Peppe parlava spesso della sua bambina di 3 anni che aveva avuto dalla nuova compagna, arrivata
nella sua vita dopo la morte della precedente fidanzata che volò in cielo a soli 27 anni per una
malattia impegnativa di cui soffriva dalla nascita.
Aveva grandi tormenti nel cuore, soprattutto la consapevolezza che non avrebbe rivisto la bimba
prima di altri 4-5 anni di detenzione, avendone scontati già un paio in un altro carcere campano e
confidando nell’affido ai servizi sociali per gli ultimi 4 anni circa.
Anch’io confidavo nell’affido ai servizi sociali per gli ultimi 4 anni e quindi avrei dovuto eseguire
in tutto 7-8 mesi di detenzione, forse una decina, poco rispetto ai suoi anni.
Lo consolavo spesso, dicendo soprattutto: “Peppe stai tranquillo perché la tua bambina, quando
tornerai da lei, avrà soltanto 8 anni e quindi da adulta non ricorderà nulla della tua assenza
durante l’infanzia. Tu ricordi cosa facevi a 8 anni? Io no!”.
Lui infatti mi dava ragione, ma il tormento di starle ancora lontano per 4-5 anni non riusciva a
superarlo.
Fortunatamente gli altri detenuti anche nei giorni successivi continuarono il rito magico e
commovente della nostra accoglienza, portandoci continuamente omaggi di tutti i tipi.
C’era persino un ristoratore, in una cella infondo al corridoio, che ci omaggiava ogni sera di primi
piatti da sogno che gustavamo come cene luculliane nella suite del miglior albergo del mondo, tanta
era la gioia ci incutevano!
Io non avrei potuto mangiare pasta perché negli ultimi anni avevo notato che era insorta anche una
strana intolleranza al glutine che facilitava moltissimo l’insorgenza della fibrillazione, per cui
assumendo amido avrei scatenato sicuramente una crisi.
Confidando però in una maggiore resistenza fisica indotta dalla nuova Alba della mia vita, decisi di
non rinunciare al quel santo convivio con loro, tutti insieme come in una perenne notte di Natale, e
più felici di una Pasqua, come si usa dire dalle nostri parti.