Anche il contesto provinciale mi indusse a comprendere la differenza che esisteva tra me e loro,
infatti la casa era molto umile e regnava la povertà ovunque, vissuta però con grande dignità e
semplicità infatti ne rimani affascinato.
In realtà compresi, dopo un po’ di tempo, che non era il contesto intorno a me ad essere modesto ed
umile, ero io quello fuori luogo - anche se tutti mi osannavano conoscendo il mio vero
temperamento e l’umanità che mi avevano quasi sempre caratterizzato - perché sembravo un
aristocratico, un essere superiore, una sorta di eroe mitologico che si era sacrificato a passare
qualche ora con povera gente.
Non mi piaceva affatto quel ruolo, che infatti ripudiavo completamente anche in conseguenza
dell’educazione cattolica e della Fede che vivevo fervidamente, ed iniziai a provare i primi segni di
insofferenza verso tutto ciò che possedevo in più rispetto agli altri.
Quando andavo a Messa e ricevevo la Comunione pregavo sempre Gesù di aiutare i più bisognosi, i
più poveri, i malati, e lo facevo col cuore.
Se fosse dipeso da me non sarebbero mai esistiti poveri, malati, emarginati, ed infatti spesso mi
chiedevo com’era possibile che Gesù permettesse soprusi del genere!
Com’era possibile che alcune persone potessero essere così tanto umili rispetto ad altre così tanto
benestanti, e la risposta sono riuscita a darmela soltanto decenni dopo, quando la Fede raggiunse
una maturità tale da permettermi di comprendere il senso della povertà e la grande ricchezza
spirituale che testimonia.
Non mi piaceva affatto la circostanza reale per la quale io appartenevo alla categoria dei benestanti,
sotto tutti i punti di vista, cioè quella che ritenevo meno meritevole di attenzioni e stima.
Per cui iniziai una serie di pratiche di sacrificio personale che al Catechismo ci avevano insegnato
ma che non ritenni degne di attenzione inizialmente: la penitenza, la rinuncia, la autopunizione per i
cattivi pensieri!
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