Praticamente cenando quei pasti gustosissimi duplicavamo le principali festività Cristiane tutte
assieme! La notte mi veniva puntuale la fibrillazione ma la controllavo in poche ore assumendo
altre dosi di farmaco.
Vivevamo una grande fratellanza fra detenuti, sia nella cella che nella sezione intera.
Sembravamo una sola famiglia, ed a me una situazione del genere, con persone non parenti, non era
mai capitata prima.
Osservavo commosso la loro disponibilità tutti i giorni, la loro accoglienza, il loro sostegno, la
fratellanza reale che ci offrivano continuamente.
In poco tempo si creò una sorta di legame di sangue, basato sulla comprensione reciproca, non solo
intesa come compassione ma proprio come capacità di ciascuno di giustificare le tristi dinamiche
della vita che ci avevano, tutti, condotto in carcere.
Conoscevamo profondamente le ingiustizie sociali che tutti avevamo patito e che erano alla base
della stragrande maggioranza dei reati, essendo state causa e non effetto del comportamento illegale
adottato, dalla maggior parte dei detenuti, per sopravvivere alla miseria o a torti di ogni specie.
Sapevamo che per costruirci una vita nuova dovevamo tutti plasmare una nuova dignità, ed il primo
mattone era rappresentato proprio dalla fratellanza, santa e benedetta fratellanza, che regnava
ovunque nel carcere.
Attenzione, non complicità, comune ai delinquenti irrecuperabili, ma pura fratellanza.
Si faceva di tutto per realizzarla, una nuova e santa dignità, e vivendo nella fratellanza ci riuscivamo
tutti, ottenendo immediatamente una grande serenità, un’enorme soddisfazione esistenziale,
sorprendente in un regime carcerario.
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