Ed ecco il testo in greco:
Πάτερ ἡμῶν ὁ ἐν τοῖς οὐρανοῖς
ἁγιασθήτω τὸ ὄνομά σου·
ἐλθέτω ἡ βασιλεία σου·
γενηθήτω τὸ θέλημά σου,
ὡς ἐν οὐρανῷ καὶ ἐπὶ τῆς γῆς·
τὸν ἄρτον ἡμῶν τὸν ἐπιούσιον δὸς ἡμῖν σήμερον·
καὶ ἄφες ἡμῖν τὰ ὀφελήματα ἡμῶν,
ὡς καὶ ἡμεῖς ἀφίεμεν τοῖς ὀφειλέταις ἡμῶν·
καὶ μὴ εἰσενέγκῃς ἡμᾶς εἰς πειρασμόν,
ἀλλὰ ῥῦσαι ἡμᾶς ἀπὸ τοῦ πονηροῦ.
[Ὅτι σοῦ ἐστιν ἡ βασιλεία καὶ ἡ δύναμις καὶ ἡ δόξα εἰς τοὺς αἰῶνας·]
ἀμήν.
A differenza di tanti altri ragazzi, quindi, iniziai a conoscere forme di sofferenza piuttosto
impegnative per l’età, tentando però di non farmi influenzare nella vita pratica di tutti i giorni.
Le riflessioni spirituali sul valore e sul significato della sofferenza, comunque, erano frequenti, e mi
permettevano di raggiungere livelli di saggezza inusuali per l’età.
Ero addirittura diventato capace di intuire in anticipo, durante le lezioni di filosofia, a 1 6 anni, il
pensiero dei sapienti di turno, e di illustrarli al docente, il magnifico prof. Maiolo, prima che li
presentasse alla classe.
Infatti una volta mi disse davanti a tutti, dopo un mio ennesimo intervento brillante: “Zito tu
sicuramente studi questi filosofi prima di venire in classe, non è possibile che di testa tua, senza
aver mai letto i loro scritti, ti esprimi ogni volta così bene descrivendone i principi!”.
Doveva essere un rimprovero derivante da una maldestra ipotesi del professore, ma in realtà fu uno
dei complimenti più belli ricevuti nella mia intera esistenza, ed ancora oggi mi rincuora e mi da
forza, soprattutto nei momenti bui della mia vita quando erroneamente penso di non essere capace
di far nulla, di essere solo un perdente, un fallito cronico, come le tribolazioni trentennali a volte mi
inducono a ritenermi.
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