Internazionale - 19.07.2019

(やまだぃちぅ) #1

14 Internazionale 1316 | 19 luglio 2019


Attualità


A


i confini dell’Arabia Saudita e
alle porte della Persia, avvolto di
esotismo e di pericolo, lo stretto
di Hormuz è contemporanea­
mente termine e centro del mondo, passag­
gio obbligato e trappola letale. Questa im­
magine satura di sole, di salsedine e di oro
nero, plasmata dalla famosa guerra delle
petroliere degli anni ottanta, all’epoca del
conflitto tra Iran e Iraq, da maggio si è riani­
mata a causa dell’improvviso aumento del­
le tensioni tra Washington e Teheran. Sei
navi misteriosamente sabotate all’ingresso
del golfo Persico, un drone statunitense ab­
battuto da un missile iraniano, una valanga
di dichiarazioni bellicose: Hormuz, il “capo
Horn” dei comandanti di petroliere, è evi­
denziato in rosso sulla mappa dei punti geo­
politici a rischio.
Nel 2018 da questo corridoio sono tran­
sitati ogni giorno 21 milioni di barili di greg­
gio, cioè un quinto del consumo mondiale e
un terzo del petrolio trasportato via mare.
Anche un quarto del consumo mondiale di
gas naturale liquefatto è passato da questa
strettoia. Oltre a essere la spina dorsale del

sistema energetico internazionale, Hormuz
si trova sulla linea di faglia tra l’Iran e l’Ara­
bia Saudita, due potenze ai ferri corti che si
disputano la supremazia regionale.
La guerra economica dichiarata dagli
Stati Uniti alla Repubblica islamica, portata
avanti a colpi di sanzioni contro la sua indu­
stria petrolifera, e le rituali minacce di chiu­
sura dello stretto pronunciate in risposta
dalle autorità di Teheran hanno restituito
allo stretto il suo carattere incendiario. Ul­
trasorvegliato, ultramilitarizzato, Hormuz
è un vaso di Pandora strategico e politico.

Poca visibilità
La sagoma di questa autostrada marittima
a forma di chicane è disegnata dalla peniso­
la di Musandam, una enclave omanita
all’interno degli Emirati Arabi Uniti, e dalla
baia di Bandar Abbas, un porto iraniano cir­
condato da isole. Tra queste c’è Hormuz,
che ha dato il nome allo stretto. Nel trecen­
to e nel quattrocento fu un’importante sta­
zione commerciale sulla rotta delle Indie e
la capitale di un piccolo regno che si esten­
deva sul Golfo e sulla costa dell’Oman.
Lungo 45 chilometri, il passaggio misu­
ra 38 chilometri di larghezza nel punto più
stretto. Dato che le acque territoriali irania­
ne sono poco profonde, le navi devono se­
guire rotte larghe appena 2 miglia nautiche
(3,7 km) che passano tra gli isolotti omaniti
di Quoin e Ras Dobbah. Uno spazio inter­
detto alla navigazione, della stessa larghez­
za, separa il corridoio in entrata da quello
in uscita. “Quando si entra nello stretto bi­
sogna virare a sinistra di 90 gradi”, spiega
Bertrand Derennes, comandante di petro­
liere in pensione, “poi si prende la rotta di
navigazione obbligatoria, e soprattutto
non si deve mai deviare, un po’ come quan­
do si passa al largo di Calais, c’è una rotta e
si segue quella”. Una volta superato lo
stretto, la rotta si allarga a 3 miglia nautiche
( 5,5 km) ma passa tra le isole di Grande
Tomb, Piccolo Tomb e Abu Musa, occupa­
te dall’Iran dal 1971, con grande disappun­
to degli Emirati, che le rivendicano.

“La zona è estremamente angusta e in
più è attraversata da piccole imbarcazioni
di pescatori o di contrabbandieri”, raccon­
ta Hubert Ardillon, un altro veterano della
marina mercantile francese. “Il passaggio
è complicato a causa della foschia che si
alza per il caldo e limita la visibilità. Ho
usato molto la sirena da nebbia in quello
stretto”.
Rimasto a lungo semisconosciuto, Hor­
muz emerse sulla mappa del trasporto ma­
rittimo mondiale nel corso della seconda
metà del novecento, a causa di tre eventi
successivi: l’avvio, nel 1951, dello sfrutta­
mento di Ghawar, il più grande giacimento
di petrolio del mondo, scoperto tre anni pri­
ma sulla costa orientale dell’Arabia Saudita;
la crisi energetica del 1973, in seguito alla
guerra arabo­israeliana del Kippur, che tri­
plicò il prezzo del greggio e fece tremare le
economie occidentali; e infine la rivoluzio­
ne iraniana del 1979, che portò al potere, in
un paese sciita, un regime islamista dedito
al proselitismo, suscitando la preoccupa­
zione degli stati sunniti del Golfo, in parti­
colare dell’Iraq, che l’anno seguente entrò
in guerra contro il vicino.
Cinque anni dopo Hormuz diventò un
nome familiare nei notiziari occidentali.
Nell’aprile del 1984 diverse navi che faceva­

La crisi del Golfo passa


per lo stretto di Hormuz


È un punto strategico per il
traffico petrolifero mondiale
e negli ultimi decenni è stato
teatro di vari scontri. Ora
è al centro delle tensioni
tra Stati Uniti e Iran

Louis Imbert, Philippe Jacqué, Benjamin Barthe,
Nabil Wakim e Ghazal Golshiri, Le Monde, Francia

HAMED MALEKPOUR (TASNIM NEWS AGENCy/AP/ANSA)

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