Il Sole 24 Ore - 21.08.2019

(singke) #1

Il Sole 24 Ore Mercoledì 21 Agosto 2019 17


Mondo

Cresce il vantaggio di Joe Biden


nella corsa per le primarie
democratiche Usa. L’ultimo

sondaggio Cnn gli assegna il %


dei consensi dell’elettorato dem
contro il % di Bernie Sanders.

Usa 2020


Biden sempre


più front runner


tra i candidati


democratici


Islamabad chiederà il giudizio


della Corte Internazionale di
Giustizia, allegando che l’India

viola diritti umani revocando


l’autonomia alla regione a
maggioranza musulmana.

La controversia


Il Pakistan


porta all’Aja


la disputa


sul Kashmir


Più investimenti in Germania,


più crescita dello 0,3% in Italia


PIANO ALLO 0,5% DEL PIL


Beneficiari, secondo


uno studio del Fmi,


soprattutto i Paesi periferici


Berlino dovrebbe spendere


, miliardi all’anno


per almeno quattro anni


Riccardo Sorrentino


Per ora è un ballon d’essai. Un au-


mento delle spese pubbliche, in Ger-


mania, è al di là da venire. Eppure, un
incremento dell’impegno fiscale sot-

to forma di investimenti pubblici, fa-


rebbe bene all’economia tedesca, e gli
effetti si diffonderebbero su tutta Eu-

rolandia (e sull’Italia, probabilmente,


più che su ogni altra economia).
La Germania è economicamente

un paese “fortunato”. O meglio lo è


diventato, grazie a una strategia di
lungo periodo ben studiata. Ha tro-

vato l’araba fenice degli economisti:


è uno di quei paesi, rari, in cui gli in-
vestimenti pubblici - ma non altre

spese o tagli alle imposte - in un certo


senso possono ripagarsi da soli, nel
tempo. È questo infatti il risultato di

un’analisi (Das Public Kapital: How
Much Would Higher German Public In-

vestment Help Germany and the Euro


Area?) realizzata nel  da Selim
Elekdag e Dirk Muir per il Fondo mo-

netario internazionale. In genere,


questo tipo di lavori - un working pa-
per - non esprime la visione ufficiale

dell’Fmi, ma lo stesso Fondo ha poi


utilizzato i risultati della ricerca più
volte nei suoi rapporti ufficiali, l’ulti-

ma volta nel . Possono essere


considerati quindi semiufficiali e, so-
prattutto, ancora validi.

Lo studio parte dell’ipotesi di


aumentare gli investimenti pubbli-
ci dello ,% del pil per un periodo

di quattro anni (, miliardi l’anno


se calcolato sul pil nominale ).


Secondo gli autori questo sforzo
può essere reso compatibile con le

regole fiscali tedesche (introdotte


nel  ed entrate pienamente in
vigore nel ).

Ipotizzando che la politica mone-


taria resti espansiva - e i suoi effetti
non si contrappongano quindi allo

stimolo fiscale - e che le famiglie non


modifichino le loro abitudini di ri-
sparmio in reazione allo sforzo fisca-

le (tecnicamente: non sono ricardia-


ne), l’analisi giunge a risultati inte-
ressanti: il pil aumenterebbe nel bre-

ve periodo per i maggiori consumi
pubblici (in una prima fase anche gli

investimenti pubblici sono mere spe-


se), ma poi grazie all’aumento della
produttività farebbero salire il pil in

modo durevole di , punti percen-


tuali, malgrado il crowding out degli
investimenti privati (che verrebbero

parzialmente spiazzati da quelli pub-


blici). L’effetto sarebbe maggiore,
inoltre, se queste spese fossero fi-

nanziate con maggior debito (e al-


l’epoca i rendimenti tedeschi non
erano ancora negativi).

I forti legami con tutta Eurolandia



  • grazie alla moneta unica e alla cate-
    na del valore - creerebbero vantaggi


anche per altri Paesi. In particolare il


pil aggregato di Grecia, Irlanda, Italia,
Portogallo e Spagna - i paesi “sotto

stress” - potrebbe crescere, sempre


«in modo durevole» di , punti
percentuali; e «la forza dei legami

commerciali con la Germania» im-


plicherebbero per esempio, scrivono
Elekdag e Muir«effetti positivi mag-

giori per l’Italia».


Quasi a chiudere una lunga e ste-
rile polemica sull’enorme surplus

con l’estero della Germania, la ricerca


trova infine che l’avanzo corrente te-
desco, con questo piano, sarebbe ap-

pena ridimensionato, mentre il mi-
glioramento del saldo dei cinque pa-

esi “sotto stress” sarebbe lievissimo.


AFP

Il dilemma di Angela. In caso di recessione Berlino dovrà varare un piano anti-crisi


Consensi in crescita.
Joe Biden, candidato
dem alla Casa Bianca

Naturalmente occorre che tutto


“vada bene”. Gli investimenti vanno


ben scelti - e questo non è facile, in
un’economia avanzata - e il loro co-

sto non può essere “eccessivo” (è un


problema anche tedesco: può sor-
prendere, ma la Germania ha subito

qualche giorno fa una procedura


d’infrazione da parte del Consiglio
d’Europa per non aver rispettato per

anni le raccomandazioni contro la


corruzione, e la tensione a favore del-
la concorrenza degli ordoliberali si

annacqua sempre più...).


In ogni caso,meglio non sperarci
troppo, in un simile piano. Per varar-

lo occorrebbe superare il vincolo di


un’opinione pubblica ormai convinta
dell’assoluta bontà del bilancio in pa-

reggio. Un fatto nuovo, questo: in


passato raramente il governo tede-
sco - a differenza per esempio di

quello svizzero - ha chiuso bilanci in


attivo o in pareggio (il record fu il di-
savanzo pari al ,% del pil del ’). La

crisi fiscale del -, però, ha la-


sciato il segno.
Giocare con le spese pubbliche e

con il debito che ne consegue - è stata
la lezione degli ultimi anni - è perico-

loso. Anche per questo motivo non è


possibile fare per l’Italia un discorso
analogo a quello tedesco. Nel nostro

Paese gli investimenti pubblici godo-


no di un effetto quasi altrettanto im-
portante (secondo la Banca d’Italia il

moltiplicatore oscilla tra , e ,). Il


problema è però l’andamento dei
rendimenti sui titoli di Stato, definiti

dalla domanda dei risparmiatori.


Una simulazione «illustrativa» del-
l’Fmi su una manovra mista (tagli alle

imposte, spese sociali, investimenti)


che in astratto potrebbe avere l’effet-
to di aumentare il pil di un punto per-

centuale entro due anni, si trasfor-


merebbe in un freno forte all’econo-
mia (fino al -% rispetto allo scenario

base) con un aumento permanente


dei rendimenti di soli  punti base.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Dati in percentuale del pil


Fonte: Eurostat

1,

2,

2,

3,

3,

4,

2,0 Italia


2,2 Germania


2,6 Eurolandia


1999 2002 2005 2008 2011 2014 2017


Investimenti pubblici


Isabella Bufacchi


C


on un Pil che inizia a


contrarsi, e la recessione


tecnica dietro l’angolo, la
Germania è costretta a

valutare il da farsi, sul breve e


lungo termine: tamponare il
deterioramento dell’economia con

misure di spesa pubblica extra ad


effetto immediato (attingendo ai
risparmi accumulati con un

debito/Pil sceso al % e se


proprio necessario sospendendo
temporaneamente il freno al

debito) e varare investimenti


pubblici e un nuovo pacchetto di
riforme strutturali della portata di

quelle introdotte nel  dal


socialdemocratico Gerhard
Schröder, per imprimere una

svolta e fors’anche riconvertire un


modello di business che sta dando
segnali di fiato corto.

Il settore manifatturiero tedesco
è già in recessione dal terzo

trimestre del  e l’export, che


traina la crescita, è sempre più
schiacciato sotto il peso della

guerra dei dazi scatenata da


Donald Trump, la prospettiva di
una Brexit caotica, il rallentamento

dell’economia cinese ed europea


(senza considerare il rischio di una
recessione negli Usa). Ma al di là

dei fattori esterni, la Germania può


porre intanto rimedio
all’arretratezza interna vista dai

più soprattutto su digitalizzazione,


trasporti e formazione, per colpa
degli scarsi investimenti pubblici,

rimasti pressoché stabili dal ,


con valori attorno al % del Pil,
bassi in confronto agli standard

internazionali.


La Germania oltretutto deve
fare i conti con l’invecchiamento

della popolazione che calerà


drasticamente nell’età lavorativa
compresa tra  e  anni (dal

,% della popolazione nel  al


,% nel ): è stato calcolato


che la forza lavoro scenderà di 


milioni nel  rispetto al , al
netto di flussi migratori in entrata

stimati in media di . circa
l’anno. L’intervento dello Stato è

sollecitato dalle imprese che


chiedono un aumento degli
investimenti pubblici nella

formazione.


L’export di questi tempi è un
tallone d’Achille. La performance

di tutti i settori industriali in


Germania dipende in media per il
% dall’export (chimica e

macchinari sopra il %). Il valore


delle esportazioni delle automobili
è sceso del ,% nel , il primo

declino dal , mentre nei primi


sette mesi del  il numero dei
veicoli non commerciali

immatricolati e prodotti in


Germania ed esportati è stato pari
a , milioni di autovetture, il %

in meno rispetto allo stesso


periodo dell’anno scorso, secondo
la VDA, l’Associazione dei

produttori di auto. Il settore auto è,
in termini di fatturato, il più

grande nell’industria tedesca: i


problemi strutturali sono noti,
riguardano il passaggio al motore

elettrico e alla guida autonoma e il


Dieselgate. Per quest’anno è
previsto un marcato calo di

produzione ed esportazioni:


l’industria automobilistica reclama
maggiori investimenti pubblici,

dallo Stato federale e anche locale,


nelle infrastrutture che sono
essenziali per accelerare la

transizione all’automazione


elettrica. Uno Stato però irrigidito,
che si è sentito «tradito» come

disse Angela Merkel sulle


scorrettezze emerse nel Dieselgate.
Non sta andando meglio alla

chimica, quinto settore industriale


in Germania esposto all’export per
il %: la produzione dovrebbe

contrarsi del ,% quest’anno,


contro un -,% del . Anche qui
emergono problemi strutturali, da

L’ANALISI


Anche cause strutturali dietro la frenata dell’economia tedesca


Pesa la crisi di settori come


auto e chimica e il Paese fa


i conti con l’invecchiamento


della popolazione


OLTRE I DAZI


Il rischio di recessione


Da mesi l’industria tedesca, la più


importante manifattura d’Europa,
risente delle tensioni commerciali

tra Cina e Stati Uniti. Il clima


d’incertezza che si è creato
attorno alla guerra dei dazi è

veleno per un Paese grande


esportatore come la Germania. La
recente contrazione del Pil nel

secondo trimestre è dovuta


essenzialmente a questo fattore:
l’industria manifatturiera di fatto

è già in recessione. Il Governo


tedesco ha ampi margini di
manovra nel bilancio e

nonostante alcuni vincoli fissati


nella Costituzione potrebbe
rispondere alla crisi congiunturale

con un piano di spesa extra,


quantificato al momento in 50
miliardi di euro. È una cifra simile

a quella utilizzata nella grande
crisi del 2008-2009. In realtà

l’economia tedesca ha


accumulato anche problemi
strutturali perché negli ultimi anni

sono mancate riforme strutturali


del tenore di quelle avviate nel
2003-2005, mentre gli

investimenti in infrastrutture


sono stati relativamente bassi e
le condizioni di strade, ponti e

ferrovie lasciano spesso a


desiderare.


Riccardo Barlaam


Dal nostro corrispondente
NEW YORK

Nuovi tagli fiscali e un ammorbidimento nella guerra
commerciale con la Cina. La Casa Bianca sta studiando

un pacchetto di misure per sostenere la crescita econo-


mica americana e allontanare le nuvole di recessione.
Tra le varie ipotesi sul tavolo ci sarebbe il taglio delle

imposte sul reddito da lavoro dipendente, secondo


fonti vicine al dossier. Una nota della Casa Bianca ha
smentito parzialmente le indiscrezioni, precisando che

il dossier è ancora in una fase iniziale.


L’idea di base dell’amministrazione è quella di ri-
durre il carico fiscale dei lavoratori per dare una scossa

ai consumi. La misura principale, che impatterebbe sui


redditi di milioni di famiglie americane, riguarda la
“payroll tax”, la tassa federale che pesa sulle buste pa-

ga, utilizzata per finanziare i programmi di assistenza


sanitaria Medicare e quelli previdenziali legati alla So-
cial Security. Il taglio della “payroll tax” aiuterebbe i

dipendenti ma anche le imprese riducendo il


costo del lavoro: al momento i lavoratori di-
pendenti pagano una percentuale di “payroll

tax” del ,% sui primi . dollari di red-


dito. Mentre i datori di lavoro pagano un altro
,% di imposta su ogni busta paga.

Un precedente nel taglio della “payroll tax”


c’è già. Risale all’amministrazione Obama che
decise di tagliare l’imposta al ,% nel -

 per favorire la ripresa e rilanciare i consu-
mi dopo la crisi. Se Trump, come è probabile,

andrà avanti con la sua idea di ridurre le tasse


alla classe media – un cavallo di battaglia democratico



  • oltre ad allontanare i venti di recessione metterà un’ul-


teriore ipoteca alla sua rielezione nel .


La proposta di taglio delle imposte sul reddito legate
alla “payroll tax” è contenuta in un libro bianco nel quale

secondo i funzionari della Casa Bianca ci sarebbero altri


tagli fiscali. Il consigliere economico Larry Kudlow ha
proposto una misura che riguarda i mercati finanziari

per ridurre le tasse sugli utili in caso di vendite azionarie.


Trump si starebbe convincendo anche dell’oppor-
tunità di rivedere alcuni dazi imposti nella trade war

con la Cina, nell’ottica di non far pesare la guerra


commerciale ai consumatori americani. Secondo una
ricerca di JPMorgan Chase, i dazi già decisi da Trump

su  miliardi di prodotti cinesi sono costati a ogni


americano  dollari. Con l’ultima tranche di dazi
di  miliardi appena rinviata dal presidente la tassa

sarebbe salita a  dollari.


I segnali di recessione in arrivo negli Usa d’altronde
sono evidenti: l’inversione della curva di rendimento

dei titoli di stato americani della scorsa settimana, la


frenata del settore manifatturiero globale. Tre econo-
misti su quattro negli Stati Uniti, secondo uno studio

della National Association for Business Economics,


prevedono una recessione dal , nonostante i ripe-
tuti proclami di ottimismo sulla crescita lanciati da

Trump il quale continua a spingere sulla Fed perché


vengano tagliati ancora i tassi monetari e per un piano
di stimolo. «La nostra economia è molto forte nono-

stante la devastante mancanza di visione di Jay Powell
e della Fed», ha twittato lunedì. «I tassi Fed andrebbero

ridotti di almeno  punti base in breve tempo, con


forse misure di quantitative easing. Se ciò avvenisse la
nostra economia potrebbe andare meglio, e anche l’eco-

nomia mondiale ne trarrebbe giovamento».


© RIPRODUZIONE RISERVATA

SULLE ORME DI OBAMA?


PER RILANCIARE I CONSUMI


Trump: allo studio taglio


dell’imposta sui salari


per sostenere la crescita


La Casa


Bianca frena:


dossier in


fase iniziale.


Allo studio


anche una


linea meno


dura sui dazi


Giù tasse e tassi. Trump con la moglie Melania


EPA

oltre un decennio: i costi


dell’energia sono troppo alti per
industrie chimiche che lavorano di

solito  ore su ; il rischio di


acque fluviali basse del Reno
(l’anno scorso hanno rallentato la

produzione per sei settimane)


potrebbe essere disinnescato da un
piano in otto punti di interventi

pubblici che però stenta a


decollare.
Non è detto però che gli

interventi strutturali debbano


riconvertire l’intero business
model tedesco. La pensa così il

chief economist di Deutsche Bank


Stefan Schneider. Pur avendo
tagliato le stime di crescita della

Germania allo ,% quest’anno e


allo ,% nel (senza tener
conto degli scenari peggiori),

Schneider sostiene con vigore che
«l’industria tedesca con questo

business model ha superato grandi


crisi come quelle degli anni  e ,
trovando sempre il modo di

vincere le sfide. L’intervento dello


Stato è necessario solo per
difendere la competitività delle

imprese tedesche contro la


concorrenza sleale di altri Paesi. E
il modello industriale tedesco è

capace da solo di adattarsi ai tempi


che cambiano, puntando sui
vantaggi comparati: farà così con

l’invecchiamento della


popolazione».
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