Internazionale - 28.02.2020

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Ritratti


“Non riconosco affatto la mia azienda in
queste accuse”, ha replicato Bulcke, che
ha respinto anche le critiche sulla scarsa
attenzione alla sicurezza alimentare. Cir-
ca seimila dipendenti sono responsabili
dei controlli di qualità sui prodotti. La giu-
dice gli ha chiesto se Motarjemi era l’uni-
ca dirigente responsabile del settore.
“Non lo so”, ha risposto Bulcke.


Danno d’immagine
All’epoca non sembrava che durante l’u-
dienza l’ex amministratore delegato ve-
nisse risparmiato. Tuttavia Motarjemi
non ha vinto il primo grado: il tribunale
federale ha riconosciuto il mobbing nei
suoi confronti ma ha respinto tutte le al-
tre accuse. A gennaio però il tribunale
cantonale di Vaud ha stabilito che Mo-
tarjemi ha diritto a un risarcimento per
danni morali e al pagamento dei mancati
stipendi della Nestlé. Motarjemi chiede
2,1 milioni di franchi calcolando stipendi
persi, spese mediche e processuali.
L’immagine della Nestlé ha subìto un
nuovo colpo. È dagli anni settanta che l’a-
zienda è bersagliata. “La Nestlé uccide i
bambini”, scrisse in quel periodo un’orga-
nizzazione che si occupa di cooperazione
allo sviluppo. Varie organizzazioni hanno
criticato il gruppo per la pubblicità ag-
gressiva del latte in polvere nei paesi in via
di sviluppo.
Oggi la Nestlé è la più grande azienda
del settore alimentare al mondo. I suoi
circa 300mila dipendenti in tutto il mon-
do hanno realizzato nel 2019 un utile net-
to di 12,6 miliardi di franchi svizzeri. In
molti se la prendono con la Nestlé per i
suoi affari da miliardi di dollari con l’ac-
qua imbottigliata, per la deforestazione
causata dalla produzione di olio di palma,
i rifiuti derivati dagli imballaggi, gli accor-
di illegali sui prezzi o per i prodotti che
fanno male alla salute.
Rifarsi una reputazione: questo aveva
in mente la Nestlé quando vent’anni fa
corteggiò Yasmine Motarjemi. Fece di tut-
to per soffiarla all’Organizzazione mon-
diale della sanità (Oms), arrivando perfi-
no a fare autocritica in una lusinghiera
lettera che le inviò: “L’industria deve pro-
muovere meglio e in modo più coerente la
sicurezza alimentare. Questo dovrebbe
essere il suo obiettivo”, c’era scritto.
All’epoca secondo Motarjemi varie
ong attaccavano la multinazionale senza
avere alcuna prova concreta. A lei interes-
sava la possibilità di cambiare una multi-
nazionale dall’interno. Quando firmò il
contratto, aveva già una carriera lampo


alle spalle. Nata e cresciuta in Iran, aveva
studiato scienze dell’alimentazione in
Francia grazie a una borsa di studio. Poi
aveva fatto un dottorato in Svezia e aveva
lavorato come consulente in vari paesi,
pubblicando libri, tra cui un saggio che
aveva vinto diversi premi e un’enciclope-
dia sulla sicurezza alimentare.
Fase della luna di miele, è così che le
grandi aziende chiamano i primi anni do-
po l’assunzione. I capi sono innamorati,
gli piaci perché sei nuovo. Anche Mo-
tarjemi fu accolta così. Le relazioni an-
nuali sul suo operato erano entusiastiche,
nei documenti si legge che le sue perfor-
mance erano “molto al di sopra delle
aspettative”.
Ma da un anno all’altro la valutazione
cambiò completamente. Il nuovo capo,
Roland Stalder, responsabile della quali-
tà, che una volta Motarjemi aveva critica-
to per la gestione passiva del caso dei bi-
scotti per l’infanzia, scrisse una relazione
spietata. Sul banco dei testimoni del pro-
cesso lui e altri dirigenti hanno dichiarato
che Motarjemi era troppo “ossessionata
dai dettagli”, “inflessibile e prepotente”,
che non era in grado di mettere in pratica
la filosofia aziendale.
I documenti del tribunale mostrano
che Stalder, da quel momento in poi, le
rese la vita difficile: fece in modo che non
le arrivassero informazioni, che non fosse
invitata a riunioni importanti o che all’im-
provviso fosse messa in un organigram-
ma tra le segretarie. La umiliava con pic-
cole ripicche. Per esempio cancellava i
suoi abbonamenti ai giornali dicendole:
“Puoi cercarti le notizie su Google”, come
si legge in una delle tante email che lei ha
raccolto. In un primo momento Motarje-
mi chiese aiuto alle risorse umane, poi ai
vertici del gruppo. Nel 2010 fu licenziata
senza preavviso.
È raro che i conflitti tra le grandi
aziende e i loro dipendenti si risolvano in
pubblico. Di solito ci si accorda privata-
mente. La Nestlé ha offerto a Motarjemi

una somma a sei cifre, ma lei ha rifiutato.
Se sei una madre single di più di cin-
quant’anni, non lasci il tuo lavoro da un
giorno all’altro. Eppure è difficile capire
perché un’esperta di alimentazione con
ottimi contatti abbia sopportato in quel
modo angherie anno dopo anno e non si
sia cercata subito un nuovo impiego. A
forza di accuse aveva perso la fiducia in se
stessa, spiega. Allo stesso tempo era abi-
tuata a lavorare duro e a incassare sconfit-
te. “Sapevo di non aver fatto niente di sba-
gliato, volevo restare per cercare di risol-
vere i problemi. Per me era importante
che la Nestlé affrontasse la questione
della sicurezza alimentare”, spiega.
Quando la Nestlé offrì a Motarjemi un
altro incarico, lei disse che lo avrebbe ac-
cettato, ma a una sola condizione: riguar-
do alla sicurezza alimentare le cose
avrebbero dovuto cambiare completa-
mente. L’azienda rifiutò. Per Motarjemi
era chiaro che ormai doveva fare un altro
lavoro: passare informazioni all’esterno,
invece che all’interno.

Una lettera al papa
Negli ultimi mesi che trascorse all’inter-
no dell’azienda raccolse materiale incri-
minante. Tra le altre cose, un video girato
nel 2008 durante un corso di formazione
per i dipendenti. Ce l’ha ancora salvato
nel computer. Nel filmato uno dei suoi ex
superiori fa una dichiarazione interessan-
te: “Quando fate le vostre ricerche sui ri-
schi, non perdete tempo con materie pri-
me e residui contaminati. Non sono un
vero pericolo nelle nostre fabbriche”. Una
dichiarazione discutibile, se si pensa che
gli scandali alimentari degli ultimi anni
avevano quasi tutti a che fare con materie
prime contaminate: per esempio carne di
manzo dichiarata carne di cavallo nelle
lasagne della Nestlé in Europa, contami-
nazione dell’olio di girasole con gli oli mi-
nerali in Ucraina e grano contaminato in
Venezuela.
In Svizzera gli informatori non sono
protetti dalla legge. Chi scopre delle irre-
golarità nella propria azienda rischia la
prigione. “Una cosa inaudita”, dice Mo-
tarjemi. Quando non accudisce i suoi ni-
poti o si prende cura dalla madre anziana,
invia lettere a politici, amministratori de-
legati, ong. “Ho scritto perfino al papa”,
ride. Di solito non le rispondono. Ora la
sua missione è lottare per i diritti degli in-
formatori. “Ci sono stati momenti negli
ultimi dieci anni in cui volevo farla finita.
Ma poi mi sono detta: no Yasmine, hai an-
cora del lavoro da fare”. u nv

“Sapevo


di non aver fatto
niente di sbagliato,

volevo restare
per cercare

di risolvere
i problemi”
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