Internazionale - 28.02.2020

(backadmin) #1

Il pericolo di dimenticare il genocidio è che po-
trebbe ripetersi. In un’intervista concessa al settima-
nale Time, Daniela Abraham, fondatrice del Sinti
Roma Holocaust memorial trust e nipote di Sándor
Kurucz, un rom sopravvissuto allo sterminio, ha di-
chiarato: “Non voglio che la nostra gente che ha sof-
ferto per mano dei nazisti sia dimenticata”. E ha ag-
giunto: “Se l’olocausto dei rom non viene raccontato,
le generazioni future rischiano di ripeterlo”. Oggi, in
Europa, con la crescente popolarità dei regimi etno-
nazionalisti e con l’aumento delle aggressioni contro
i romaní, è particolarmente urgente ricordare lo ster-
minio e la distruzione perpetrate durante la shoah.
Come ha dichiarato una sopravvissuta all’olocausto
rom, Ceija Stojka: “Temo che l’Europa stia dimenti-
cando il suo passato e che Auschwitz stia semplice-
mente dormendo”.
Il popolo romaní ha una storia di resistenza e resi-
lienza che vengono ricordate nella giornata della re-
sistenza romaní, il nostro giorno internazionale della
memoria, in cui commemoriamo la rivolta dei rom e
dei sinti rinchiusi nel campo di concentramento di
Auschwitz-Birkenau, il 16 maggio 1944.
La mostra della Wiener holocaust library contie-
ne anche documenti che testimoniano la resistenza
delle vittime dello sterminio. Vinzenz Rose (1908-
1996) era un sinti che nel 1937 fu costretto dalle per-
secuzioni ad abbandonare la sua attività professiona-
le nel cinema e che visse sotto falsa identità in Ger-
mania e in Cecoslovacchia tra il 1940 e il 1943, anno
in cui fu arrestato dalla Gestapo. Deportato ad Au-
schwitz, diventò uno schiavo e fu sottoposto a esperi-
menti medici. Nell’aprile del 1944 fu trasferito a
Neckarelz, un lager satellite di quello di Natzweiler.
Fuggito dal campo, insieme al fratello Oskar ingag-
giò un investigatore privato per mettersi sulle tracce
dello scienziato nazista Robert Ritter. La ricerca,
ahimè, non diede frutti.
Questa resistenza ha dato impulso all’attivismo
rom e ha contribuito ad alimentare una lotta globale
per la parità dei diritti e della rappresentanza. Studio-
si e attivisti rom hanno anche costituito un archivio,
il RomArchive, che privilegia narrazioni e materiali
culturali spesso ignorati. Nel 2016 l’allora presidente
degli Stati Uniti Barack Obama ha nominato Ethel
Brooks, studiosa e attivista rom, nel comitato diretti-
vo dello U.S. Holocaust memorial museum, che ha
sede a Washington.
Insieme a Daniela Abraham, tra gli oratori che
hanno preso la parola all’inaugurazione di Forgotten
victims c’era il rabbino Jonathan Wittenberg. Il rabbi-
no ha ricordato che popolo romaní e popolo ebraico
hanno in comune una storia di oppressione e ha invi-
tato questi due gruppi di minoranza alla solidarietà,
affermando: “Insieme condividiamo la responsabili-
tà d’informarci su questa memoria. Riguarda quanti
furono allora e quanti sono oggi”. Questa solidarietà,
insieme a istituzioni come la Wiener holocaust libra-
ry, è un trampolino verso un futuro in cui i popoli ro-
maní possano prosperare. A dispetto dei continui
episodi di violenza, questa lotta per la liberazione


passa per un profondo amore per la nostra cultura.
Cosa sono resistenza e resilienza, se non gli strumen-
ti per preservare la nostra tradizione, la nostra storia
e il nostro popolo?
Nel suo libro Europe is ours: a manifesto, la studio-
sa Ethel Brooks immagina per il popolo romaní un
futuro migliore quando dice: “Noi rivendichiamo lo
status di nazione senza per questo aspirare alla ge-
rarchia dello stato nazione; e non aspiriamo alla ti-
rannia dei confini o all’imperativo dell’impero che
fanno parte della cultura europea incarnata nel siste-
ma degli stati nazionali di oggi. Rivendichiamo la li-
bertà di varcare confini e la possibilità di stabilirci
senza dover temere espulsioni e deportazioni. Ri-
vendichiamo la sicurezza dalla violenza razzista,
esigiamo la protezione dagli omicidi degli ultrana-
zionalisti. Chiediamo che siano riconosciuti e risar-
citi gli omicidi commessi dai nazisti e dai loro alleati.
Rivendichiamo la libertà”.
Anche se oggi si continua a perpetuare la narrazio-
ne dell’“olocausto dimenticato”, i romaní non hanno
dimenticato. Siamo un popolo che esiste ancora. Ri-
corderemo sempre. Continueremo sempre a batterci
per la memoria. Ce l’abbiamo nel sangue. u ma

Il gigante


buono


John Foot


E


ra il 25 settembre 1921. Il deputato so-
cialista Giuseppe Di Vagno si trovava
nella cittadina di Mola di Bari, in Pu-
glia, la sua regione natale, e aveva ap-
pena partecipato alla cerimonia di
apertura di una sede del partito. Erano
le prime ore della sera e passeggiava con amici e com-
pagni in attesa dell’auto che doveva riportarlo a casa.
Aveva 32 anni e sua moglie aspettava un figlio. Nel
1914 era stato eletto consigliere comunale e poi pro-
vinciale. Si era schierato contro la prima guerra mon-
diale e per questo era stato mandato al confino in Sar-
degna. Alle elezioni politiche generali del 1921, nella
circoscrizione di Bari-Foggia, era stato il secondo più
votato tra i candidati di sinistra. Per via della sua sta-
tura e del suo carattere, Di Vagno era soprannomina-
to “il gigante buono”. Come tanti altri dirigenti socia-
listi di quel tempo, di professione faceva l’avvocato.
All’improvviso, un gruppo di giovani “benvestiti”
emerse “dal buio in fila indiana”. Si udì qualcuno dare
un ordine. Uno di loro aveva il “bavero alzato, mano
sinistra in tasca, cappello a falde calato sugli occhi”.
Tutto successe molto rapidamente. Dei colpi di arma
da fuoco furono esplosi alle spalle del deputato a di-
stanza ravvicinata; due lo colpirono alla schiena.
Di Vagno cadde a terra “in un lago di sangue”. I giova-

Storie di
antifascisti
Giuseppe
Di Vagno
Free download pdf