Il Settimanale 32

(Francesco CaccavellaNHp1fh) #1

10


L’INCHIESTA


ils

Dalle sorgenti al delta del Po la carenza di acqua condiziona le semine


e spinge molte aziende verso colture meno bisognose di irrigazione


Le risaie le aree più colpite (8mila ettari in meno), soffre anche il mais


In Emilia raddoppia il costo dell’erba medica per gli allevamenti


Riso amaro, la siccità


stravolge le coltivazioni


U


n cielo che preoccupa e un tempo limite
per la prossima semina. Dalle sorgenti al
Delta del Po gli agricoltori vivono le stesse
ansie e, per molti versi, la stessa sensazione di im-
potenza. Neve e pioggia non si comandano, le fal-
de si asciugano come i fiumi e i laghi, la terra si
spacca, dura come una pietra, polverosa come la
sabbia nel deserto. I più speranzosi sono in campo,
altri temporeggiano. Vale per il riso come per il
mais. Il viaggio inizia tra le risaie, 218mila ettari
tra Novara, Vercelli e Pavia. Nel 2022 sono stati
seminati 9mila ettari in meno e si sono prodotti
15 milioni di quintali: la siccità ha falciato il 17%
del raccolto totale, ma qualcuno ha perso ben di
più, dal 40 al 65%. Per questo molti hanno deci-
so di cambiare strada. «Un sondaggio dell’Ente
Risi lanciato ha stimato che quest’anno si perde-
ranno altri 8mila ettari di riso – segnala Giovanni
Daghetta, storico risicoltore pavese e consigliere
del Consorzio di Irrigazione Est Sesia – la Pac ne
incentiva la coltivazione, il clima no». Qualcuno
ha già optato per le colture autunno vernine che
si raccolgono a giugno, altri stanno valutando le
alternative: il mais, la soia o meglio ancora il sor-
go, decisamente meno bisognoso di irrigazione.
«La semina del riso può attendere fino a fine
aprile, metà maggio al massimo, io spero ancora
nella pioggia», dice Daghetta. Un intero comparto
a rischio? «Le risaie, grazie al riutilizzo dell’acqua
per più volte e alla progressiva restituzione della
stessa ai fiumi, rappresentano un esempio virtuo-
so di impiego della risorsa idrica – risponde – dob-
biamo utilizzare al meglio le falde sotterranee e a
mio avviso riprendere la semina in acqua, via via
abbandonata nell’ultimo decennio. Va detto, poi,
che ogni zona ha il suo affanno: lo scorso anno il

ta ancora più pesante se ci si proietta all’estate: che
sia al pascolo o in stalla, ogni bovina da latte con-
suma da 100 a 150 litri di acqua al giorno. «Bisogna
salvare le falde, migliorare la gestione dei consorzi
irrigui, utilizzare sistemi di irrigazione più effi-
cienti, accelerare la sperimentazione in campo di
varietà resistenti a stress idrico e fitopatogeni»,
suggerisce Gelfi.
L’ultima tappa del viaggio è in Polesine. In provin-
cia di Rovigo c’erano oltre 26mila ettari coltivati
a granturco: «La siccità dello scorso anno e quel-
la che si prospetta da qui a fine estate ha ridotto
la semina del 60%», denuncia Cia Rovigo. Claudio
Greguoldo ha un’azienda agricola di 40 ettari a
Porto Tolle, sul Delta del Po: «Questa è la terra dei
miei nonni, io ho 71 anni e una siccità così non l’ho
mai vista. La terra si spacca, il cuneo salino riem-
pie le falde di acqua salata, non si può irrigare,
ho rinunciato a metà del raccolto». Si prova con
colture meno idroesigenti come grano, girasole,
orzo. I tecnici agricoli prevedono che in pochi si
cimenteranno con il secondo raccolto di soia, per-
ché bisognerebbe irrigarla con regolarità tra fine
giugno e luglio quando la crisi potrebbe essere
al culmine. «Siamo in mezzo a sette rami del Po,
non abbiamo acqua dolce ma paghiamo lo stesso
il servizio al Consorzio irriguo: non si può andare
avanti così – denuncia Greguoldo – chi ha autorità
e mezzi deve intervenire subito: bisogna tratte-
nere l’acqua dolce quando c’è e dissalare quella del
mare. Senza acqua la prossima vittima è la pianta
umana». Il presidente di Cia Veneto, Gianmichele
Passarini, si appella al commissario straordinario
nazionale per l’emergenza idrica: «L’acqua è a dis-
posizione di tutti, nessuno potrà beneficiarne più
di altri». n

di Roberta Favrin
Sesia stava meglio del Po, quest’anno, se guardi-
amo ai dati di aprile, la situazione è esattamente
opposta».
Il risparmio dell’acqua è un “must”, un obbligo
perentorio per tutti. Come realizzarlo è un prob-
lema a soluzione aperta. Piersilvano Borella, alle-
vatore e vicepresidente di Cia Agricoltori Centro
Lombardia critica apertamente l’irrigazione a
goccia sostenuta da molti colleghi: «È adatta solo
ad alcuni tipi di terreno e soprattutto ha una dis-
persione esorbitante: il 70% dell’acqua evapora, il
30% resta sulla pianta, quindi nulla finisce nella
falda – afferma – con il sistema a scorrimento, in-
vece, il 70-80% dell’acqua irrigata torna alla falda
e alimenta tutti i terreni lungo gli impianti, senza
distinzione».
Scendiamo in Emilia Romagna, terra d’elezione
del Parmigiano che significa oltre 3mila alleva-
menti e più di 300 caseifici, 4,1 milioni di forme
per un valore alla produzione di circa 1,8 miliardi.
Sulla riva destra del Po i terreni sono argillosi e lo
stress idrico, per ora, si percepisce meno. L’erba
medica seminata a febbraio ce la farà, ma dopo?
Se non piove, da metà di maggio in poi soffriranno
il mais e gli sfalci successivi delle foraggere che già
sono molto più costose. L’erba medica valeva 15-
17 euro al quintale, oggi 27-30. Lo sa bene Roberto
Gelfi, imprenditore del settore zootecnico, am-
ministratore del Consorzio del Parmigiano Reg-
giano e presidente di Confagricoltura Parma: «La
Dop Parmigiano Reggiano è obbligata a ricavare il
70% delle foraggiere nella sua area di produzione


  • spiega – nel momento in cui la siccità riduce la
    capacità produttiva va in sofferenza tutta la fili-
    era».
    Il tema dell’acqua che non c’è diventa un’incogni-


L’


aumento della salinità lungo la costa soffoca le vongole veraci,
eccellenza della laguna veneta e del Delta del Po. La ridotta por-
tata di acqua del fiume sta stravolgendo gli equilibri naturali e
la biodiversità dell’ambiente salmastro: «Lo stress salino indebolisce
i mitili rendendoli più sensibili all’attacco del Murice, predatore che
si sta diffondendo in laguna – denuncia Mauro Mantovan, consigliere
nazionale di Pescagri Cia – la produzione di vongole è in caduta libera,
fino all’80% in meno rispetto a una decina di anni fa». Il Libro Bianco
elaborato da Ambrosetti per la Regione (presentato a giugno 2022) sti-
ma che il solo comparto della vongola verace rappresenti in valore il
37,8% dell’intera produzione regionale di pesca e acquacoltura: 157,
milioni (nel 2020). Il Veneto assicura il 39,5% del prodotto nazionale:
«Ci sono 2.300 famiglie che vivono di questo, 1500 nella sacca di Goro –
sottolinea Alessandro Faccioli, responsabile di Coldiretti Imprese Pesca

Veneto – bisogna salvaguardare questo patrimonio che è insieme eco-
nomico ed ambientale perché la bellezza e la biodiversità delle lagune
è unica».
Nel frattempo qualche impresa sta sperimentando la coltivazione
dell’ostrica piatta Ostrea edulis, storica abitante della laguna veneziana
almeno fino alla fine del XIX secolo. A lanciare il progetto su scala sci-
entifica è stata l’Università Ca’ Foscari, nel 2021, con la biologa marina
Camilla Bertolini, ricercatrice del programma Marie Curie in Ecologia
dell’ateneo veneziano. Con la collaborazione di acquacoltori locali sono
state seminate 2.200 ostriche “mamme”, importate dalla Croazia per
diventare le capostipiti della nuova colonia lagunare. Il progetto pilo-
ta si avvia alla conclusione e sembra che le indicazioni siano incorag-
gianti per lo sviluppo di un’acquacoltura sostenibile, per l’ambiente e
per gli allevatori. n

La salinità uccide le vongole nel delta e in laguna

Free download pdf