Subito dopo Miriam continuò a parlare con la madre e con la figlia, facendo finta di niente, mentre
io andai ad appartarmi sotto ad un albero dietro al muretto, con la scusa di riposarmi un attimo.
Avevo voglia di piangere ma non potevo. Mi sentivo un Giuda, ed avvertivo l’obbligo di dover fare
qualsiasi cosa per non farla soffrire, ma non sapevo cosa.
Seduto sotto l’albero pensavo e ripensavo ma non mi veniva in mente alcuna soluzione, anche
perché ero sopraffatto dalla vergogna, dalla desolazione, dal dispiacere per averla ferita così
profondamente.
Dopo qualche minuto mi venne in soccorso la figlia che pretese di andare a visitare il resto del
bosco circostante, per cui proseguimmo tutti in quella direzione ed io tentai di essere almeno
accogliente e simpatico proprio con la ragazzina, immaginando che potesse essere l’unico appiglio,
l’unica inconsapevole complice per tentare di salvare la situazione.
Fui molto fortunato perché Fatine fu entusiasta anche del bosco e giocò e scherzò per tutto il tempo,
anche durante il percorso in automobile fino ad Amalfi, rasserenandoci tutti.
Appena giunti sul posto pensai di portarle tutte a visitare il Duomo, e poi di assaggiare un dolce in
una pasticceria, tipico della divina costiera, la sfogliatella Santa Rosa, che deliziò il palato a tutti.
Grazie alla bellezza di Amalfi, ed allo squisito dolce, sembrò tornare un minimo di sereno tra me e
Miriam che mi concedeva la parola ogni tanto, senza mai avvicinarsi troppo a me; mi teneva ben
alla larga, ma senza far capire alla madre ed alla figlia che era accaduto qualcosa di grave tra di noi.
Giunta la sera tornammo a casa mia a Salerno, e Miriam ovviamente, pur di non avermi vicino,
chiese di andare subito a dormire nella stanza con Fatine perché si sentiva stanca, e così fece.
Io restai tutta la notte a pensare a lei ed alla decisione del Buon Dio di separarci in quelle
circostanze davvero difficili da comprendere. Sembrò una crudeltà inaudita, ma non potevo
permettermi di giudicarla, proprio io che ero il colpevole.