La Repubblica - 12.08.2019

(Steven Felgate) #1
rano le ventitré e tredici quando il brigadiere
Terlizzi, dopo essere passato a casa per un ba-
cio alla moglie addormentata e indossare la
divisa tattica, entrò nella sede dei Freiwillige
di San Candido. La maggior parte dei turisti
che ci passava davanti la confondeva per una
normale caserma dei vigili del fuoco. Non lo
era. I Freiwillige appartenevano a una tradizione secolare che
si nutriva di quel particolare senso di radicamento e autosuffi-
cienza che solo in zone dove la natura è ostile può affermarsi
con tanta forza.
Nato e cresciuto a Pantelleria, Terlizzi sapeva che non c’era
molta differenza fra una valle incastrata fra le montagne e
un’isola circondata dal mare. Capiva quella gente. Al contra-
rio di tanti colleghi che al primo inverno chiedevano il trasfe-
rimento (troppo freddo, troppo buio, troppa claustrofobia
quando le pendici delle montagne sembrano volerti schiac-
ciare, e troppa diffidenza da parte degli abitanti), Terlizzi in
Val Pusteria si trovava a suo agio, e ci viveva da quasi vent’an-
ni.
C’era voluto del tempo perché quei montanari chiusi e belli-
cosi – segnati da un conflitto etnico ancora troppo recente
per lasciarselo alle spalle senza che ogni tanto l’ombra del raz-
zismo anti–italiano facesse capolino – lo accettassero come
uno di loro. Quando Terlizzi aveva conosciuto Helga qualcu-
no aveva storto il naso, sibilando malignità sul suo conto. Lui
però non si era lasciato intimidire, l’aveva corteggiata e il gior-
no delle nozze la chiesa in cui era stata celebrata la funzione
pullulava di persone. Colleghi carabinieri, alcuni parenti vola-
ti fin lassù, ma soprattutto il corpo dei Freiwillige al gran com-
pleto. In divisa, allegri e pronti a giocargli scherzi il cui ricor-
do riusciva ancora a farlo sorridere. Poi, scoccata la mezzanot-
te, quando i Freiwillige avevano «rapito» la novella sposa per
farle fare il giro delle case del paese (una tradizione sudtirole-
se: un bicchiere di grappa in ognuna di esse come augurio di
felicità), Terlizzi aveva capito di essere un uomo fortunato:
c’era posto per due Heimat, due patrie, nel suo cuore. La Sici-
lia e le Dolomiti.
Tre, contando l’Arma.


  • Brigadiere! – Era un ragazzo, uno degli ultimi arrivati. La te-
    nuta dei Freiwillige gli stava larga. – Mi chiamo Markus. Mar-
    kus Egader. Volevo ringraziarla per il nonno.
    Barba a parte, la somiglianza era evidente. Era il nipote del
    vecchio Bauer che per poco non aveva mandato all’altro mon-
    do lui e Melan. Quello con il trattore rosso.

  • Sta bene?
    Una smorfia. – Così dice.

  • Dovresti convincerlo a farsi vedere da un medico. Ha pre-
    so una brutta botta.

  • Se non ci riesce Omi Evi...
    Omi Evi, nonnina Evi.

  • Holzkopf, tuo nonno, vero?

  • Testa di legno come tutti gli Egader, signore –. Il ragazzo lo
    disse con un certo orgoglio.

  • Helga potrebbe passare per un saluto, se credi.
    La moglie di Terlizzi era un’infermiera professionale, ed era
    molto amata in paese.
    Il viso del ragazzo si illuminò. – Sono sicuro che Opa non
    scaccerebbe mai Frau Terlizzi.

  • Affare fatto.

  • E per Dora, signore?
    Lo disse a bassa voce, ma tutti i Freiwillige presenti, quat-
    trocchi che passavano le giornate negli uffici del comune, be-
    stioni abituati ad arare campi e mungere vacche, albergatori
    e camerieri, ricchi e poveri, ascoltarono la risposta.

    Il generale Leoni entrò nell’ufficio scartoffie, si sedette, ap-
    poggiò la sua ventiquattrore di pelle e si guardò attorno.



  • Bel posticino, Viktor. Ci sono i gerani alle finestre.

  • La risposta è no.
    Il generale aprì la valigetta e ne estrasse una scatola. Il fre-
    gio sul coperchio non lasciava adito a dubbi: un cerchio con
    tre frecce all’interno. Fabbrica d’armi Beretta.

  • La situazione è questa, – scandì Leoni. – Orlandi coordine-
    rà le indagini insieme a Baldini e...

  • Vale a dire che, – fece Viktor con un sorrisetto, ma senza
    staccare gli occhi dalla scatola, – farà quel che gli pare.

  • Orlandi è un ottimo elemento. Per questo il comando è
    suo.

  • Quindi quella, – concluse Martini indicando la scatola col
    fregio della Beretta, – a me non serve.

  • A mio parere quest’indagine richiede due gruppi operati-
    vi. Voglio evitare attriti con il Pm Baldini e dare comunque un
    contentino alla Pellegrini. Per cui, due squadre.

  • Immagino che Orlandi abbia fatto i salti di gioia.

  • Ragazzo, tu sai che questa faccenda è uno schifo. E sai an-
    che come potrebbe andare a finire.

  • Ed è il motivo per cui non voglio averci niente a che fare. Io
    sono qui solo per far questo, – Martini picchiettò con ostenta-
    zione sulla tastiera del computer. – Compilare scartoffie. Ver-
    bali. In attesa di essere processato, degradato e buttato fuori
    dall’Arma. Orlandi se la caverà anche da solo.


Gli occhi di Leoni si trasformarono in due fessure.


  • Abbassa la cresta. Orlandi sa fare il suo lavoro, ma io ho bi-
    sogno di sapere che tu sarai della partita.

  • Anche volendo, non potrei. C’è il procedimento, la peri-
    zia...

  • Quella perizia è stata stilata mesi fa, durante un periodo di
    forte stress che chiunque... – Leoni sottolineò la parola con un
    gesto secco della mano, – sarebbe in grado di comprendere.
    Leoni aprì la scatola. Una Beretta 8000 .45ACP. Nera, tozza,
    letale.

  • Stavo per mettermela in bocca e premere il grilletto, gene-
    rale.

  • Ma non l’hai fatto. Hai chiesto aiuto e sei stato aiutato. Fine
    della storia.
    Martini scostò lo sguardo dalla pistola. Ne ricordava il sapo-
    re: un misto di ferro e lacrime.

  • Tre mesi di ospedale psichiatrico, generale.

  • Da cui sei uscito meglio di prima. Per quanto mi riguarda
    sei abile per l’esercizio delle tue funzioni. Qui c’è il foglio di
    reintegro. Con effetto immediato.
    Martini si adagiò allo schienale della poltroncina, di nuovo
    un sorriso sulle labbra. – Adesso non dovrebbe appoggiarmi
    una spada sulla spalla o robe del genere?

  • Sei sulla difensiva. Hai paura.

  • Anche lei, o non sarebbe qui.
    Leoni abbandonò un pesante faldone accanto alla scatola
    della pistola. Recava impresso il simbolo della polizia austria-
    ca. Chiuse la valigetta, si calcò il cappello sulla testa e si alzò.

  • Non sarà come a Testaccio, Viktor. Non ti lasceremo solo.
    Non questa volta. L’unica cosa che ti chiedo è...

  • Di non pestare i piedi a Orlandi.

  • Puoi farlo?
    Martini afferrò la scatola della Beretta e la chiuse a chiave
    nel cassetto della scrivania. – Io sono l’Inquilino dell’ufficio s.,
    generale. Batto verbali, contravvenzioni e moduli per la benzi-
    na. Nient’altro.
    Leoni arrivò alla porta, poi si fermò. – La storia dell’animale
    più pericoloso... ci ho riflettuto. Credo che il soggetto non ab-
    bia capito che l’animale più pericoloso non è quello che ucci-
    de o distrugge, quello è un semplice predatore.

  • C’è qualcosa di più pericoloso di un predatore, generale?

  • Sì, – concluse Leoni, prima di chiudersi la porta dietro le
    spalle. – Un predatore ferito. Buon lavoro, capitano Martini.

    La Macchina si mise in moto. Il maresciallo Fanti e il capita-
    no Orlandi avevano diviso la zona operativa in quadranti di di-
    versa ampiezza. La variante che aveva determinato quella
    scelta era l’asperità del territorio. Un conto era svolgere delle
    ricerche su un’area praticabile come un fondovalle, tutt’altro
    inerpicarsi per i sentieri meno battuti.
    Gli elicotteri – per il momento l’AB-412 dei carabinieri, a cui,
    non appena avesse fatto giorno, si sarebbe aggiunto uno dei
    due EC-135 in dotazione al soccorso alpino – non servivano a
    granché nelle zone in cui la vegetazione era così fitta da ren-
    dere impossibile un avvistamento dall’alto, ma potevano risul-
    tare utili alle quote più elevate, dove larici e abeti scompariva-
    no e il pino mugo diradava per lasciar spazio a rocce, canali e
    ghiaioni.
    Partecipavano alle ricerche membri del soccorso alpino,
    unità cinofile, uomini della guardia forestale e dei Freiwillige,
    e un piccolo contingente della guardia di finanza.



  • Ogni squadra si terrà in costante comunicazione con il po-
    sto comando. Alle squadre delle aree A3, A4 e C5, cioè in pros-
    simità degli ultimi avvistamenti della bambina e del luogo in
    cui il padre è convinto sia diretta, la zona del nido della lince,
    verrà affiancato un carabiniere: se, e ripeto il se, il soggetto ha
    effettivamente adescato Dora e se è realmente in possesso di
    un’arma, voglio che ci sia con loro qualcuno capace di proteg-
    gerle.
    Gli uomini annuirono, impazienti. C’era eccitazione nell’a-
    ria. Il capitano Orlandi nascose la propria soddisfazione.

  • Altre squadre composte unicamente da uomini dell’Arma
    si dedicheranno ai quadranti D1 e F4.
    Non ci fu bisogno di spiegarne il motivo. La cartina proietta-
    ta sullo schermo della sala briefing parlava chiaro. D1 e F4 co-
    privano la zona Geiger, dove era stato trovato il Renault. Fanti
    iniziò a passare i fogli compilati con cura.

  • Il generale Leoni, – continuò Orlandi, – ha anche deciso
    che saranno due i gruppi operativi a lavorare su questo caso.
    Il secondo, di supporto, sarà coordinato dal capitano Martini.
    Molte teste si alzarono dai fogli d’assegnamento. Si udì qual-
    che mormorio.

  • Il gruppo del capitano Martini sarà composto da un unico
    membro, il carabiniere scelto Melan, e farà capo alla dottores-
    sa Pellegrini del tribunale dei minori. Il suo scopo è... – una
    breve pausa, poi un sorriso. – Francamente non ne ho idea. Il
    generale Leoni ci chiede di dare al capitano Martini tutto il
    supporto necessario. Carte bollate e toner per stampanti, im-
    magino.
    La sua battuta provocò alcune risate.
    Orlandi tornò serio.

  • Un’ultima cosa. Il soggetto sa come muoversi nei boschi


Viktor Martini


non porta la


pistola.


L’Inquilino


dell’ufficio s. è


“pericoloso per sé


e per gli altri”. Il


cadavere non ha


più solo due


proiettili in corpo:


ha un nome, una


storia e precedenti


penali. L’uomo


con cui Dora è


fuggita, un


passato che fa


bollire il sangue


nelle vene. E


bugie: tutte per


Dora. Nonostante


le aquile: questa


non è una storia


d’amore


kIllustrazioni
La copertina e le pagine interne
sono illustrate da Agostino Iacurci
Nato a Foggia nel 1986, vive a
Berlino. Il suo lavoro artistico va
dalla pittura ai murales, dalla
scultura al disegno e alla
scenografia. I suoi dipinti
monumentali sono presenti
in molte città tra cui Milano,
New York, Londra, Mosca.
Come illustratore collabora
con Repubblica ,
il New Yorker e Penguin Books

E


(^). L’animale più pericoloso Luca D’Andrea Lunedì, 12 agosto 2019

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