Gli accertamenti diagnostici e l’incontro con i colleghi medici
Nei giorni successivi iniziarono gli accertamenti diagnostici che occorreva eseguire in altri reparti
per cui dovevo essere trasportato necessariamente con la carrozzina.
Non si trattava però di un semplice trasferimento momentaneo con un infermiere che mi avrebbe
accompagnato, bensì occorreva mettere in atto una procedura particolare: il reparto detenuti doveva
avvisare il carcere, ove si trovavano tutte le altre guardie, per convocare all’ospedale una squadra
composta da tre o quattro elementi.
Questi una volta giunti alla mia cella dovevano prima di tutto mettermi le manette, il che di per sé
era già piuttosto imbarazzante, ma dovevano essere essi stessi ad accompagnarmi, spingendo la
carrozzina nei reparti idonei già preallertati sull’arrivo di un carcerato!
Questi trasferimenti, quindi, erano molto rischiosi per la mia immagine perché se mi avesse
riconosciuto qualche collega o qualche paziente avrei rimediato una pessima figura e sarebbero
rimasti scioccati nel vedermi ammanettato e scortato da diverse guardie! In effetti mi sembrava una
procedura eccessiva, neanche se fossi stato un pericoloso mafioso!
Fortunatamente eravamo costretti ad indossare una mascherina ma non essendo ancora disponibili
per noi detenuti rimediai brillantemente con un fazzolettino di carta in modo che potessi coprire il
volto e lasciare scoperti soltanto gli occhi. In quelle condizioni nessuno avrebbe potuto
riconoscermi.
Altro pericolo in tal senso era rappresentato dai colleghi, esecutori delle procedure diagnostiche,
qualcuno dei quali avrebbe potuto riconoscermi essendo obbligato a togliermi il fazzolettino e
restare col volto scoperto durante le visite, per cui non mi restava altro da fare che sperare di non
trovare nessun amico o conoscente.