Americhe
U
n uomo davanti allo specchio,
questa mattina. Gli uomini di
una certa età di solito preferisco-
no non guardarsi troppo, per non
vedere i segni devastanti lasciati dal tempo.
Eppure oggi l’uomo si specchia più a lungo.
C’è qualcosa di strano: questa faccia è stata
riprodotta su migliaia di cartelloni e milioni
di schede, e tra qualche giorno sarà ritratta
in migliaia di foto appese in migliaia di uffi-
ci, caserme e ospedali. L’uomo diventerà il
presidente di un paese, l’Argentina. Un po’
ci crede e un po’ no. Fino a pochi mesi fa era
un politico quasi in pensione che in pochi
ricordavano. Non ci sono molti casi di ri-
comparse così improvvise, così inaspettate.
L’uomo guiderà un paese in crisi e dev’esse-
re pieno di idee e di paure. Probabilmente
oggi va di fretta: deve incontrare il presi-
dente uscente, poi apriranno i mercati.
“I mercati” è l’eufemismo usato in Ar-
gentina per parlare della borsa, delle ban-
che e dei grandi operatori finanziari che, a
colpi di manovre economiche, dirigono la
vita del paese e dei suoi cittadini. Il 27 otto-
bre, dopo i primi risultati delle elezioni pre-
sidenziali, il governo liberista ha fissato un
limite massimo alla quantità di dollari che
si possono comprare ogni mese: duecento.
Quello stesso giorno l’uomo allo spec-
chio, Alberto Ángel Fernández, un avvoca-
to di Buenos Aires di sessant’anni ben vesti-
to e sorridente, ha ottenuto il voto di più di
dodici milioni di persone, il 48 per cento
degli argentini, rendendo superfluo un se-
condo turno. Il merito, però, non è tutto
suo: dopo quattro anni di governo conser-
vatore, che si chiuderanno a dicembre con
l’inflazione al 60 per cento e un aumento
della povertà, l’impopolarità del presidente
uscente Mauricio Macri, suo principale av-
versario, ha avuto un peso. Eppure il risulta-
to di Fernández è stato peggiore delle aspet-
tative: i sondaggi parlavano di quindici o
venti punti percentuali di distacco, invece
sono stati meno di otto. Negli ultimi giorni
la paura o l’odio nei confronti del peroni-
smo, la rivendicazione dell’ordine istituzio-
nale e il ricordo della corruzione hanno
permesso al macrismo di recuperare un po’,
perdendo quasi con dignità. Macri insom-
ma ha guastato la festa: Fernández s’imma-
ginava di trionfare in tutto il paese, con una
forza unificatrice travolgente, ma le urne
non gli hanno dato ragione. Macri ha vinto
nelle cinque province più ricche: Buenos
Aires, Santa Fe, Córdoba, Mendoza ed En-
tre Ríos. I risultati sono una mappa delle
classi sociali argentine: le province povere
sono peroniste, quelle agiate liberiste.
Proposte misurate
Inoltre la sconfitta di Macri segue l’attuale
modello latinoamericano: pochi presidenti
in questi ultimi anni sono stati rieletti. I par-
titi al governo perdono le elezioni perché
milioni di cittadini sono insoddisfatti e, non
avendo altre scelte, fanno andata e ritorno:
votano un partito, non funziona; votano il
rivale, neanche quello funziona; votano di
nuovo il primo partito, funziona ancora me-
no. Fino a quando, a volte, protestano. In
Cile, per esempio, il progetto del presidente
Sebastián Piñera, la “versione di successo
di Macri”, sta crollando nelle piazze.
Quindi ora in Argentina l’alternativa
kirchnerista (dal nome di Néstor Kirchner,
presidente dal 2003 al 2007) che quattro
anni fa sembrava spacciata, è tornata con
rinnovato vigore. O forse no. Non è dato sa-
perlo, è il grande mistero.
Alberto Fernández ha passato la sua
campagna elettorale, breve e fulminea, a
convincere milioni di persone che non sa-
rebbe tornato il kirchnerismo, ma il peroni-
smo. Sono due cose molto diverse. Il kirch-
nerismo è un modello politico che si è isola-
to sempre di più con il passare del tempo: ha
mantenuto i suoi sostenitori più fedeli e ha
escluso tutti gli altri. Il peronismo, almeno
in teoria, è il contrario: l’arte d’includere
tutti oltre qualsiasi logica apparente.
Il peronismo è una macchina per con-
centrare e conservare il potere, che da più di
settant’anni domina la scena politica argen-
tina. La sua metafora più diffusa è il sacco
pieno di gatti. Lo diceva già il suo fondatore,
il generale Juan Domingo Perón (presiden-
te dal 1946 al 1955 e poi rieletto nel 1973):
“Noi peronisti siamo come i gatti. Quando
ci sentono gridare pensano che stiamo liti-
gando, invece ci stiamo riproducendo”. La
grande arte del peronismo consiste nel
mantenere i gatti nel sacco. La sua forza è
nella coesistenza di varianti di ogni tipo. Il
kirchnerismo non l’ha capito e per questo
(oltre che per la gestione negligente dei sol-
di altrui) ha perso due o tre elezioni di se-
guito ed è stato sul punto di scomparire.
Macri, con la sua incompetenza e il suo ma-
chiavellismo da salotto, gli ha fatto il favore
di mantenerlo a galla, ma è stato il peroni-
smo di Alberto Fernández a dargli la possi-
bilità di tornare al potere con il suo sillogi-
smo ormai famoso: “Senza Cristina non si
può, con Cristina non basta”. La frase sinte-
tizzava due dati contrapposti: l’ex presiden-
te Cristina Fernández, vedova di Néstor
Kirchner e ora vicepresidente di Alberto
Fernández (i due non sono parenti), mante-
neva il trenta per cento dei consensi, ma
l’altra metà degli elettori non l’avrebbe mai
votata.
Alberto Fernández ha provato a convin-
cere il maggior numero di persone possibile
di essere al loro fianco, promettendo a tutti
quello che volevano sentirsi dire. Gli spie-
gava che era uno di loro, ma che doveva par-
lare anche con gli altri affinché i suoi pro-
getti si realizzassero.
Fernández è bravo in questo e negli ulti-
mi giorni lo ha fatto con banchieri, sindaca-
listi, imprenditori, attivisti, proprietari ter-
rieri e vescovi. Ma in campagna elettorale è
relativamente facile; le cose si complicano
quando chi promette deve governare. Allo-
ra bisogna prendere misure efficaci, che
favoriscono alcuni a scapito di altri. Così,
nel dubbio, Fernández ripete che vuole co-
minciare il suo mandato con una sorta di
grande patto nazionale: ancora nessuno sa
di cosa si tratti, anche se si parla di prezzi e
di stipendi, di rafforzare il ruolo dello stato
e migliorare la situazione dei cittadini più
poveri. Ma non offre niente di straordina-
L’Argentina sceglie
Alberto Fernández
Il politico peronista sarà
il prossimo presidente del paese.
Eredita una gravissima crisi
economica e dovrà cercare il
dialogo con tutti, a cominciare
dal suo stesso partito
Martín Caparrós, The New York Times, Stati Uniti
Foto di Karl Mancini