L\'Espresso - 20.10.2019

(Steven Felgate) #1

Foto: Agf (2)


spazio di un mattino. Quest’anno la novità è che Renzi non è
più nel Pd, la rete dei comitati con un piede dentro e uno
fuori è tutta in un altro partito, Italia Viva. Ma c’è da dubitare
che sarà questa l’ultima tappa: è un partito provvisorio che
serve ad ampliicare la precarietà del tutto, il governo Conte,
la fragile intesa Pd e M5S già alla prima prova del voto in
Umbria tra una settimana, i gruppi parlamentari dei partiti
maggiori mai così indecifrabili. Nelle stesse giornate Salvini
torna in piazza a Roma, come nel 2015, quando operò la svol-
ta sovranista e nazionale in piazza del Popolo. Alla vigilia
della manifestazione hanno annunciato la loro presenza i
neo-fascisti di Casa Pound, ma la sida del Capitano leghista
è un nuovo cambio di pelle, da estremista di governo a mo-
derato di opposizione, per provare a guidare tutto il centro-
destra, con Berlusconi, per non inire ricacciato nel ghetto
del lepenismo e dell’irrilevanza. I due Mattei si scambiano
ancora una volta le parti. Renzi si traveste da lupo e Salvini
da agnello.
Renzi e Salvini oggi mettono la leggerezza e la genericità dei
contenuti, ainati dai comunicatori per arrivare al maggior
numero di elettori possibili, insieme con la rigida divisione
del mondo in buoni e cattivi. I buoni stanno con noi, i cattivi
sono quelli che non stanno con noi. Eccellono nella coltiva-
zione delle curve social, chiuse, tetragone, sigillate rispetto a
dubbi e interrogativi. Alludono a un sistema di leadership,
maggioritario, tendenzialmente presidenziale, all’america-
na, senza paragoni in Europa dove, nonostante tutto e con
l’eccezione della Francia, vige un sistema parlamentare. La
convivenza di due modelli, uno parlamentare fondato sulla
Costituzione del 1948 e uno comunicato presidenziale con i
nomi dei leader sui simboli e l’impronunciabile igura del ca-
po politico inserita nei testi delle leggi elettorali, è stato uno

dei più gravi motivi di debolezza dell’eterna transizione ita-
liana.
Oggi di nuovo il sistema è ancora sospeso tra la retorica del
cambiamento e la realtà. Lo dimostra l’accidentato inizio del
percorso di approvazione della legge di Bilancio, senza slan-
cio e senza visione, in un’Italia che le stime del Fondo mone-
tario internazionale collocano in fondo alla classiica, a cre-
scita zero, in lotta per non retrocedere. Con l’assenza di un
blocco sociale di riferimento, come si sarebbe detto un tem-
po, a parte un qualche appoggio che arriva dalla Cgil e dal
pubblico impiego, troppo poco per deinire un nuovo ceto
medio. Una cultura politica di valori. Un sistema istituziona-
le coerente. Così si parla molto di patto con gli italiani, ma il
patto non c’è e l’idea del Paese che si governa è vaga. Tocca,
ancora una volta, al partito che più incarna tutte le contrad-
dizioni dell’ultimo quarto di secolo, il Partito democratico,
provare a evitare la polverizzazione della politica, la replica
del trasformismo e del notabilato, e la costruzione di una co-
alizione non soltanto politica o elettorale, ma anche sociale
e perino culturale. Impresa quasi impossibile, in assenza di
un federatore, che è il contrario del demiurgo, e delle forze
sociali disposte a mettersi in gioco e di un sistema elettorale
che non sia soltanto la fotograia dei rapporti di forza attuali
ma richiami un cambio di comportamento degli elettori, co-
me fu un quarto di secolo fa: dall’irresponsabilità alla re-
sponsabilità. Ma è un’impresa necessaria, se si vuole non si
vuole restare nell’indeinito presente, che continua a colpire
chi nonostante tutto ha scommesso sulle virtù della politica,
come quel che resta Partito democratico. O nell’indeinito
futuro, spartito tra i due Mattei che marciano divisi e colpi-
scono uniti. n

Giacché, per dirla secondo l’adagio, il «seme della Dc
può spuntare dove meno ve l’aspettate», in un tripudio da
beatiicazione Giuseppe Conte è stato accolto l’altro giorno
ad Avellino per commemorare l’ex ministro Fiorentino
Sullo, padre degli scudocrociati irpini. È inita con una
celebrazione soprattutto sua, del premier. Deinito fra
l’altro: il nuovo Aldo Moro, il nuovo Romano
Prodi, il nuovo Mino Martinazzoli ma forse
addirittura il nuovo Luigi Sturzo («rifaccia
il partito popolare», gli sussurravano dalla
folla). Una specie di santo patrono dei reduci
e dei sopravvissuti. Degli aspiranti
eterni. Ricordarselo, per il giorno
in cui (mai sia!) Conte dovesse
decadere dall’Olimpo, e mutarsi in
un Mastella qualsiasi.

AGENDA NUOVO UMANESIMO

SUSANNA TURCO


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