La Stampa - 25.08.2019

(Romina) #1
.

U

n solo filtro as-
sorbe fino a 12 li-
tri di petrolio
sversato in ma-
re, è riutilizzabi-
le e ha un basso
costo. Grazie alla struttura
in nanotubi di carbonio, sofi-
sticata e allo stesso tempo
economica, la start up cala-
brese Innovacarbon ha vin-
to nel 2018 il Premio nazio-
nale per l’innovazione e di-
versi altri riconoscimenti, e
ora guarda al mercato.
Tutto nasce dalle ricerche

di Danilo Vuono, ingegnere
chimico che dopo il dottora-
to in Tecnologia e pianifica-
zione ambientale ha collabo-
rato con importanti centri di
ricerca, dall’università di
Manchester all’Istituto per la
tecnologia delle membrane
del Cnr. «Nei primi studi i na-
notubi in carbonio erano in
polvere, e non potevano esse-
re usati per filtrare l’acqua.
Grazie alle ricerche che han-
no poi portato a costituire In-
novacarbon, è stato possibile
fissare queste nanostrutture

su una base inerte, attraver-
so un metodo di produzione
che ha consentito di abbassa-
re molto i costi», spiega Basi-
liano Roberto, responsabile
Logistica e Risorse umane
della startup. Si è ottenuto
così un filtro dalle grandi po-
tenzialità, in grado di depura-
re l’acqua o di ripulirla a se-
guito di sversamenti, da vari
tipi di sostanze, come colo-
ranti e idrocarburi. Non solo:
una volta che il filtro ha fatto
il suo lavoro, niente viene
buttato. «Il filtro, dopo esse-

re stato lavato con un solven-
te - aggiunge Roberto - può
essere riutilizzato almeno 20
volte. Il solvente stesso non
si combina con la sostanza as-
sorbita, e può essere riusato.
L’inquinante, ad esempio al
petrolio sversato in mare,
può essere interamente recu-
perato e reimmesso nel ciclo
produttivo».
Innovacarbon è nata uffi-
cialmente a gennaio, il team
è composto da quattro perso-
ne. Dopo i risultati positivi
dei test fatti con un prototipo

in scala 1:100, adesso l’azien-
da cerca finanziamenti per
portare avanti la sperimenta-
zione e arrivare poi sul mer-
cato con i primi filtri. «Ci ser-
vono circa 1,5 milioni per
creare un prototipo zero da
provare sul campo, e proce-
dere poi con l’industrializza-
zione del prodotto». Nel frat-
tempo, il team dialoga già
con diverse aziende stranie-
re interessate al prodotto,
dall’India alla Cina, dagli
Usa all’Olanda. —
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MARCO MAGRINI
LISBONA

L


o sanno tutti. La mi-
gliore strategia per
mitigare la crisi cli-
matica – oltre a ta-
gliare le emissioni
di gas-serra – è pian-

tare alberi che, per crescere,
«mangiano» anidride carboni-
ca dall’atmosfera. Un recente
studio, pubblicato su Science a
inizio luglio, ha tentato di fare
i conti esatti. Secondo i ricerca-
tori nel mondo c’è spazio per al-
tri nove milioni di chilometri

quadrati di foreste. Se invece
di tagliare boschi cominciassi-
mo a riforestare, 500 miliardi
di nuove piante potrebbero im-
magazzinare ben 205 miliardi
di tonnellate di carbonio. Le fo-
reste sono un carbon sink natu-
rale, un deposito di carbonio.
Per i destini climatici del piane-
ta Terra, sarebbe un aiuto de-
terminante.
Facciamo un altro conto.
Le terre emerse sono 149 mi-
lioni di chilometri quadrati.
Tolti i ghiacciai (15 milioni) e

le terre aride (28), restano
104 milioni di kmq disponibi-
li. Tolte le città (1,5 milioni di
kmq), laghi e corsi d’acqua
(1,5), foreste (39), boscaglie
(12), restano le cosiddette ter-
re arabili, che arrivano a 51
milioni di chilometri quadra-
ti, un terzo del mondo emer-
so. Peccato che, secondo alcu-
ne stime, queste vadano per-
se a un ritmo di oltre 100mila
kmq l’anno. Un ritmo, peral-
tro, destinato ad accelerare.
Non è cosa da poco. Prima
di tutto perché, con l’aumen-
to della popolazione (due mi-
liardi di persone nel 1927, set-
te miliardi e mezzo oggi) il
conto delle terre arabili pro-
capite è diminuito paurosa-
mente, e diminuirà ancora
con i 9 miliardi di esseri uma-
ni previsti intorno al 2050. E
poi perché l’aumento della
desertificazione e del livello
degli oceani - entrambi facili-
tati dai gas-serra in atmosfe-
ra - ridurranno ancora il tota-
le delle terre arabili.
Ma se tutti sanno che pian-
tare alberi farà bene alla vita
di questo pianeta, è bene capi-
re che la complessità della
partita in gioco è enorme.
«L’uso diffuso, sulla scala di
diversi milioni di chilometri
quadrati, di afforestazioni e
piantagioni per impieghi
energetici potrebbe avere

conseguenze potenzialmen-
te irreversibili per la sicurez-
za alimentare e il degrada-
mento delle terre coltivabi-
li». È quanto si legge in un do-
cumento provvisorio dell’I-
pcc, il braccio climatologico
delle Nazioni Unite, rivelato
dal giornale Business Stan-
dard. Queste esatte parole po-
trebbero non trovare posto
nella versione finale. Ma il
concetto è chiaro: le monocul-
ture estensive, l’uso esagera-

to di fertilizzanti e le grandi
colture di bioenergie (come
la canna da zucchero, coltiva-
ta in Brasile per farci l’etano-
lo da miscelare con la benzi-
na) rischiano di aggiungere
problemi ai problemi.
«La bioenergia moderna è
il gigante dimenticato delle
energie rinnovabili», ha det-
to qualche mese fa Fatih Bi-
rol, direttore esecutivo dell’A-
genzia Internazionale dell’E-
nergia, perché «rappresenta
circa il 50% di tutte le energie

rinnovabili. In altre parole,
pesa quanto le energie idroe-
lettriche, solari ed eoliche
messe insieme». La bioener-
gia «moderna» include bio-
carburanti ricavati da mate-
rie prime vegetali, bio-raffine-
rie, biogas ricavato dai resi-
dui organici e altre tecnolo-
gie. È una buona notizia; ma
dato che le terre disponibili
non sono infinite solo a metà.
Qui sta il dilemma. Le terre
arabili sono destinate a ridur-
si. Le destiniamo al cibo, all’e-
nergia o al ruolo di carbon
sink? Un dilemma che raffi-
gura perfettamente il vec-
chio slogan ecologista: «È l’u-
nica Terra che abbiamo». E
che difatti richiederebbe un
approccio preveggente, glo-
bale e multilaterale, con del-
le policy internazionali capa-
ci di raddrizzare il rapporto
fra la civiltà umana e l’am-
biente che la fa sopravvivere.
Certo, piantare alberi aiu-
terebbe il pianeta. Ma allora
perché non smettere anche
di deforestarlo (36mila chilo-
metri quadrati di foreste per-
se nel 2018)? Oppure - visto
che il 77% delle terre arabili
è destinato a colture per gli al-
levamenti - perché non ral-
lentare i consumi mondiali
di carne? Purtroppo, pianta-
re alberi sarà più facile. —
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ITALIANI, POETI E RICERCATORI

100000

Ogni anno si stima che venga-
no perduti circa 100mila chilo-
metri quadrati di terreni arabi-
li, utilizzabili per l’agricoltura e
l’alimentazione

I filtri contenenti i nanotubi

Un filtro in nanotubi di carbonio per ripulire il mare

UN DILEMMA PER L’UMANITÀ

Alberi, cibo o energia?

I boschi “mangiano” CO


2

Ma servono terre agricole


e colture per bioenergia


Nel 2050 dovremo sfamare 9 miliardi di umani,
ma i terreni coltivabili si riducono, e aumentano
le esigenze di biomassa. Eppure, dovremmo
salvare le foreste, e magari aumentarne l’area

26 LASTAMPADOMENICA 25 AGOSTO 2019
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