la Repubblica - 22.07.2019

(Romina) #1
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Alle pagine
8 e 9
I servizi sul caso
Bibbiano
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La tiratura de “la Repubblica”
di domenica 21 luglio 2019è stata di 292.510 copie
Codice ISSN online 2499-0817

A


lessandro Di Battista dirige la collana di saggistica
della casa editrice Fazi. Ne convengo: surreale. Ieri ha
postato un tweet nel quale annuncia la sua prima fatica
conto terzi: un volume per disvelare la verità sottaciuta su
Bibbiano, il paesino del Reggiano nel quale alcuni operatori
di una Onlus, oltre a dirigenti dei locali servizi sociali,
consulenti, psicologi, sono accusati (accusati) di un reato
orribile: aver allontanato dai genitori, allo scopo di
ottenerne proventi economici, bambini che venivano
certificati come abusati, ma in realtà non avevano mai
ricevuto molestia alcuna.
L’annuncio di Di Battista viene di concerto con quello del
ministro contro la Giustizia Bonafede, che ieri ha reso nota
la costituzione di una squadra speciale anti-Bibbiano. Roba
che se questo giornale fosse un altro, ad attribuirgli il
nomignolo di ministro Malafede sarebbe, realmente, un
attimo.
Invece vale la pena di una riflessione seria su come una
evidente balla, e cioè che questa vicenda sia stata in qualche
modo occultata, sia diventata un fatto acquisito. Intanto il
dato oggettivo: la notizia è stata data da tutti i media
mainstream all’insorgere dell’inchiesta. Molta meno
rilevanza, è vero, ha ricevuto l’evidenza che il sindaco Pd del
piccolo centro sia accusato “solo” di abuso d’ufficio, per
aver concesso gli immobili ai presunti bruti. Da allora, i
cosiddetti giornaloni ne danno conto quando ci sono passi
avanti nelle indagini. Lo stesso non si può dire della stampa
“fuori dal coro”, cioè quella che canta a cappella in favore
del governo, a partiti alterni, la quale dedica titoloni a
Bibbiano anche per dire che piove. Naturalmente a causa
del sindaco Pd. Inoltre, negli svariati programmi di prima
serata che Matteo Salvini conduce su Mediaset, con la
presenza di un giornalista compiacente a fargli da spalla,
scelto tra quelli della stampa “antagonista” di cui sopra, le
tristi vicende della Val d’Enza sono LA notizia. Tutte le sere.
Senza contare ovviamente i social, laddove l’inchiesta

Angeli e demoni è diventata il corrispettivo atomico dei
sempiterni Marò, delle foibe, del “Pdinvece”, scritto tutto
attaccato, col quale troll e persone dabbene, coinvolte nel
circolo disinformativo, combattono la loro battaglia contro
un potere forte che più debole non si può. Innocente,
perdipiù. Roba che poi fa breccia addirittura nell’italico star
system, dall’incolpevole Pausini al motivato Nek, passando
per la prudente Clerici — che ha capito dov’era finita, e ha
cancellato — i quali diventano bandiera per i post di Fratelli
d’Italia o dei Cinque Stelle. Che sono il motore di tutto
questo, i veri responsabili, utili idioti di Salvini (che presto
planerà a Bibbiano a incassare, come se non avessero
abbastanza disgrazie) nell’attutire la vicenda russa. Dietro
Di Maio che dà dei ladri di bambini al Pd e lo accusa di fare
loro l’elettroshock (circostanza smentita dal pm), dietro ai
meme ufficiali con cui i Cinque Stelle accusano Zingaretti
di irridere i piccoli (forse) abusati c’è Casaleggio, che idiota
non è. Se ha deciso di schierare le truppe per stornare
l’attenzione dal ministro dell’Esterno, facendo in modo che
Bibbiano negli ultimi giorni abbia superato Salvini tra le
chiavi più ricercate, è probabile che non lo stia facendo
gratis. E che il più ingenuo tra i vicepremier stia lavorando
per il re di Prussia. Se ne accorgerà troppo tardi, dopo aver
fatto da marionetta per un altro passetto verso la
distruzione della democrazia rappresentativa sotto una
montagna di bugie. Proprio come voleva Casaleggio senior.
Il quale probabilmente se la ride da lassù, per l’unica
notizia che persino sui giornaloni appare col contagocce,
ossia il nome del partito che finanziava la Onlus sotto
inchiesta e che la difende in tribunale
con un proprio pezzo grosso.
Indovinate? Sbagliato: è il
MoVimento Cinque Stelle.
Aspettiamo di leggerlo nel libro di Di
Battista.

C


aro direttore, diverse fonti — compresa l’edizione
speciale Eurobarometro 295 (03/008) — indicano
che gran parte dei cittadini europei, a causa
dell’impatto diretto sulla loro vita quotidiana,
considera molto importante la tutela dell’ambiente.
Da quando l’ambiente è entrato a far parte delle
competenze della Ue, molte sono state le norme
adottate. Tuttavia il vero problema resta ancora la loro
applicazione negli Stati membri e la direttiva
2008/99/CE sulla tutela penale ambientale non risolve
il problema della effettività di detta tutela. Essa infatti
prescrive agli Stati membri solo di inserire nella loro
legislazione nazionale sanzioni penali in relazione a
gravi violazioni delle disposizioni del diritto
comunitario in materia di tutela dell’ambiente. Ma
nulla dice in ordine alla “effettività”, al “come” si possa
e debba far applicare la norma. Di recente Unicef e Oms
hanno evidenziato che «nel mondo una persona su tre è
senza acqua potabile sicura». E ancora, un recente
studio pubblicato su Nature prefigura un aumento dei
conflitti armati fino al 26% se la temperatura globale
dovesse continuare a salire. Un’emergenza che si
scontra con l’inadeguatezza dell’attuale sistema
giudiziario. Nonostante gli importanti passi in avanti
compiuti con la direttiva europea del 2008, relativa alla
tutela penale dell’ambiente, serve un ulteriore scatto in
avanti per garantire a livello europeo un sistema
sanzionatorio effettivamente uniforme — a livello
europeo prima, e mondiale poi — ove la parola
“responsabilità” non resti un flatus vocis nel deserto,
una mera enunciazione di principio. La conferma

dell’attualità, urgenza e necessità di questa riforma
deriva anche dalla forte domanda di giustizia
ambientale che, secondo Sabin center for climate
change law è documentalmente e statisticamente
provata dagli oltre mille giudizi promossi contro Stati,
agenzie governative o imprese private aventi a oggetto
il cambiamento climatico. Esistono già norme
internazionali che, se fatte applicare, possono
sicuramente e efficacemente contrastare la violazione
di diritti dell’uomo e dei beni comuni, a iniziare da
acqua, aria, salute dell’uomo e della nostra madre terra
e dagli stessi cambiamenti climatici, norme che la
nuova corte ben potrebbe e meglio far rispettare.
L’istituzione della Corte penale europea dell’Ambiente
per perseguire i crimini ambientali, da me proposta
dinanzi alla Commissione Envi, è stata già ritenuta
giuridicamente fondata e realizzabile a medio termine
dal “Directorate general for internal policies policy
department”.
Che l’Ue riparta da quella importante valutazione e nel
“medio termine” dia ai popoli della Ue uno
straordinario strumento di giustizia per la tutela dei
Diritti umani, a cominciare dal diritto all’Acqua
pubblica. La Corte e un procuratore penale europeo
dell’Ambiente avrebbero poteri in base ai quali
potrebbero intervenire in caso di inerzia dei magistrati
dei Paesi della Ue.
L’autore è professore emerito dell’Università di Nova Gori-
ca, già prima cattedra Jean Monnet in Diritto Comunita-
rio dell’Ambiente (Univ. Urbino)

di Luca Bottura

di Antonino Abrami

La lettera


Nostro fratello ambiente


©RIPRODUZIONE RISERVATA

A


lla distribuzione delle cariche più importanti
dell’Unione europea non hanno preso parte i
rappresentanti dell’Europa orientale. È un pessimo
segno.
Indicare il colpevole è molto semplice. Si tratta del
governo di Diritto e Giustizia (PiS), che al vertice di
Bruxelles si è recato con un solo cognome nel
proprio taccuino. Il cognome di Frans Timmermans.
L’intenzione del premier Morawiecki, però, non era
quella di eleggerlo, ma di rovesciare la sua
candidatura a capo della nuova Commissione
europea. Timmermans, il primo vicepresidente della
Commissione europea uscente, ha vigilato sul
procedimento disciplinare in merito alla violazione
dei principi dello Stato di diritto in Polonia. Si tratta,
senza alcuna esagerazione, del politico occidentale
più odiato dalla destra polacca.
La missione ha avuto successo, il veto polacco, ceco e
ungherese è stato sfruttato da alcuni Paesi governati
dal Ppe per sollevare una protesta contro la
candidatura di Timmermans. La loro
argomentazione: Timmermans non può dirigere la
Commissione perché divide l’Europa. Ovviamente,
più che mantenere l’unità dell’Europa, a loro
importava che a capo della Commissione ci fosse un
politico democristiano. E hanno ottenuto quello che
volevano, mentre Morawiecki è ritornato a Varsavia
ad annunciare il successo della diplomazia polacca.
Nessuna carica della Ue è toccata alla bulgara
Kristalina Georgieva, sebbene all’inizio fosse vista
come il successore del presidente del Consiglio
europeo, Donald Tusk. Sono stati ignorati anche il
capo della diplomazia slovacca, Maroš Šefčovič, e i
presidenti della Lituania, Dalia Grybauskaitė, e della
Romania, Klaus Johannis. I loro cognomi sono
apparsi durante le deliberazioni. Non c’è stato alcun
grande Paese che li avesse supportati.
La Polonia, il sesto Paese europeo per dimensione,
ha sempre difeso gli interessi della regione sedendo
al tavolo con le altre grandi nazioni. Da quando a
governare è il PiS, il mio Paese non svolge questa
funzione. Non solo perché il PiS, attaccando
l’indipendenza della magistratura o soffocando la
libertà dei media, ha perso la propria reputazione a
livello internazionale. La diplomazia polacca, che è
stata purgata dei dissidenti, non funziona affatto
bene. Il fatto che Morawiecki durante il vertice non si
sia preoccupato per nulla della regione ne è la prova.
E intanto, gli altri grandi Paesi hanno deciso di
punire la regione. Dal momento che Varsavia, Praga
e Budapest (e parzialmente anche Bratislava) hanno
voluto bloccare il compromesso sull’assegnazione
delle cariche, non hanno ottenuto nulla. E così non è
stata l’elezione, ma il rovesciamento della
candidatura di Timmermans, a dividere l’Europa. È
stato turbato l’equilibrio geografico, è stato inviato
un segnale che l’Europa orientale non interessa
affatto ai giocatori più importanti dell’Unione.
Nel 2005, per dimostrare quanto fosse importante
l’Europa orientale, Angela Merkel ha ceduto alla
Polonia 500 milioni di euro che dovevano essere
destinati allo sviluppo dell’ex Ddr.
A ricevere i fondi sono state le regioni più povere
della Polonia. Oggi sembra che l’Europa occidentale
si sia stufata di quella orientale. La Francia, sotto il
governo di Emmanuel Macron, non nasconde il
fastidio che prova nei confronti di questa parte
dell’Unione.
Lavoratori a buon mercato, corruzione, problemi
con lo Stato di diritto e con la democrazia,
l’autoritarismo strisciante, tutti questi problemi
crescono di anno in anno, e niente lascia supporre
che i nuovi Paesi dell’Ue riescano presto ad
affrontarli. Ma sono stati proprio l’interesse
dell’Occidente, il supporto costante e talvolta una
severa critica a spingere le società al cambiamento.
L’Occidente deve rendersi conto che non si possono
identificare le società con i partiti al governo.
L’Ungheria non è solo Fidesz, la Repubblica Ceca
non è solamente Ano 2011, la Polonia non è soltanto il
PiS. In ogni Paese dell’Europa orientale vivono molti
difensori dichiarati dell’Unione europea. Essi
devono essere supportati, non ci si può mettere una
croce sopra. La mancanza di interesse verso questa
regione, il suo abbandono verso la periferia, può solo
peggiorare la situazione e inasprire le divisioni.
L’autore è un giornalista della Gazeta Wyborcza,
attualmente ne dirige la sezione esteri
Traduzione di Marco Valenti
© LENA, Leading European Newspaper Alliance

DIREZIONEDIRETTORE RESPONSABILE:
Carlo VerdelliVICE DIRETTORI:
Dario Cresto-Dina Gianluca Di Feo,(vicario),
Angelo Rinaldi Giuseppe Smorto(Art Director),

Le fake news su Bibbiano


La montagna delle bugie


di Bartosz T. Wieliński

Lettera dall’Europa/ Gazeta Wyborcza


Perché l’Est


è dimenticato


FONDATORE EUGENIO SCALFARI

pagina. (^24) Commenti Lunedì, 22 luglio 2019

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