E il nuovo film che presenterà in concorso a Venezia, che li
vede di nuovo in coppia, solleverà un altro vespaio. Primo
perché J’accuse (L’ufficiale e la spia, nelle sale dal 21 novem-
bre) racconta la storia del capitano Alfred Dreyfus, ebreo ac-
cusato ingiustamente di tradimento dall’esercito francese nel
1894 e poi riabilitato grazie alla celebre lettera di Émile Zola
al presidente della Repubblica. Il tutto attraverso lo sguardo
del colonnello Picquart, che nel 1896 riapre il caso. Non ba-
stasse, è il secondo lavoro di Polanski dalla nascita del movi-
mento #MeToo, che ha definito «una forma di isteria di mas-
sa». Ed Emmanuelle, che ne è l’interprete con Louis Garrel
e Jean Dujardin, si troverà di nuovo in una posizione scomo-
da. L’ultima volta era successo un anno fa quando, invitata
a unirsi ai membri dell’Academy, ha risposto con una lette-
ra aperta esprimendo sdegno per l’ipocrisia. «Dite che volete
proteggere le donne? In realtà mi avete offesa, pensando che
sarei salita su quelle scale e avrei cercato la fama alle spalle
di mio marito, che avete sbattuto fuori trattandolo come un
paria». La nostra conversazione inizia da qui.
Che cosa pensa una femminista come Emmanuelle Seigner
della nuova emancipazione femminile?
«È una questione complessa. Voglio che le donne abbiano gli
stessi salari degli uomini, possano abortire e diventare pre-
sidenti della Repubblica. Ma non sopporto il puritanesimo,
credo che la seduzione sia importante e mi piace che un uo-
mo possa dire a una donna che è bella e sexy».
È da sempre una donna forte o lo è diventata suo malgrado?
«Lo sono sempre stata, abbastanza da non prendermi addos-
so il peggio degli altri. Ho sempre avuto la mia personalità,
ma il tempo ti matura, fa crescere la tua vera natura».
Parla strizzando gli occhi. Coda bassa dietro la nuca, senza
un filo di trucco ha una pelle perfetta. Indossa jeans neri con
le sneakers e una T-shirt morbida sul décolleté generoso. Dif-
ficile darle un’età, se non si sa che ha 53 anni.
Mentre i suoi pensieri diventano parole, si intuisce che
Emmanuelle Seigner è una donna molto più forte di quel
che sembra. Attrice nominata due volte ai César, madre di
due figli, cantante rock, femminista militante, ex modella, la
donna che ho davanti è soprattutto la moglie del controverso
regista polacco Roman Polanski. Nel 1988 l’ha scelta accan-
to a Harrison Ford per Frantic, ne è diventata la musa e poi
la consorte e, anche provandoci, è difficile parlare di lei senza
tirare in ballo lui. Al primo lavoro insieme Emmanuelle ave-
va 22 anni, lui era una leggenda a Hollywood con tre deca-
di in più e un bagaglio scomodo, come la condanna per sesso
con una minorenne e prima ancora il lutto seguito all’omici-
dio della prima moglie, Sharon Tate.
«Quando ci siamo messi insieme in molti hanno pensato
che Roman mi stesse manipolando. Ma nessuno mi manipola,
e non ho mai preso l’età, la mia e quella degli altri, come una
cosa vera: è solo un numero». Dopo il primo film, Seigner e Po-
lanski ne hanno fatti molti altri insieme, e nonostante l’attrice
abbia avuto un grande successo con Lo scafandro e la farfal-
la di Julian Schnabel, i ruoli per cui è più nota sono quelli che
ha girato con il marito, da Frantic a Luna di fiele, dalla Nona
porta a Venere in pelliccia. Polanski fa capolino con un duetto
anche nel primo album da solista di Emmanuelle, Dingue, ed
è ritratto come un amante scomodo. Lo è sempre stato e con-
tinua a esserlo, se si pensa che lo scorso maggio è stato espul-
so dall’Academy a causa della sua condanna, che lo rendeva
incompatibile con gli standard etici dell’era post Weinstein.