Internazionale - 28.02.2020

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e mi chiedeste cosa ho imparato a scuola
sul genocidio dei rom e dei sinti durante
la shoah, mentirei se rispondessi “nien-
te”. Ricordo distintamente che nel libro
di storia in uso nel mio liceo in Texas c’e-
ra un asterisco con una nota a piè di pagi-
na che includeva tra le vittime anche i rom e i sinti,
definendoli gypsies, zingari. Nessun’altra spiegazio-
ne. Sarebbe stato facile non accorgersi di quell’ap-
punto, omesso dalla narrazione principale.
Sono rom, e quella era la prima vol-
ta che vedevo citare il genocidio in un
testo non rom. Ben presto avrei impa-
rato che quei piccoli momenti d’inclu-
sione sono molto rari. Avrei capito che
quello era l’atteggiamento normale nei
confronti dell’insabbiamento della
memoria sull’oppressione dei rom e
dei sinti: “Accontentatevi, potevano
non citarvi affatto”.
Molte persone, quando pensano alla
shoah, pensano soprattutto al genoci-
dio degli ebrei. Tutt’al più hanno una
vaga consapevolezza dell’oppressione subita da altre
categorie di persone, per esempio i disabili.
L’Encyclopædia Britannica si preoccupa di contestua-
lizzare l’assassinio sistematico di sei milioni di perso-
ne: aggiunge che furono uccise anche “milioni di al-
tre persone”, ma la sua definizione del razzismo nazi-
sta si limita all’antisemitismo. In realtà l’ideologia
razzista dei nazisti si estendeva anche ai rom e ai
sinti, in tedesco Zigeuner, oltre che alla popolazione
nera in Europa. Il numero dei rom e dei sinti uccisi
nella shoah resta incerto, ma studiosi e attivisti so-
stengono che oscilla tra i 200mila (stima decisamen-
te conservativa e largamente smentita, del resto ba-
sta pensare al gran numero di paesi occupati dai nazi-
sti) e i due milioni.
Ma qualche cifra la conosciamo. Per esempio,
sappiamo che in alcuni paesi, come l’ex Cecoslovac-
chia, durante la shoah fu assassinato il 90 per cento
della popolazione rom e sinti, cancellando intere tra-
dizioni culturali e dialetti. Gli attivisti per i diritti dei
romaní e i sopravvissuti rom e sinti hanno chiesto a
gran voce una storia più completa di quegli eventi e
hanno preteso indennizzi, ma per lo più i lead er poli-
tici e i consigli d’amministrazione dei musei della
shoah li hanno semplicemente ignorati. Sembra qua-
si che qualcuno abbia voluto farli dimenticare, anche

se per i popoli romaní è impossibile.
È quest’abitudine di omettere la storia dei romaní
dai resoconti della shoah a rendere tanto significativa
la mostra Forgotten victims: the nazi genocide of the ro-
ma and sinti alla Wiener holocaust library di Londra
(fino all’11 marzo). Mentre tante narrazioni romaní
sono trattate come separate rispetto al genocidio de-
gli ebrei, o ridotte a una nota a piè di pagina, la Wie-
ner le mette al centro della sua mostra, che per rac-
contare la storia dell’olocausto dei rom e dei sinti
mescola resoconti di testimoni oculari,
fotografie, documenti e libri. Alcuni di
questi materiali, come le foto e i nomi
di chi ci perse la vita e di chi riuscì a so-
pravvivere, ci fanno toccare con mano
quella devastazione.
Forgotten victims presenta anche do-
cumenti che smentiscono la dichiara-
zione del 1951 del ministero dell’inter-
no del land tedesco del Württemberg,
secondo cui i rom e i sinti furono perse-
guitati perché “asociali” o “criminali”,
e non per l’appartenenza razziale. Per
esempio c’è una lettera, datata 10 marzo 1944 e fir-
mata da un alto esponente del partito nazista, Hein-
rich Himmler, che esprime in un linguaggio brutal-
mente burocratico l’intento genocida nei confronti
dei romaní e degli ebrei, e afferma che contro quei
gruppi non c’era più bisogno di emanate altre diretti-
ve, visto che ormai era stata “completata l’evacuazio-
ne e l’isolamento” degli ebrei e degli zingari.
Si può leggere la testimonianza resa nel 1945 da
un superstite ebreo, Hermann Langbein, che descri-
ve in modo particolareggiato il cosiddetto Familien-
zigeunerlager (campo per famiglie zingare) di
Auschwitz: “Le condizioni erano peggiori che in altri
campi. Nell’aprile del 1943 mi trovavo fuori e vidi
quanto segue. Nel passaggio tra le baracche si spro-
fondava fino alle caviglie nel fango e nella terra. Gli
zingari portavano ancora i vestiti che avevano rice-
vuto all’arrivo. Di calzature non ce n’erano. Le latri-
ne erano costruite in modo da essere praticamente
inutilizzabili dai bambini. L’infermeria era uno spet-
tacolo patetico”.
Per la rappresentazione romaní in generale, gli
archivi storici europei sono luoghi crudeli. La studio-
sa Saidiya Hartman, in riferimento al commercio di
schiavi tra le sponde dell’Atlantico, afferma che “in
questo caso gli archivi sono una condanna a morte,

Sappiamo che in
alcuni paesi, come
l’ex Cecoslovacchia,
durante la shoah fu
assassinato il 90
per cento della
popolazione rom
e sinti, cancellando
intere tradizioni
culturali e dialetti

SYDNEE WAGNER
studia letteratura e
cultura inglese
antiche alla City
university of New
York. Questo
articolo è uscito su
Prospect con il titolo
Forgotten by whom?


L’olocausto da non dimenticare


Sydnee Wagner

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