Le Scienze - 04.2020

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36 Le Scienze 6 20 aprile 2020


posizione e svolgere una certa classe di operazioni a velocità espo-
nenzialmente superiori rispetto a un computer classico.
Per raggiungere questo obiettivo, però, ci serve un numero ra-
gionevolmente elevato di qubit, sicuramente più di due. Un nu-
mero a cui attualmente stanno puntando in molti è n = 50, che of-
fre molte interessanti possibilità per gli algoritmi quantistici. Con
50 qubit abbiamo 2^50 possibili stati a disposizione per le operazio-
ni quantistiche. Di recente Google ha affermato di aver raggiunto
questo traguardo riuscendo a implementare un calcolo di campio-
namento casuale su un processore quantistico a 54 qubit. Arriva-
re a un gran numero di qubit, tuttavia, è più facile a dirsi che a far-
si. Più qubit mettiamo insieme, maggiori sono le probabilità che
perdano la loro speciale abilità quantistica di sovrapposizione e
di conseguenza ricadano in normali bit classici. Questo accade
quando un qubit interagisce con l’ambiente esterno e perde «coe-
renza». Quando cerchiamo di porre più qubit in una sovrapposi-
zione coerente, diventa sempre più difficile mantenere a lungo
questo stato. È un po’ come far stare un certo numero di persone
in una stanza per una festa: se abbiamo dieci persone in una stan-
za di 10 metri quadrati, c’è abbastanza spazio affinché coesistano
senza invadere reciprocamente lo spazio altrui. Se portiamo il nu-
mero di persone a 30 inizia un certo affollamento, che porta a una
generale perdita di convivenza pacifica. La stessa cosa accade con
i qubit.
Un’alternativa alla normale strategia è aumentare la dimensio-
ne di ogni bit quantistico, anziché cercare di far entrare più qubit
nello stesso spazio. Per capire perché sia di aiuto, torniamo a un
problema di matematica elementare:

Quanto vale 2^3? La risposta è, ovviamente, 8 (2 × 2 × 2 = 8).
Ora, quanto vale 3^2? La risposta qui è 9 (3 × 3 = 9).

Questi risultati sono dello stesso ordine di grandezza, e anche
abbastanza simili. Quindi, se invece di tre qubit usassimo due qu-
trit, ovvero bit quantistici tridimensionali, avremmo accesso a un
numero simile di possibili stati. E allora, invece di provare ad au-
mentare l’esponente, perché non proviamo a cambiare la base? Se
aumentiamo il numero di stati di base ci serviranno meno bit per
raggiungere lo stesso obiettivo. Questo approccio definisce la ri-
cerca sui sistemi quantistici di dimensione superiore.
La nostra strategia ha anche un altro vantaggio: non siamo più
vincolati dal codice binario. Pensiamo al risultato di una partita di
calcio: pensiamo a due risultati possibili, «vittoria» e «sconfitta»,
che si possono specificare usando due stati, e quindi in un mon-
do quantistico è sufficiente un qubit. Ma se aggiungiamo altri due
possibili risultati, per esempio «pareggio» e «partita interrotta», un
qubit non è sufficiente per descrivere il risultato: ce ne servireb-
bero due. Ma se avessimo un sistema a quattro stati ne basterebbe
uno solo. Un sistema così sarebbe un «ququad».
I sistemi quantistici di dimensione superiore, o sistemi qudit,
possono quindi racchiudere più informazioni in un numero mi-
nore di sistemi. È stato dimostrato teoricamente che per i compu-
ter quantistici questo offre un vantaggio in un ambito ben preci-
so, e cioè la creazione di comunicazioni a prova di intercettazione
mediante la cosiddetta distribuzione a chiave quantistica (quan-
tum key distribution, QKD). In questo metodo le due parti gene-
rano una «chiave» segreta condivisa che solo loro possono usare
per decodificare i messaggi. Se è possibile aumentare la dimensio-
ne dei bit quantistici aumentando il numero di stati di base, il ri-
sultato è una chiave più resistente a certi tipi di attacchi. Oltre al-

emettere fotoni nelle microonde e una per rilevarli. Tra le due c’e-
ra una lastra con tre fessure, ognuna larga 10 centimetri, a distan-
za di 13 centimetri l’una dall’altra. Rimanendo fedeli allo stile dei
primi esperimenti sulle fenditure, abbiamo messo il rivelatore su
una guida che si poteva spostare per misurare le diverse figure
di interferenza in funzione della posizione del rivelatore. In que-
sto modo abbiamo scoperto che la figura di interferenza misura-
ta non corrispondeva alla soluzione approssimata dell’equazione
d’onda data da sA + sB, mentre corrispondeva a quella che inclu-
deva il parametro di Sorkin diverso da zero. Abbiamo anche usa-
to un materiale di blocco per ostruire lo spazio tra le fessure, im-
pedendo di fatto ai fotoni di muoversi tra l’una e l’altra e interagire
con le fessure vicine. Così facendo abbiamo osservato che il valo-
re del parametro di Sorkin cambiava con la dimensione del blocco,
dimostrando che misura effettivamente le interazioni tra le fendi-
ture e che varia a seconda del livello di interazione. Questa osser-
vazione conferma che il termine correttivo che abbiamo misurato
non era un errore sistematico del nostro esperimento, ma proprio
quello che stavamo cercando.
La nostra è stata la prima convalida definitiva del parametro di
Sorkin come termine correttivo del principio di sovrapposizione
nel dominio classico delle microonde. I risultati, pubblicati a giu-
gno 2018 sul «New Journal of Physics», hanno già portato ad alcu-
ne modifiche ai libri di testo e hanno cambiato alcune idee di ba-
se della fisica fondamentale. Potrebbero anche avere effetti sul
lavoro che si svolge in ambito astronomico e astrofisico per stu-
diare i segnali dell’universo primordiale. Spesso queste ricerche
usano schiere di antenne radio a una certa distanza l’una dall’altra.
In genere i dati ricevuti dalle diverse antenne vengono sommati,
ma ora che sappiamo che la soluzione dell’equazione d’onda non
è semplicemente la somma delle singole soluzioni potrebbe es-
sere necessario aggiornare alcuni calcoli con il parametro di Sor-
kin corretto. Le nostre scoperte contribuiranno forse a sviluppare
modelli di errore migliori per queste osservazioni.


Qutrit quantistici


Il nostro esperimento è interessante non solo dal punto di vi-
sta teorico ma anche, potenzialmente, dal punto di vista pratico.
In particolare, speriamo di usare il nostro procedimento a tripla
fenditura per aiutare a progettare nuovi strumenti per il calcolo
quantistico.
I computer quantistici sfruttano fenomeni quantistici come la
sovrapposizione per rendere possibili calcoli molto più rapidi di
quelli delle macchine classiche. Pensiamo a un bit di un computer
tradizionale come a un interruttore della luce: può essere «acce-
so» o «spento» (e corrispondere a un valore di 1 o 0, rispettivamen-
te, in codice binario). Nel mondo quantistico, invece, un interrut-
tore non deve essere acceso o spento: può essere entrambi. In un
qubit definiamo uno stato che ha una probabilità finita di essere
nello stato «acceso» e nello stato «spento» allo stesso tempo. Que-
sta combinazione di entrambi gli stati con una certa probabilità di
ciascuno è l’essenza della sovrapposizione.
I due stati che contribuiscono allo stato di sovrapposizione so-
no chiamati stati di base. Un normale qubit ha due stati di base, e
quindi con n qubit si ha accesso a 2n stati possibili. Pertanto, con
due qubit, ci sono 2^2 = 4 stati possibili. Mentre per n bit classici si
presenta una sola delle 2n possibilità dello stato, per n bit quanti-
ci possono coesistere tutte le 2n possibilità. La potenza del calco-
lo quantistico deriva da algoritmi quantistici abilmente progettati
e che durante l’elaborazione possono sfruttare lo stato di sovrap-

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