
gole del gioco” scritte nei trattati in-
ternazionali. Per questo motivo, i
costi dell’incertezza causata dalla
guerra dei dazi potrebbero perma-
nere a lungo anche se dovesse presto
scoppiare la pace. Permarranno fino
a quando non verrà restaurata la
piena fiducia in un sistema condivi-
so di accordi stabili tra partner com-
merciali affidabili.
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I DANNI DI TRUMP
SONO CAUSATI
SOPRATTUTTO
DALL’INSTABILITÀ
CHE PROVOCA
SUI MERCATI
Michele Geraci.
Nato nel 1967
a Palermo, laurea
in Ingegneria
elettronica,
è stato
sottosegretario
al ministero
dello Sviluppo
economico nel
Governo Conte I.