NEI SECOLI DEI SECOLI - Gianni Zito - Biografia

(Gianni Zito) #1

Dopo una fase di rilassamento, resa ancor più efficace dalla consapevolezza di essere stato
fortunato, di non essere capitato con criminali pericolosi, osservai la cella e tutta la fatiscenza che
regnava intorno a me: i pavimenti erano sconnessi e divelti, la porta del bagno era tutta in ferro
arrugginito e scalfito, così come le sbarre dei letti a castello, e minacciosi fili elettrici penzolavano
dalle pareti scolorite che esibivano dappertutto vistose lesioni tappezzate a malapena con fogli di
quotidiani ormai putridi.


Gli angoli della maggior parte di quei fogli, appiccicati al muro come parati improvvisati,
svolazzano per il vento che proveniva dalle finestre poste in alto, ed emettevano un fastidioso
rumore, uno sfarfallio continuo di carta che esasperava notevolmente il senso di precarietà e miseria
di quella cella lager.


Le finestre erano leggermente aperte e si intravedevano le sbarre classiche del carcere, rafforzate da
una rete metallica molto stretta.


Al di fuori delle sbarre, alla mia sinistra, si scorgevano altre luci, provenienti dal fabbricato a
fianco, che offrivano gradevoli riflessi arancioni dovuti ai mattoni rossi della parete esterna,
decisamente più caldi delle lampade fredde e tetre del corridoio carcerario alla mia destra.


Quelle luci calde le osservavo spesso e divennero l’unica fonte di sollievo che mi autorizzava
persino a sognare, ad immaginare ad occhi aperti il mondo lì fuori.


Infatti quei riflessi arancioni mi facevano pensare alla mia adorata Roma, la città che amo di più al
mondo, ed alle sue stradine illuminate dalla stessa luce calda.


Immaginavo i vicoli, le piazze, i monumenti, le pareti sbiadite dal tempo ma rese solenni dai
lampioni che riflettevano storia e sontuosità, avvolgendole in una luce calda, arancione, che nella
mia vita avevo trovato soltanto a Roma.


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