Il Sole 24 Ore - 12.11.2019

(Ron) #1

Il Sole 24 Ore Martedì 12 Novembre 2019 21


Commenti


LA CORSA AL QUIRINALE


DRAGHI IL PATRIOTA


E IL GIUDIZIO


DI SALVINI


R


icordate il film “I mostri”? Nell’episodio


intitolato «La nobile arte», Enea Guar-
nacci, un ex pugile senz’arte né parte in-

terpretato da Ugo Tognazzi, cerca di con-
vincere Artemio Altidori, una vecchia

gloria della boxe interpretata da Vittorio


Gassman, a tornare sul ring. Ma prima di dire un sì
che lo ridurrà su una sedia a rotelle, quest’ultimo

ribatte che «i cazzotti fanno male». Proprio così.


Ne sa qualcosa Matteo Salvini, che a Ferragosto
era andato per suonarle ed è stato suonato. E da chi,

poi? Da Giuseppe Conte, fino ad allora considerato


un suo sottoposto. Che nella seduta del Senato del
 agosto gliene ha dette tante da lasciarlo stordito.

I guai, si sa, non vengono mai da soli. A rendergli la


vita difficile è stata poi la strana coppia, formata da
Matteo Renzi e Beppe Grillo, che hanno convinto i

renitenti Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio a mettersi


insieme e a insediare di nuovo a Palazzo Chigi – con
sommo scorno del Capitano – proprio Conte. Con

tanti saluti alle elezioni anticipate che Salvini pensa-


va a portata di mano.
Sì, è vero: i cazzotti fanno male. Ma sono pedago-

gici. Così deve aver pensato l’ex vicepresidente del


Consiglio leghista. Ora che sembra essere tornata a
brillare la sua stella e tutti gli danno atto – magari a

malincuore – che è intelligente, ecco la metamorfosi.


Palazzo Chigi, dopo tutto, val bene una messa. E mes-
se cantate lui, Matteo, ne propizia a profusione. Tan-

t’è che molti osservatori lo dipingono come il perso-


naggio del capolavoro di Robert Louis Stevenson. I
suoi avversari lo hanno considerato fino a ieri una

sorta di mister Hyde. Adesso si direbbe che abbia


indossato invece i panni di un irreprensibile dottor
Jekyll. L’abito non fa il monaco, è vero. E la cosa im-

portante non è che abbia rimesso nel guardaroba le
amate felpe e indossato la giacca e addirittura la cra-

vatta. No, la cosa davvero importante è che abbia


cambiato la musica.
Tanto per cominciare, ha piazzato un colpo da ma-

estro. Il successore di Mattarella al Quirinale? Salvini


vedrebbe con favore Mario Draghi, «una persona
perbene, un italiano che ha grandi qualità», ha detto

a «La Stampa». Avrebbe potuto aggiungere: un pa-


triota. Perché quello che ha fatto per il proprio Paese
Draghi al vertice della Banca centrale europea, non

può essere disconosciuto da nessuno. E strano che


Giorgia Meloni non la pensi come Salvini al riguardo.
Perché se lei si considera una patriota, patriota lo è

anche Draghi. Il cui curriculum di sicuro non sfigura


rispetto a quello declamato dal presidente del Consi-
glio pro tempore. Che, non per colpa sua, pende più

della Torre di Pisa. Ma perché un colpo da maestro?


Per il semplice motivo che ha gettato nello sconforto
almeno una mezza dozzina di pretendenti democra-

tici, già ai nastri di partenza in vista della marcialon-


ga per il Quirinale. Certo, Draghi – a proposito di
pendenze – non pende smaccatamente né di qua né

di là. Se non super, di sicuro è extra partes. Si conside-


ra un liberal-socialista che ha avuto in passato il gra-
dimento di molti presidenti del Consiglio. Da Silvio

Berlusconi al desaparecido Massimo D’Alema. Sareb-


be un degno successore di Mattarella, che sta rappre-
sentando al meglio l’unità nazionale.

Ma non è tutto. Fatto il pieno di voti a destra, sca-


valcando spesso e volentieri a destra la Meloni,
adesso vira al centro per sbarrare la strada alle vel-

leità dell’altro Matteo, bravo a catturare parlamen-
tari ma non si sa quanto bravo un domani a prendere

i voti degl’italiani.


Ecco che apre a Liliana Segre, dopo essersi aste-
nuto con tutto il centrodestra a proposito dell’istitu-

zione di una commissione partorita in origine da


Laura Boldrini. Ecco che coltiva i vescovi. A comin-
ciare dal cardinale Ruini, che gli ha dato un’apertura

di credito. Ecco che si avvicina al Partito popolare


europeo. Anche se lui, guascone com’è, ribatte: «Non
siamo noi che cerchiamo quelli del Ppe, sono loro che

ci cercano perché hanno bisogno dei nostri voti su


alcune questioni».
Una rivoluzione del buonsenso, la chiama lui.

Un’operazione cosmetica, come insinua qualcuno?


Può darsi. Fatto sta che tutti i rivoluzionari che si
rispettano, quando sentono che il Potere è lì a un

passo da loro, mettono giudizio. Non era forse Fran-


cesco Crispi, mazziniano e garibaldino impenitente,
a diventare capo del governo dopo aver dichiarato

che la Monarchia unisce mentre la Repubblica divi-


derebbe? E se lo ha detto Ciccio Crispi, si può adegua-
re, nel suo piccolo, Salvini...

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CRITERI DI VALUTAZIONE PIÙ EFFICACI NEGLI ATENEI


L’


attuale sistema di va-
lutazione delle uni-

versità trae origine


della riforma del 
(legge Gelmini). A

valle di questa, alcu-
ne decine di decreti hanno definito

le procedure per la valutazione di


vari aspetti dell’attività degli ate-
nei. Gli atenei sono così accreditati,

autorizzati ad attivare corsi, e, so-


prattutto, finanziati.
In questi processi in aggiunta al

ministero dell’Istruzione Universi-


tà e Ricerca (Miur) vi è un secondo
attore: l’Agenzia nazionale per la

valutazione del sistema universita-


rio e della ricerca (Anvur). Le pro-
cedure messe in opera da Miur e

Anvur hanno ricevuto numerose


critiche e in alcuni casi è stata mes-
sa in discussione la stessa opportu-

nità che processi valutativi esista-


no. Queste questioni sono partico-
larmente attuali: nella maggioran-

za vi sono forze politiche che hanno


fatto proprie alcune di queste criti-
che e le stanno ora portando nel-

l’agenda di governo.


È utile premettere che l’autono-
mia universitaria rende indispensa-

bile una puntuale analisi della per-


formance degli atenei per fornire a
Miur e organi di governo degli ate-

nei gli strumenti per decisioni in-


formate. Questa necessità però non
deve giustificare qualunque proce-

dura valutativa: anche la valutazio-
ne deve essere valutata.

I capisaldi dell’attuale architettu-


ra valutativa sono Ava (autovaluta-


zione, valutazione e accreditamen-


to) e Vqr (Valutazione della qualità


della ricerca).
Ava definisce i requisiti per l’au-

torizzazione allo svolgimento delle


tre funzioni di un ateneo: forma-
zione, ricerca, trasferimento di co-

noscenze alla società (la terza mis-


sione). Ava è utile quando fornisce
raccomandazioni e strumenti af-

finché aumentino efficacia e suc-


cesso degli atenei. Nell’implemen-
tare le linee guida europee, però,

un’eccessiva attenzione a processi


e protocolli ha offuscato l’attenzio-
ne all’effettiva performance delle

università: sceglieremmo un chi-


rurgo in base all’accuratezza della
modulistica pre-operatoria? C’è

quindi il pericolo di uno strabismo


di valutazione: in alcuni casi dipar-
timenti con una performance Vqr di

alto livello sono stati valutati in Ava
peggio di dipartimenti i cui risultati

Vqr erano drasticamente inferiori,


proprio a causa dell’incompletezza
delle procedure interne (che, evi-

dentemente, non determinano uni-


vocamente la performance...).
Chi deve intervenire? Devono

agire in sintonia Miur e Anvur e vi


sono resistenze al cambiamento in
entrambi gli attori, come ho potu-

to verificare in prima persona nel


mio ruolo di componente del con-
siglio direttivo dell’agenzia. Siamo

oggi prossimi al completamento


del primo ciclo di accreditamento
degli atenei italiani: non è perciò

più differibile una profonda revi-


sione delle procedure Ava. Sono


state recentemente approvate le


modalità per l’accreditamento di


alcuni atenei particolari, le Scuole
superiori ad ordinamento specia-

le: queste procedure mostrano che


si può accreditare un ateneo guar-
dando alla sua effettiva perfor-

mance, anche in Italia.
Secondo caposaldo: la Vqr, desti-

nata a valutare la qualità della ricer-


ca degli atenei con cadenza quin-
quennale. Data la dimensione del si-

stema universitario, il numero dei


risultati da valutare è molto grande
(milioni nel quinquennio): è quindi

inevitabile ricorrere a un campiona-


mento. Nel campionare bisogna pe-
rò tener conto delle specificità delle

diverse aree disciplinari. In alcuni


campi i ricercatori pubblicano in
grandi gruppi (arriviamo a migliaia

di coautori in una singola pubblica-


zione scientifica) e producono cen-
tinaia di lavori nel quinquennio; in

altri campi, ricercatori in piccoli


gruppi o individualmente perse-
guono progetti che portano ad alcu-

ne unità di risultati nello stesso pe-


riodo. Fino a oggi, a ogni ricercatore
è stato richiesto di fornire lo stesso

numero di “prodotti” (pubblicazioni


scientifiche, come nell’esempio, ma
anche brevetti, progetti o altro a se-

conda della disciplina). Un tale cam-


pionamento è ovviamente distorsi-
vo. Non sorprende che in alcuni set-

tori si trovino solo “prodotti” di alta


qualità (selezionando tra diverse
centinaia è agevole trovare uno-due

lavori di alto livello rispetto la me-
dia...); il risultato è che tutto un set-

di Fabio Beltram


PIÙ INVESTIMENTI NELLA RICERCA


PER UN PIANETA SOSTENIBILE


I


l movimento FridaysForFutu-


re sta attirando l’attenzione
sia dell’opinione pubblica sia

dei “decisori” ai grandi temi
della sostenibilità e dell’am-

biente. Il dibattito è aperto e,


come in altri casi, non mancano le
opposte tifoserie. I social impaz-

zano, attirando fanatismi e risen-


timenti pro e contro i milioni di
giovani che hanno manifestato

nelle scorse settimane. Il tema


ambientale non è di oggi, né è di
Greta Thunberg, alla quale va tut-

tavia riconosciuto il merito di es-


sere riuscita a bucare un’opinione
pubblica ormai avvezza al game of

fears quotidiano giocato su questa


o quella catastrofe imminente.
Anche se non mancano scettici

e negazionisti, il problema c’è. E


non è solo un problema di cam-
biamento climatico. In fondo, e mi

rendo di dire una “eresia”, non è


nemmeno il problema principale.
Di che parlo?

Quest’anno l’overshoot day,


cioè il giorno dell’anno in cui
l’umanità ha esaurito la sua quota

annuale di risorse naturali, è arri-


vato il  luglio. Sempre in antici-
po sull’anno precedente, come or-

mai sta succedendo dagli anni .


Nel  utilizzeremo le risorse
naturali equivalenti a quelle di

, pianeti Terra. Consumiamo
largamente più di quanto il piane-

ta sia in grado di produrre in un
ciclo annuale. Stiamo compro-

mettendone la capacità di rigene-


rare le risorse che serviranno alle
generazioni future.

Altro dato in aumento è quello


della popolazione mondiale. Basta
andare sul sito delle Nazioni Unite

per vedere le proiezioni. Per il


 si prevede, in funzione del
numero di figli e dell’aspettativa

di vita alla nascita, una “forbice”


tra  e  miliardi di persone. Per
capirci, qualcosa tra  e  miliardi

di esseri umani in più rispetto a


oggi. Non solo questo, le Nazioni
Unite ci dicono anche che la durata

media della vita a livello mondiale


crescerà ancora, portandosi intor-
no a  anni ( per la sola Europa)

nel . Saremo di più e vivremo


più a lungo e quindi consumere-
mo di più e più a lungo e, ovvia-

mente, aspireremo tutti a condi-
zioni di vita migliori e per tutti.

In questo scenario di crescita


esponenziale è difficile pensare
all’autolimitazione dei consumi

basata su scelte individuali. Qua-


lunque ragionamento di “decre-
scita felice” o di diminuzione del

fabbisogno energetico, qualsiasi


modello di alimentazione suffi-
ciente e diffusa o di economia cir-

colare così come qualunque poli-


tica di welfare ecc. si scontrerà
con il fatto che la Terra è una sfera

di superficie finita, con una popo-
lazione in aumento e risorse in ca-

lo. Presto avremo bisogno di due


pianeti e non li abbiamo.
Che fare? Sono trend che non

possono essere invertiti, non in


tempi brevi e non senza impensa-
bili sacrifici. Si può però cambiare

strategia e rispondere alla sfida


attivando l’unico trend di crescita
in grado di darci qualche chance:

usare di più i nostri cervelli.
Come? Aumentando esponen-

zialmente gli sforzi della ricerca


scientifica mondiale. Serve cioè
che il messaggio di Greta Thun-

berg – che è in fondo un messag-


gio di fiducia nella Scienza – cata-
lizzi e acceleri uno sforzo comune

di università, centri di ricerca e


istituzioni pubbliche nei settori
che direttamente impattano sulla

sostenibilità. Lavorare insieme


per trovare gli strumenti per sfa-
mare più persone, trovare miglio-

ri fertilizzanti, usare meglio i ter-


reni, fermare la deforestazione,
aumentare la portabilità e la con-

servazione degli alimenti, rias-


sorbire gli inquinanti, assistere la
ridefinizione dei modelli di tra-

sporto umano, eliminare gli spre-


chi ecc. Non è solo la tecnologia
che è in gioco: si tratta anche di

comunicare diversamente, di


vendere diversamente, di distri-
buire diversamente, di conservare

di Dario Braga


TROPPO SPESSO


SI DÀ UN PESO


ECCESSIVO


ALLE PROCEDURE


RISPETTO


AI RISULTATI


tore appare artificialmente eccel-
lente. Nulla di cui gioire, le vere ec-

cellenze sono così indistinguibili e


il meccanismo premiale si inceppa.
Un’ultima considerazione: Vqr

deve valutare la qualità della ricerca
dell’ateneo, non degli individui.

Non è allora limitativo guardare


agli atenei solo come somma del la-
voro dei singoli? Dobbiamo consi-

derare anche la capacità di visione,


di scelta degli atenei. Ulteriori cor-
rettivi alle procedure vigenti devo-

no essere introdotti anche su altri


aspetti, ma qui questo richiedereb-
be troppo spazio (come si decide il

valore scientifico dei singoli risul-


tati, la bontà delle scelte degli atenei
su reclutamento e utilizzo delle ri-

sorse ministeriali...).


Questi aggiornamenti sono ur-
genti perché, per legge, in pochi

mesi sarà avviato un nuovo ciclo di


Vqr e sulla base di questo saranno
distribuiti i fondi premiali agli ate-

nei per un quinquennio. In chiusu-


ra è inevitabile menzionare un’altra
questione collegata e altrettanto at-

tuale: la definizione dei compiti


della nascenda Agenzia nazionale
per la ricerca. Bisogna evitare che la

sua istituzione ingarbugli l’archi-


tettura valutativa fissata dalla legi-
slazione vigente: il mandato della

consorella francese è un utile


esempio da emulare con il suo
esplicito ed esclusivo accento sulla

selezione e finanziamento dei pro-
getti strategici di ricerca.

Scuola Normale Superiore


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diversamente, di rimodellare le


strutture sociali e di ridurre le di-
seguaglianze. Abbiamo le risorse

intellettuali per farlo, e possono
crescere ancora puntando sia sul-

la ridefinizione di obiettivi di ri-


cerca, anche industriali, sia sul re-
clutamento e la formazione di

nuove coorti di ricercatori consa-


pevoli e preparati a un sforzo col-
lettivo. E qui anche l’Italia deve

fare la sua parte.


Si tratta tuttavia di una scelta
che comporta come “atto conse-

guente” investimenti ingenti e


crescenti di uomini e mezzi nella
ricerca a partire dal nostro Paese.

Ed è indispensabile che i decisori


politici e i “grandi ricchi” capisca-
no che la sostenibilità è una parola

che si declina al presente e che da-


zi e frontiere non fermano l’inqui-
namento e i cambiamenti climati-

ci né producono più alimenti.


Qualcuno troverà tutto questo
molto ingenuo, forse lo è, o forse

è realismo. Al di là delle parole, so-


lo un impegno enorme, collettivo
e concreto di studio e ricerca sul

nostro futuro, un impegno senza


precedenti, può tenere lontano lo
scenario distopico di un mondo

affamato, intossicato e in guerra.


Direttore dell’Istituto di studi avanzati
Alma Mater Studiorum

Ateneo di Bologna


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IL SOLE 24 ORE
DEL LUNEDì,
11 NOVEMBRE
Un articolo di

Eugenio Bruno


paventa per la
ricerca un rischio

dovuto a doppi


controlli. Il Ddl di
bilancio istituisce

infatti una nuova


Agenzia - l’Anr -
che affincherà

l’Anvur nella
valutazione degli

enti pubblci, ma


non risolve il nodo
dei fondi: per il

2020 stanziati


solo 25 milioni.


UN IMPEGNO


CONCRETO TERRÀ


LONTANO


IL RISCHIO DI UN


MONDO AFFAMATO


E INTOSSICATO


1,75


PIANETI TERRA
Quest’anno
l’overshoot day,
cioè il giorno
dell’anno in cui
l’umanità ha
esaurito la sua
quota annuale di
risorse naturali, è
arrivato il 29
luglio. Nel 2019
utilizzeremo le
risorse naturali
equivalenti a
quelle di 1,75
pianeti Terra.
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