L'Orologio

(Chris Devlin) #1
grado di mettere su un museo come
il nostro. E ormai è troppo tardi per-
ché i modelli storici importanti sono
quasi tutti in mano ai collezionisti.
Sarebbe troppo costoso e forse i col-
lezionisti stessi non sarebbero dispo-
sti a vendere i loro pezzi.

Com’è nata l’idea del nuovo Nauti-
lus?
È venuta dal mercato. È difficile
spiegare come nascono le idee nel
nostro piccolo team di sviluppo pro-
dotto che comprende poche perso-
ne fidate e competenti oltre a me e
mia moglie. La cosa più importante è
ascoltare i clienti. Facendo questo il
nostro lavoro diventa più facile.

Perché introdurre un cronografo
Nautilus con complicazione aggiun-
ta e togliere di produzione il crono-
grafo semplice?
Perché abbiamo prodotto abba-
stanza Nautilus crono: è una questio-
ne di esclusività. Tuttavia è sempre
difficile decidere quando hai ormai
prodotto abbastanza pezzi di un mo-
dello senza scontentare la clientela.
Non c’è una logica che ti aiuti in que-
sto ma solo l’esperienza.
È la forza di Patek: non si saprà mai
per quanto tempo un orologio sarà
prodotto e in quanti pezzi.

Per questo ricoprite un ruolo di pri-
mo piano nel mercato del vintage?
Per questo e per la qualità degli
orologi che abbiamo prodotto. Se si
guarda al servizio post-vendita poi
credo che siamo gli unici a poter ri-
parare tutti gli orologi commercializ-
zati nei nostri 175 anni di storia.
L’unica cosa che non possiamo rim-
piazzare sono i componenti smaltati.
Se lo smalto si rompe non può esse-
re sostituito.
La forza di Patek è nell’evoluzione
delle nostre collezioni che rimango-
no le stesse – si pensi al Calatrava – ma
si evolvono negli anni. Un po’ come la
Porsche 911: è sempre la stessa ma è

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Lei ha studiato da orologiaio?
Ho frequentato per due anni la
scuola di Ginevra per studiare cosa
c’è dentro un orologio e capire la
mentalità dell’orologiaio. Non puoi
lavorare in Patek Philippe se non ca-
pisci un minimo di meccanica oro-
logiera. Ma oggi non lavoro più al
banco! (Ride).

Quante persone lavorano per Pa-
tek Philippe nel mondo?
Circa 2.200. Nel 1996 eravamo


  1. Siamo cresciuti abbastanza ra-
    pidamente ma ora che abbiamo il
    team e gli strumenti giusti è tempo
    di consolidare. Perciò non intendia-
    mo incrementare la produzione.


Anche per questo ogni qual volta
introducete un nuovo modello a ca-
talogo un altro esce di produzione?
Sì perché non vogliamo un cata-
logo troppo ampio. Inoltre presen-
tiamo a Basilea sempre molti model-
li nuovi circa tra i 20 e i 30. Que-
st’anno è un po’ speciale e avremo
due tipologie di orologi: quelli che
lanciamo a Basilea e quelli che pre-
senteremo per l’evento del 175° an-
niversario in autunno.

La produzione si attesta sempre
intorno ai 50.000 pezzi?
53.000 orologi all’anno. E ad esse-
re sincero neanche volendo po-
tremmo incrementare questo nume-
ro poiché siamo già a pieno regime.
Non è solo una questione di esclusi-
vità perché quella si può raggiun-
gere anche introducendo nuovi mo-
delli e nuovi calibri per aumentare il
volume di produzione mantenendo
ogni modello esclusivo di per se
stesso.

State già pensando al prossimo
traguardo quello dei 200 anni?
Sì iniziamo già ora a pensarci
perché 25 anni non sono poi molti:
sono solo 25 natali!
Stiamo già iniziando a riflettere su

quale modello sarà rappresentativo
del 200° anniversario.
Devi sempre pensare in anticipo
quando gestisci la tua azienda. Oc-
corre una visione a lungo termine e
noi normalmente puntiamo ai pros-
simi 5 o 10 anni.

C’è una Casa orologiera che am-
mira?
Io posso ammirare un prodotto o
una referenza più che una azienda.

E una persona dell’industria oro-
logiera?
Naturalmente la prima persona
che ammiro è mio padre perché
quello che ha fatto è impressionan-
te. Ma anche personaggi come Ber-
nard Arnault e Nicolas Hayek sono
da ammirare: hanno costruito degli
imperi con una strategia che è diver-
sa dalla nostra ma hanno fatto un
fantastico lavoro.

Che ne pensa della nomina di Je-
an-Claude Biver a capo della divi-
sione orologi del gruppo Lvmh?
Biver ha una grande esperienza.
Sa tanto sugli orologi e potrà dare un
contributo importante al gruppo
Lvmh. È una persona che ha speso la
vita a studiare le marche e il settore
ed è uno dei pochi che va di persona
a visitare i mercati. Non sta semplice-
mente seduto alla sua scrivania a fa-
re il manager. Quando viaggio è lui
che incontro più spesso.

Qual è la cosa più importante che
ha fatto suo padre?
Me! (Ride).
Forse la cosa più importante è il
museo. Il fatto di avere avuto la vi-
sione di costruire un trittico: la ma-
nifattura i saloni Patek Philippe di
Rue du Rohne e il museo dando al
cliente che viene a visitarci a Gine-
vra una visione a 360° sulla marca.
Credo che debba essere orgoglioso
di questo. Se ci si pensa bene non ci
sono altre marche che siano state in

L’OROLOGIO 226 - Aprile 2014

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