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no. Ma nei piccoli ospedali di provincia
non bastano per tutti. La decisione tocca
ad anestesisti e rianimatori: «La terapia
intensiva è piena», si sfoga uno di loro che
lavora a Sud di Milano, «abbiamo attrez-
zato posti con tutto il materiale di scorta
che avevamo. Non sono preoccupato per
le ore di lavoro, quelle non si contano più.
Mi spaventa il dover scegliere chi intuba-
re e chi no. Mi devasta l’isolamento e la
solitudine alla quale sono costretti i pa-
zienti. Dal momento del ricovero non
possono incontrare più nessun familiare.
Serve a contenere il contagio. Ma per chi
non ce la fa, quel giorno è l’ultima volta
che ha potuto salutare i suoi cari. L’altra
sera una dottoressa ha usato il suo telefo-
nino per far fare una chiamata video ad
una signora da casa: ha salutato così per
l’ultima volta suo marito in fin di vita. Sta
succedendo anche questo. Letti e macchi-
nari ben vengano, ma servirebbero medi-
ci, anestesisti e infermieri per farli funzio-
nare. Noi però non molliamo, stiamo fa-
cendo davvero di tutto e sono orgoglioso
della mia squadra».
La morte è una piega dell’epidemia che
non si può più nascondere. Ma è una cir-
costanza minoritaria della battaglia. La
prima linea non dimentica che l’obiettivo
della medicina sono le guarigioni e il con-
tenimento dell’infezione. Anche dentro il
fisico dei tanti malati di polmonite, nella
lotta all’ultimo anticorpo tra cellule sane
e virus. Il personale sanitario però va dife-
so, perché non si infetti e non contagi a
sua volta. La scarsità di mascherine ap-
propriate e la decisione in Lombardia (e
in altre regioni) di non sottoporre più ai
test tampone medici e infermieri, se non
con sintomi evidenti, sono argomento di
denuncia sulle bacheche sindacali. Il Nur-
Sind, una sigla autonoma molto capillare
nei reparti, ha diffidato la Regione contro
la decisione di interrompere il monito-
raggio sanitario sul personale: «Stiamo
tutti chiedendo sforzi immensi», spiega il
coordinatore lombardo Donato Cosi, «ma
non possono ordinarci di restare muti di
fronte a questa scellerata decisione che
potrebbe non solo mettere a repentaglio
la salute degli operatori e delle loro fami-
glie, ma soprattutto potrebbe rallentare il
contenimento della diffusione del virus».
Lettere di diffida del NurSind e dell’As-
Brescia: una struttura
di emergenza allestita
fuori dell’ospepdale per
alleggerire la pressione
sul pronto soccorso.
I posti per i pazienti di
Covid-19 in città sono
initi dal 12 marzo.
Molti malati sono stati
dirottati verso altre
strutture: prima Sondrio
e Varese, poi anche
fuori dalla Lombardia