L\'Espresso - 20.10.2019

(Steven Felgate) #1
testimonianze, ilmati e atti societari
raccolti dai ricercatori di Re:Common,
un’organizzazione senza ini di
lucro che si batte a livello globale
contro la corruzione e la distruzione
dell’ambiente. All’inchiesta hanno
collaborato anche giornalisti che vivono
in Turchia e non possono irmare per
motivi di sicurezza personale.
Nella regione-simbolo di Mugla, la più
devastata dal boom del carbone, tutte
le centrali e le miniere sono controllate
da tre società private. Il gruppo Ic
Ictas, fondato dal magnate Ibrahim
Cecen, è un colosso dell’energia,
edilizia e infrastrutture, che negli anni
di Erdogan ha ottenuto contratti statali
miliardari per la costruzione di centrali,
mega-ponti, ospedali. Limak è un altro
conglomerato di aziende, guidato da
Nihat Ozdemir, che ha ottenuto colossali
appalti statali e si è aggiudicato anche il
quarto lotto del Tanap, la tratta turca del
super-gasdotto Tap (quello contestato
in Puglia). Entrambi gli industriali
sono stati intercettati, nel 2013,
mentre ricevevano pressanti richieste
da Erdogan (anche con telefonate
personali) per comprare giornali e tv in
perdita, in cambio di contratti pubblici.
L’indagine è stata poi fermata come
«complotto dei golpisti». Il terzo polo,
Bereket Energy, controlla altre società
privatizzate dal governo ed è concentrato
sull’energia, in particolare sul carbone,
che si è rivelato un pessimo affare: il
gruppo ha accumulato debiti per quattro

miliardi e mezzo di dollari, secondo
l’agenzia Bloomberg, e nel marzo scorso
ha dovuto siglare un accordo anti-
fallimento con le banche.
Il primo inanziatore straniero del
carbone turco è il colosso bancario
italiano Unicredit, che ha concesso
prestiti per oltre un miliardo ai tre
gruppi attivi nella regione di Mugla.
Gran parte dei fondi sono stati stanziati
dalla iliale turca Yapi Kredi Bank
(controllata da Unicredit insieme al
gruppo inanziario Koc) quando il suo
capo-economista era Cevdet Akcay,
legatissimo al partito del presidente:
il banchiere fu intercettato nel 2011
mentre suggeriva al ministro degli
esteri (che girava i messaggi al nipote

di Erdogan, oggi titolare delle inanze) i
nomi dei politici da chiamare al governo.
Ora Unicredit ha cambiato linea.
Nell’aprile scorso, all’assemblea degli
azionisti, l’amministratore delegato Jean
Pierre Mustier ha annunciato una svolta
sul carbone. In risposta alle critiche, il
vertice della banca ha garantito «una
revisione della policy sul inanziamento
alle attività di produzione di energia
da carbone», che terrà «nella massima
considerazione il tema dei cambiamenti
climatici». In attesa della svolta verde,
prevista per ine anno, il sostegno alle
aziende turche nell’era di Erdogan è
costato caro al gruppo italiano: Yapi
Kredi ha chiuso il bilancio del 2018 con
Foto: Re:Common perdite per 846 milioni di euro. Q


Prima Pagina

kara, con l’accusa di “propaganda a favore di organizzazione
terroristica”, sempre a causa di post condivisi sui propri ac-
count social. I pubblici ministeri turchi hanno inora indaga-
to almeno 500 utenti di social media per aver pubblicato twe-
et che criticano l’Operazione. Ma il Sultano non dimentica
nulla. La sua sete di vendetta non conosce ristoro. Per questo
la magistratura sta ancora indagando e comminando pene
nei confronti di coloro che parteciparono alla enorme rivolta
popolare di Gezi park del 2013, repressa nel sangue dalla gen-
darmeria e dalla polizia. In quel mese di proteste, 4 milioni di
turchi scesero in strada per criticare la deriva dispotica del
Sultano. Uno smacco davanti agli occhi del mondo che Erdo-
gan non può perdonare. Per questo il ilantropo Osman Kava-
la, in carcerazione preventiva da due anni, rischia l’ergastolo
per “sedizione e tentativo di rovesciare l’ordine costituito”

secondo una delle tante accuse prefabbricate. Si avvicina in-
tanto la data del 4 novembre, terzo anniversario dell’arresto
del fondatore del partito ilo curdo democratico dei Popoli, il
parlamentare Selahattin Demirtas, accusato di sostenere il
Pkk di Ocalan. La sua unica colpa è aver dato voce non solo ai
curdi ma ai tanti giovani turchi orfani della sinistra e alle mi-
noranze religiose e di genere che hanno votato il suo partito
nel 2015 portandolo a superare la soglia del 10 per cento e
permettendo anche ai curdi per la prima volta di avere una
rappresentanza parlamentare. La Corte europea dei Diritti
dell’Uomo, a cui la Turchia sarebbe ancora vincolata nono-
stante la sospensione della procedura di ingresso nell’Ue, ha
ordinato all’inizio dell’anno la sua scarcerazione. Nelle pri-
gioni turche ci sono migliaia di “ostaggi” dello Stato, tra i
quali decine di giornalisti, e altri ne arriveranno. Q

IL SULTANO DEL CARBONE: LA VIDEO-INCHIESTA IN ESCUSIVA SUL SITO DELL’ESPRESSO
Il nostro sito http://www.lespresso.it pubblica in anteprima il video-documentario, co-prodotto da
Re:Common e dal regista turco Imre Azem, sulle centrali a carbone inanziate dal regime
di Erdogan e sulle disastrose conseguenze ambientali nella regione mediterranea di Mugla
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