Internazionale - 19.07.2019

(やまだぃちぅ) #1

un avvoltoio è un esempio celebre, che ri-
chiama i temi della desolazione e del terro-
re incombente. I ritratti dell’Africa tradisco-
no spesso un disinteresse a rivelare le pro-
fondità e la straficazione del continente.
Muluneh rifiuta gli stereotipi radicati
nell’immaginario occidentale: le sue foto
sono un coraggioso tentativo di reimmagi-
nare, combinando quei cliché con una rap-
presentazione patinata, e attingendo sia ai
simboli nazionali sia al surrealismo.
A spingere Muluneh verso il fotogiorna-
lismo sono state le dure immagini della ca-
restia che sconvolse l’Etiopia negli anni ot-
tanta. Successivamente ha esplorato le
forme d’espressione indigene, spesso stig-
matizzate.
“Ho fatto ricerche sulle modificazioni
corporee rituali in tutto il continente”, mi
spiega. Si è interessata alle pratiche di pittu-
ra del corpo, alle scarificazioni e ai tatuaggi,
ed è rimasta colpita dall’alto “livello di sofi-
sticazione” delle narrazioni visuali nelle
culture tradizionali, “anche se sono consi-
derate primitive”.
Il suo obiettivo è trovare “un’estetica
visiva che non si basi su quella europea o
occidentale”, mi dice parlando dei progetti
messi in cantiere dopo il ritorno in Etiopia
nel 2007. Ha fondato un’agenzia di consu-
lenza creativa per “sviluppare ed educare la
società con l’arte”. Ogni due anni, dal di-
cembre del 2010, organizza l’Addis foto
fest, il più grande festival di fotografia afri-


cano, per realizzare una specie di autori-
tratto artistico e contribuire a una nuova
immagine del continente. “Cosa vogliamo
dire, come vogliamo dirlo e a chi. Non credo
che ci siano molte persone che vivono come
me tra due mondi. Sono parte della comu-
nità e allo stesso tempo sono un’estranea”.

Nulla di semplice
L’Addis foto fest ha lo scopo di formare fo-
tografi emergenti, non solo etiopi ma anche
dal resto del continente, attivi in tutti i cam-
pi: fotoreporter, autori di ritratti, fotografi
di moda e anche promotori di un messaggio
politico. I seminari sono un’occasione per
conoscere i photoeditor di grandi giornali
come il Washington Post o il National Geo-
graphic, e i fotografi di successo degli altri
paesi. Gli obiettivi di Muluneh – ispirare un
“rinascimento” fotografico nel continente
e cambiare il modo in cui viene vista l’Africa
nel resto del mondo – si alimentano a vicen-
da, senza trascurare la sfera pratica.
Un’Etiopia più moderna e culturalmente
vivace sarebbe anche un paese con un turi-
smo più fiorente.
Muluneh non nega che organizzare il
festival sia faticoso e che vorrebbe più so-
stegno dal governo. “È spiacevole dover
sempre andare dagli europei o da altri stra-
nieri” per chiedere finanziamenti. L’ha no-
tato soprattutto nel 2018, quando il festival
ha coinciso con un’inattesa ondata di cre-
scita e di riforme un tempo impensabili,

mentre nel paese si diffondeva un clima di
riscossa democratica. Al primo ministro
Abiy Ahmed, che era stato nominato
nell’aprile dello stesso anno, è stato attribu-
ito il merito di aver riunito nel nome dell’or-
goglio nazionale un popolo segnato dalle
divisioni e di aver messo fine alla lunga
guerra di confine con l’Eritrea.
Nel 2019 Muluneh ha realizzato tre foto
per un’edizione speciale del settimanale
Time dedicata all’ottimismo e curata dalla
regista Ava DuVernay. In un’immagine due
donne etiopi sono sedute davanti a uno
sfondo azzurro dipinto con delle nuvole
bianche. Una indossa un abito blu regale,
l’altra ha un vestito uguale ma rosso. Insie-
me tengono stretta una rosa. Ai loro piedi
c’è una jebena, una caffettiera tradizionale
etiope. Sullo schienale di una terza sedia è
dipinta una stella gialla sopra una falce e
martello. L’immagine si presta a una lettura
positiva, fa pensare al potere delle relazioni
umane. Tuttavia, la tipica combinazione di
simbolismo e surrealismo appare piatta e
didascalica, come a voler suggerire che il
modo in cui vediamo il progresso rischia di
essere semplicistico.
Quando si tratta di opere su commissio-
ne, su un tema prestabilito, Muluneh è una
specialista nello sfidare le aspettative. L’ar-
tista non manca di ambizione ma, come
suggeriscono le sue immagini meravigliose
e inquietanti, non vuole spacciare facile ot-
timismo. u nv

Denkinesh/part one The departure
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