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Per approfondire
Sidney van den Bergh, 2011, The Curious Case of
Lemaitre's Equation No. 24
M.J.Way, Harry Nussbaumer, 2011, Lemaitre's
Hubble relationship
David Block, 2011, Georges Lemaitre and Stiglers
Law of Eponymy.
Helge Kragh, 2018, Hubble Law or Hubble-Lemaître
Law? The IAU Resolution, arXiv:1809.02557
un lieto fine. Da un lato, Hubble è stato scagionato
dall’accusa più grave (anche se, nel corso della sua
carriera, l’astronomo americano ha senz’altro
manifestato qualche umana vanità e non ha
riconosciuto pienamente il ruolo di altri colleghi).
Dall’altro è stata resa nota e chiarita anche a
coloro che non sono specialisti di storia della
cosmologia l’importanza di Lemaître nella scoperta
dell’espansione dell’universo e, più in generale, il
ruolo chiave che ha avuto l’astrofisico belga
nell’aprire la strada alla teoria del Big Bang e che
lo pone fra i grandi padri della cosmologia
moderna.
Aggiungiamo che la lettera ritrovata ne mette
ancor più in valore lo straordinario spessore
umano. Infatti, la rinuncia a rivendicare una
priorità è abbastanza difficile da immaginare nel
mondo della ricerca contemporanea ed era un
fatto presumibilmente raro anche alla sua epoca.
L’abate Lemaître non ha dunque peccato di vanità
né di immodestia.
Alla luce di quanto si è detto, pertanto, la proposta
dell’IAU di ribattezzare la legge di Hubble “legge
di Hubble-Lemaître” appare legittima. Però il 7
settembre è comparso su arXiv un articolo di
Helge Kragh, probabilmente il maggiore esperto
attuale della storia della cosmologia moderna, che
è sorprendentemente molto critico nei confronti
delle motivazioni della IAU. Fin dall’inizio afferma
infatti che «un esame critico della risoluzione rivela
errori di natura non banale».
Che cosa contesta Kragh all’IAU?
Ci sono appunti minori, come il fatto che la legge
di Hubble non cominciò ad avere questo nome
subito dopo l’articolo di Hubble e Humason del
1931, come si afferma nella risoluzione, ma molti
anni dopo e che, ironicamente, uno dei primi a
chiamarla così fu proprio Lemaître.
Inoltre nella risoluzione si legge che alla terza
assemblea generale dell’IAU, del 1928 a Leida,
Hubble e Lemaître si scambiarono le rispettive
opinioni sulla relazione tra redshift e distanza, ma
a sostegno di ciò si citano due fonti che, in realtà,
non dicono nulla su tale incontro. Kragh afferma
che, su questo punto, la risoluzione dell’IAU traccia
una storia superficiale e arriva quasi a inventare
delle prove. Secondo Kragh occorre distinguere i
rispettivi contributi dei due scienziati: Lemaître fu
il primo a proporre e giustificare con i dati
disponibili l’espansione dell’universo, ma la
relazione empirica redshift-distanza fu stabilita da
Hubble. Sia chiaro, Kragh non si esprime in merito
alla proposta dell’IAU, ma ne critica il metodo: ogni
decisione va presa sulla base di «seria
documentazione storica e non di speculazioni su ciò
che sarebbe potuto avvenire nel passato».
Indubbiamente le rettificazioni dello storico
danese sono pertinenti e ci si può rammaricare che
non sia stato consultato qualche specialista di
storia della cosmologia (credo che questo sia uno
dei motivi della palese e inabituale irritazione di
Kragh).
Personalmente ho sempre ritenuto che a Lemaître
dovesse essere prima o poi dedicato un grande
telescopio europeo e l’Extremely Large Telescope
(ELT) sarebbe una buona occasione, mentre
aggiungere il suo nome alla legge di Hubble non
mi sembrava necessario. Comunque, considerato il
contenuto dell’articolo del 1927, con la
comprensione del legame fra l’espansione
dell’universo e la relazione redshift-distanza, con il
confronto con le osservazioni allora disponibili
(che, sia detto per inciso, includevano le
osservazioni spettroscopiche di Slipher e Humason
e le misure di distanza di Hubble) e con la prima
determinazione della costante di Hubble, voterò a
favore della risoluzione IAU, pur cosciente dei suoi
limiti.
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