sua elezione al dogato e durante una visita
all’ospizio. Ci sono poi due quadri che te-
stimoniano la benevolenza della Chiesa di
Roma nei confronti della congregazione:
Papa Cleto istituisce l’ordine dei Crociferi e
Paolo IV consegna un breve all’ambascia-
tore (1589-90). In tutte le tele, le figure
si affermano con maestosa presenza,
espressioni di uno stile che si pone co-
me avanguardia nel superamento del
Manierismo allora in voga per dirigersi
verso una pittura più realistica e oggetti-
va. L’apparato figurativo è completato da
immagini di Profeti a monocromo sulle
pareti e dagli Angeli musicanti che circon-
dano l’Assunta nel soffitto.
C’è un episodio su cui soffermarsi con
particolare attenzione: Pasquale Cicogna
in abiti dogali visita l’Ospizio dei Crociferi.
All’apparenza rappresenta una processio-
ne che riconosce il valore del lavoro com-
piuto dall’ordine, ma voci di corridoio di
epoche lontane sussurrano l’opposto: in
realtà, quello del doge sarebbe un con-
trollo, dal momento che la congregazione
era sospettata di dare alloggio anche ad
alcune cortigiane della zona, fatto consi-
derato dalla Chiesa un grave reato. Forse
fu anche a causa dell’eccessiva apertura
nei confronti di tutti i bisognosi, senza
distinzioni di sorta, se nel 1656 l’ordine
venne soppresso da papa Alessandro VII.
A Venezia lasciò il posto ai Gesuiti, chia-
mati a ristabilire la disciplina.
La scelta dell’artista, all’epoca tren-
tenne, fu forse dettata da un antico le-
game della celebre famiglia di pittori (il
padre Antonio, il prozio Jacopo Palma
il Vecchio) con l’ordine. L’incarico per
l’Oratorio giunse nel 1583, sostenuto
dall’intervento economico di Pasquale
Cicogna, doge a partire dal 1585.
Entrando nel suggestivo spazio si ha
la sensazione di ritrovarsi in un luogo
incantato: i colori pulsano ancora vivi e
sgargianti, le figure si rincorrono ritratte
con dovizia di particolari, quasi immorta-
late da una macchina fotografica capace
di metterne a fuoco le pensierose espres-
sioni, i rossi mantelli, i gesti calibrati.
L’ambiente è quasi interamente dipinto;
guardandosi attorno e alzando gli occhi
al soffitto a cassettoni, è facile perdere il
senso dell’orientamento a causa della di-
rompente forza delle immagini.
Il primo telero su cui soffermarsi risale
al 1585 ed è quello raffigurante Cristo
in gloria benedicente, il doge Renier Zen,
la dogaressa e i Procuratori di San Marco,
alcuni padri Crociferi e donne dell’ospizio.
Posto a sinistra dell’ingresso, è il più va-
sto e importante di tutto il ciclo. Il doge
Zen è rappresentato nell’atto di donare i
propri beni all’ordine dei Crociferi, ma la
storia si intreccia al simbolismo, giacché
il Redentore in alto – dentro una nuvola
di un giallo acceso – mentre benedice l’av-
venimento sembra indicare con il braccio
teso e l’indice alzato l’arco immaginario
che tocca la figura dell’Assunta, nel mezzo
del soffitto, e termina sulla pala d’altare
al centro della parete opposta. Quest’ul-
tima non è l’originale, andata persa o ru-
bata, ed è oggi l’unico elemento pittorico
dell’Oratorio non a firma di Jacopo Palma
il Giovane, ma di un autore ignoto.
DOGI BENEFATTORI, SCENE
SACRE E UN SOSPETTO
Proseguendo nel percorso di visita, due
sono i teleri che si discostano dal tema
principale del ciclo, ovvero la storia dei
Crociferi e del loro ospedale, per assecon-
dare il carattere liturgico dell’Oratorio: la
Flagellazione di Cristo e il Trasporto di Cri-
sto. Il primo, sopra l’ingresso, allude alla
purificazione dell’anima necessaria per
entrare nel luogo sacro, mentre il secon-
do, posto sopra la porta attraverso cui ve-
nivano trasportate le donne dopo la morte
per essere sepolte nella fossa comune, le
accompagnava nel loro cammino verso
l’aldilà. Tutto il resto del ciclo racconta
episodi di cronaca che si susseguono sul-
le pareti animando le vaste tele, come i
tre dedicati al doge Pasquale Cicogna,
protettore dei Crociferi. Qui è raffigurato
mentre assiste alla messa nell’Oratorio,
nel momento in cui riceve la notizia della
Il colorismo veneto
guarda alla realtà
per celebrare la carità
dei Crociferi
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Il Trasporto di Cristo
dipinto nel 1590.
Alla scena
della traslazione
del livido corpo
di Cristo deposto
dalla croce
assistono due
personaggi
probabilmente
contemporanei
dell’artista. Le
vesti rosse sono
infatti quelle dei
Procuratori di San
Marco, che avevano
competenza anche
su chiese e
ospedali della città.
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