La Stampa - 25.08.2019

(Romina) #1

.


Visti da vicino

da Antonio Monda

ALAMY

CARTA D’IDENTITÀ

I film
Il colosso di Rodi
Per un pugno di dollari
Per qualche dollaro in più
Il buono, il brutto, il cattivo
C’era una volta il West
Giù la testa
C’era una volta in America

La vita
Figlio del regista Roberto
Roberti (nome d’arte
di Vincenzo Leone),
era nato il 3 gennaio 1929
a Roma, dove è morto
il 30 aprile 1989
per un attacco cardiaco

ANTONIO MONDA


U

n giorno Andrea
Leone comunicò
al padre Sergio
che avrebbe volu-
to dedicare la pro-
pria vita al cine-
ma. Il regista annuì con un sor-
riso: nulla di sorprendente,
considerata la sua storia pro-
fessionale e quella del padre,
Roberto Roberti (nome d’arte
di Vincenzo Leone), regista
del muto. Ma quando Andrea
spiegò che voleva diventare
un produttore, lo fermò imme-
diatamente: «Per fare il me-
stiere di produttore esistono
soltanto due regole. La prima
è: non metterci mai i tuoi sol-
di. La seconda è: non metterci
mai i tuoi soldi».
L’umorismo di Sergio Leo-
ne era diretto e disincantato,
ma conosceva il cinema in
ogni dettaglio, a cominciare
dai rischi. E amava esprimersi
con frasi apodittiche. Era un
uomo spiritoso come pochi,
dal carisma irresistibile e l’in-
telligenza veloce, che si com-
piaceva di esprimersi con
chiunque in romanesco. Non
che gli mancasse la cultura o il
buon italiano: era un modo
per rivendicare un’apparte-
nenza di cui era orgoglioso, e

che non abbandonava nean-
che quando affrontava espe-
rienze lontane.
Prima ancora delle esigenze
di budget, l’idea stessa di spa-
ghetti western nasce da questa
concezione, ed è il motivo per
cui apparivano, nel pieno di sto-
rie ambientate nel West, Paolo
Stoppa, Aldo Giuffrè e Mario
Brega. Ed era la ragione per cui
rielaborava con libertà e genia-
lità miti di altre culture: dalla
reinvenzione western della Sfi-
da del samurai di Kurosawa, ri-
battezzato Per un pugno di dol-
lari, all’idea di utilizzare un
eroe positivo americano per ec-
cellenza come Henry Fonda
nel ruolo di un criminale violen-
to e spietato. Per non parlare
della saga gangsteristica di C’e-
ra una volta in America, raccon-
tata da uno sconfitto come il
Noodles di Robert De Niro, al
quale attribuiva battute prou-
stiane: «Cosa hai fatto in tutto
questo tempo?», «Sono andato
a dormire presto».
Era un mito, Sergio Leone,
e come tale sembrava irrag-
giungibile, ma rispose perso-
nalmente alla mia telefonata
con cui gli chiesi di lavorare
come assistente in C’era una

volta in America. Fu molto
gentile ma disse subito «Mi di-
spiace ma non è proprio possi-
bile»: aveva una fila lunghissi-
ma di aspiranti, tutti più quali-
ficati di me, ma accettò che an-
dassi a trovarlo abitualmente,
era un uomo generoso e face-
va così con molti giovani.
La prima volta che andai

nella sua splendida villa
all’Eur mi accolse in un caffe-
tano bianco e mi offrì un caf-
fè in giardino. Il piccolo viot-
tolo che univa la strada prin-
cipale alla villa era stata ribat-
tezzata Avenue Sergio Leo-
ne, ma non ebbi il coraggio di
commentare: nel sorriso con
cui mi aveva ricevuto c’era

già la risposta. Nel suo studio
notai una rara foto a colori di
Toro scatenato, regalata da
Robert De Niro con la scritta
«For Sergio, you are the be-
st». Mi chiesi come l’avrebbe
presa Scorsese, che pure lo
venerava, ma anche in que-
sto caso non ebbi il coraggio
di dire nulla. E rimasi zitto

quando mi mostrò la sua ma-
gnifica collezione d’arte: «Pi-
casso a sedici anni dipingeva
già come Velázquez: te credo
che poi ha cominciato a fare
il cubista e le teste bovine».
Sin da quel primo incontro
partecipava la deliziosa moglie
Carla, divertita che volessi ab-
beverarmi di quanto mi diceva
questo maestro ironico e pro-
fondo, che non aveva bisogno
di alcun intellettualismo. Un
giorno gli dissi che mi era pia-
ciuto il film Mission: ero sicuro
di trovarlo complice, ma lui mi
gelò: «Spiegami un po’, tu hai
un film con una scena in cui un
personaggio viene crocifisso e
lanciato dalle cascate di Iguaçu
e ci fai i titoli di testa? Allora sei
proprio coglione». Non ebbi il
coraggio di aggiungere nulla e
mi limitai a chiedere cosa aves-
se pensato del Nome della rosa.
A me era piaciuto, ma ebbi la
saggezza di non dirlo. Leone fu
ancora una volta spietato:
«Spiegami un po’, tu me voi fa il
film realistico, riempendolo di
gente mostruosa e deforme, e
poi prendi come protagonista
l’uomo più bello del mondo a
cinquant’anni? Ma che me stai
a pijà per culo?».
Questo tipo di battute Leo-
ne le utilizzava anche riferen-
dosi ai propri film: amava
molto Clint Eastwood, ma
era cosciente dei suoi limiti
interpretativi. Sosteneva che
avesse solo due espressioni:
«con e senza sigaro». L’attore
tuttavia non fumava e una
volta lo pregò di girare una
scena senza il sigaro. Leone
replicò semplicemente: «E
che voi lascià a casa il prota-
gonista?». Chissà cosa avreb-
be detto vedendo i suoi bellis-
simi film da regista, a comin-
ciare da Gli spietati, che East-
wood dedicò proprio a lui.
La critica, specie italiana,
ha cominciato a celebrarlo
soltanto dopo la morte, ma
nel resto del mondo l’ammira-
zione era unanime e la sua in-
fluenza imprescindibile. Sul
set delle Iene Tarantino spie-
gava l’inquadratura al diretto-
re della fotografia con l’indi-
cazione «gimme a Leone».
Controverso invece il rappor-
to con Sam Peckinpah, il qua-
le ne ammirava il talento, ma
era scettico sull’operazione
di rivisitazione del western.
In un film che aveva prodot-
to, Leone ne immaginò una
tomba quando Peckinpah era
ancora in vita. Quando gliene
chiesi ragione mi spiegò che
«è un grandissimo regista ma
gli studios lo stanno ucciden-
do, e ho voluto celebrarlo co-
sì, scaramanticamente, per al-
lungargli la vita».
Rispettava molto le sue criti-
che ma guai a parlargli della
possibile rinascita del western

(«A me un film come Silverado
me fa ride» o di film non riusciti
di registi che ammirava come
Coppola: «Ma come, tu hai fat-
to un capolavoro assoluto co-
me Il Padrino e mi metti in Cot-
ton Club la macchietta di Char-
lie Chaplin: ma hai dimentica-
to che gigante è un artista co-
me Chaplin? E hai dimenticato
chi sei tu?». Ebbe un rapporto
disastroso con Peter Bogdano-
vich, che avrebbe dovuto diri-
gere Giù la testa, e bruscamen-
te paterno con Carlo Verdone,
di cui produsse i primi due
film: «A volte due schiaffoni
possono essere utili». Adorava
la complicità dei collaboratori,
a cominciare da Tonino Delli
Colli («Nun te fà ingannà dalla
statura, è un gigante») ma non
c’era nessuno di cui parlava
con maggior affetto di Ennio
Morricone, sapendo quanto la
compiutezza artistica dei suoi
film dovesse alle sue musiche.
Esiste una foto che li immorta-

la insieme a scuola («Se so pure
sbagliati er nome scrivendo
Moricone con una sola r»), ma
forse l’immagine a cui teneva
maggiormente è quella che lo
ritrae come comparsa in Roma
città aperta di Rossellini, un ca-
polavoro così distante dai suoi.
Ne aveva fatto tanta, di ga-
vetta, e imparato il mestiere
lavorando sul set di film come
Ben Hur. Un giorno gli venne
data la possibilità di debutta-
re con un peplum, e Il colosso
di Rodi ne mostra già il talento
visionario e metafisico. Ama-
va profondamente i luoghi
che reinventava, perché rap-
presentavano il modo di tocca-
re con le proprie mani il mito.
Era così anche per l’America,
dove era diventato amico di
autori quali Norman Mailer:
«Quando entravamo insieme
ai party chiedevano: ma che
ce fate voi due insieme?».
Il mondo nuovo lo affasci-
nava per l’energia, ma ne co-
nosceva la violenza, legata,
a suo modo di vedere, alla
gioventù. In un viaggio a
Hollywood venne invitato a
una cena insieme con l’ami-
co Luciano Vincenzoni.
Quando questi decise di non
andare, Leone si defilò a sua
volta, il suo inglese era anco-
ra troppo scarso per una con-
versazione. Quella decisio-
ne gli salvò la vita: chi lo ave-
va invitato era Sharon Tate
e quella era la notte del mas-
sacro di Bel Air. —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Sergio Leone —

Un talento metafisico e visionario

tra spaghetti western e gangster proustiani

Gli piaceva esprimersi
in romanesco: un modo
per rivendicare radici
di cui era orgoglioso

Declinando un invito
di Sharon Tate si salvò
la vita: era la notte
del massacro di Bel Air

DOMENICA 25 AGOSTO 2019LASTAMPA 23
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