Il Sole 24 Ore Martedì 22 Ottobre 2019 19
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MICROCOSMI
COMUNITÀ PIÙ FORTI
PER RICOSTRUIRE
IL CAPITALE SOCIALE
I
dati sulla povertà in Italia continuano a interro-
garci. Quelli elaborati dall’Istat dicono che il nu-
mero di poveri assoluti registrato nel si
conferma allo stesso livello del , rimanendo
al di sopra della soglia dei milioni, cioè intorno
ai livelli massimi dal . Di questi il % dei
poveri assoluti è di origine straniera. A questi occor-
re aggiungere i poveri relativi, che sono leggermen-
te diminuiti, passando da , a milioni nel corso
dello stesso periodo.
Nel complesso le famiglie italiane “sicuramente
non povere” rappresentano l’,%, mentre il ,%
rientra a vario titolo nel perimetro della povertà,
quota che sale al ,% nel Mezzogiorno, che co-
munque registra segnali di miglioramento, contra-
riamente a quanto evidenziato in aree ben più ric-
che come il Nord Est, dove la situazione tende inve-
ce a peggiorare. La povertà riguarda anche Milano,
che pur veleggiando rapida quanto solitaria tra i
flutti della modernizzazione, ne presenta quote
significative. Così come la ricca Brianza e l’asse del
Sempione in metamorfosi.
Ne è testimonianza puntuale il rapporto della
Caritas Ambrosiana, dove sono
attivi centri di ascolto e ser-
vizi diocesani dai quali sono
passate nel oltre mila
persone. Negli anni la quota di
coloro che continuano a ritorna-
re ai centri di ascolto, i poveri “cronici”, aumenta,
soprattutto tra gli italiani, mentre gli stranieri, che
pure sono la maggioranza, tendono con maggiore
frequenza a rientrare in standard di vita tali da evi-
tare loro di tornare a chiedere il “pacco viveri”.
A maggior ragione se la persona di origine stra-
niera è donna. Le donne hanno meno vergogna degli
uomini nel chiedere aiuto, sono più disponibili a
intraprendere percorsi di inserimento nel mondo
del lavoro, hanno maggiore fiducia nelle reti di sup-
porto informali e formali.
È un problema di fiducia che sta alla base della
correlazione tra impoverimento e fragilità rela-
zionale. Gli impoveriti sono tali non solo perché
sono senza più o meno temporaneamente senza
una fonte di reddito, ma anche perché sono poveri
di relazioni significative, poveri di capitale socia-
le, soli, e perciò cronicamente attaccati a luoghi
come i centri di ascolto.
Come dice Luciano Gualzetti della Caritas Am-
brosiana, le persone che si avvicinano ai centri di
ascolto «hanno bisogno di credere, o di tornare a
credere, in sé e negli altri». Perciò il pacco alimen-
tare è certo un aiuto concreto, ma ciò che conta è
il gesto di un dono che non umilia, ma è capace di
generare fiducia. Dono, fiducia, empatia, sono
pratiche che rimandano ai microcosmi comunita-
ri, segno che è nella dimensione di prossimità che
si può provare a ripartire con qualche probabilità
di successo in più.
Ce lo ricordano anche i tre recenti Nobel per
l’Economia Esther Duflo, Abhijit Banerjee e Michael
Kremer premiati per i loro studi sui beni relazionali,
per l’avere dimostrato sul campo che l’esclusione si
combatte con le pratiche concrete fatte di piccoli
passi, che la povertà non è tanto questione di redditi
quanto di capitali in capo alle persone (educazione,
formazione, relazioni) e alle comunità locali. Par-
rebbe conseguenza logica di buonsenso, che le poli-
tiche pubbliche finalizzate ad agire sulle povertà
contribuissero a stimolare l’attivazione di circuiti
generativi di matrice comunitaria, quella che io
chiamo comunità di cura che si fa operosa.
Forse più che di navigator ci sarebbe bisogno di
operatori di comunità, tenendo inoltre presente che
non è solo una questione di economia sommersa,
ma di società dove tanti sono i sommersi e pochi i
salvati. La comunità di cura, che comprende i centri
di ascolto Caritas così come le fondazioni comunita-
rie passando per la scuola e il sociosanitario pubbli-
co, rappresentano un asset fondamentale da con-
nettere con la comunità operosa dell’impresa e del
lavoro, incluse le relative rappresentanze. Interes-
sante in questo senso il dibattito intorno alla figura
del sindacalista di strada e di comunità per dare
voce agli invisibili.
La fiducia non si impone dall’alto, ma si costrui-
sce partendo dalle pietre di scarto per ricostruire
capitale sociale e fiducia, che più circolano, più cre-
scono in modo esponenziale, il che rende più ricchi
tutti: persone, comunità, imprese, territori.
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di Aldo Bonomi
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RISULTATI MIGLIORI CON LEADERSHIP CONDIVISA
I
l mondo in cui i leader devono navi-
gare oggi è caratterizzato da cam-
biamenti e complessità senza pre-
cedenti. I capi azienda devono fare
i conti con il progresso tecnologico,
la globalizzazione, i cambiamenti
demografici, l’evoluzione dei modelli
di business, le differenti aspettative dei
clienti e l’aumento della concorrenza.
Questa è la nuova normalità. Il mu-
tevole contesto in cui operano le orga-
nizzazioni sta ridefinendo fondamen-
talmente il ruolo della leadership e il
modo in cui le imprese saranno gestite
in futuro. Sono necessari nuovi modelli
o approcci alla leadership.
La nostra esperienza di collabora-
zione con leader che operano in vari
settori, evidenzia che alcune delle leve
organizzative meno dirette e più infor-
mali hanno un impatto fuori misura su
prestazioni e cambiamenti.
Riconoscendo i limiti delle strutture
e degli stili di gestione tradizionali per
rispondere a queste sfide, alcuni ceo
stanno adottando modelli di leadership
che distribuiscono le responsabilità
aziendali a un gruppo sempre più am-
pio di dirigenti. Ciò che abbiamo visto
emergere è un movimento verso mo-
delli di gestione della “leadership condi-
visa”, dove le rappresentazioni di rete
sostituiranno gli organigrammi a pira-
mide. Si tratta di modelli organizzativi
in cui il ceo è posto al centro di un cer-
chio anziché in cima a una piramide. La
leadership è uno sport di squadra. Ge-
rarchie rigorose e comunicazioni top-
down hanno lasciato il posto a organiz-
zazioni più flessibili.
I cambiamenti nella disponibilità
e nel flusso di informazioni fanno sì
che i capi azienda non abbiano più il
controllo completo del know-how
dell’azienda, eliminando parte del-
l’armatura e dell’invincibilità che li
circondava in passato.
Vediamo la leadership condivisa
meno come una struttura organizzati-
va e più come una mentalità e un ap-
proccio alla gestione; molti leader d’in-
dustria stanno evolvendo i loro stili per
abbattere i muri che tradizionalmente
li separavano dagli altri dipendenti del-
l’azienda. Questi nuovi ceo non temo-
no di non conoscere tutte le risposte, di
porre domande e di ottenere input dalla
squadra per ottenere una risposta an-
cora migliore. Per queste ragioni molti
amministratori delegati stanno adot-
tando uno stile di lavoro più collabora-
tivo e di condivisione. Un approccio di
leadership che conferisce al team di ge-
stione un’ampia responsabilità per la
direzione dell’azienda attrae talenti e
fidelizza le risorse. Le aziende che adot-
tano modelli di leadership condivisa
dovranno assicurarsi di disporre di di-
rigenti con le competenze adeguate, il
che richiede un’attenta riflessione sui
profili della squadra dirigenziale e sui
modi in cui l’azienda recluta e sviluppa
di Guido Bressani e Corrado Passera
TUTELARE LE GENERAZIONI FUTURE
SENZA INTACCARE IL DIRITTO DI VOTO
B
eppe Grillo ci ha abituati
a provocazioni assai for-
ti, a cavallo tra il suo me-
stiere originario di comi-
co e la sua veste attuale di
ispiratore e fondatore
della forza politica che è parte nume-
ricamente dominante delle maggio-
ranze di governo, sin dall’inizio di
questa legislatura. La provocazione di
venerdì scorso – che riprende esplici-
tamente l’ipotesi, prospettata nel
nel dibattito scientifico da uno degli
ideatori del reddito universale, il filo-
sofo Philippe van Parijs, di negare ai
più anziani il diritto di voto – rientra
appieno tra queste.
È evidente che l’introduzione di una
previsione siffatta contrasterebbe con
la Costituzione, configurando un clas-
sico caso di discriminazione sulla base
dell’età, e, ancor prima, con i più ele-
mentari princìpi democratici (articoli
, e Cost.). Tant’è che, diversamen-
te da quel che accade per il reddito di
cittadinanza, in cui com’è noto era
l’Italia a fare eccezione, non vi è nessu-
no Stato al mondo che adotta una mi-
sura siffatta.
Tuttavia, il timing e la direzione di
fondo della provocazione meritano di
essere attentamente considerati.
Il momento in cui il post grillino è
stato pubblicato è tutt’altro che casuale.
Siamo all’indomani dell’approvazione
del Documento programmatico di bi-
lancio (Dpb) da parte del governo, cui
per la prima volta si è accompagnata
l’approvazione, “salvo intese”, del dise-
gno di legge di bilancio e del decreto-
legge fiscale. E perciò all’inizio di una
sessione parlamentare di bilancio che
si presenta con parecchie incognite po-
litiche e procedurali, anche a causa di
una maggioranza composta da quattro
forze politiche, anziché da due, nella
quale si compiono, come al solito, scel-
te che hanno importanti riflessi anche
in termini di equità intergenerazionale.
E, soprattutto, mercoledì ottobre
prenderà avvio, presso la commissio-
ne Affari costituzionali del Senato,
quella che si profila come la lettura-
chiave del progetto di legge costituzio-
nale, già approvato dalla Camera, volto
a modificare l’art. , primo comma,
Cost., al fine di abbassare dai ai
anni la soglia d’età per votare al Senato.
Si tratta di un emendamento costi-
tuzionale che porrebbe finalmente ri-
medio a una differenziazione negli
elettorati dei due rami del Parlamento
che era pari a anni quando la Costitu-
zione entrò in vigore e che si è quasi
raddoppiata a seguito dell’abbassa-
mento a anni della maggiore età, che
ha avuto luogo, con legge ordinaria,
nel . Una differenza nel diritto di
voto di questa entità non esiste in nes-
suna democrazia al mondo.
L’emendamento costituzionale, già
necessario da tempo, è divenuto indif-
feribile dopo la conferma del bicame-
ralismo paritario che ha fatto seguito al
fallimento della riforma Renzi-Boschi:
al momento attuale, i cittadini tra i e
i anni pesano, quanto al loro diritto
di voto, la metà degli altri. Anche qui,
dunque, una deroga al principio di
eguaglianza del voto, nella forma di
“una testa, un voto”: prevista da una
norma costituzionale, e quindi non in
sé illegittima, ma non per questo meno
insopportabile, in nome dei princìpi
democratici, di quanto non sarebbe,
per riprendere lo spunto offerto da
Grillo, non far votare per la Camera,
che so, gli ultra-settantacinquenni o gli
ultra-ottantenni.
A maggior ragione, visto che questo
“mezzo voto” è oggi attribuito proprio
a quei cittadini che sono titolari di inte-
ressi meno contingenti.
Come spesso accade in Italia, pro-
prio nel momento in cui questo
emendamento costituzionale sta per
essere approvato, le spinte massima-
liste ritrovano vigore: con l’effetto di
frapporre ulteriori ostacoli all’emen-
damento in itinere.
In questa chiave, ad esempio, si è
riacceso il dibattito sul voto ai sedicen-
ni (nell’ambito dell’Unione europea, al
momento previsto, a livello nazionale,
solo in Austria e a Malta). E si ipotizza
di caricare su quel progetto di legge
costituzionale, a oggi composto di un
solo articolo, ulteriori interventi di re-
visione costituzionale. Non solo, come
è più che comprensibile, un abbassa-
mento a anni, al pari della Camera,
dell’elettorato passivo (un’opzione
che la Camera ha espressamente deci-
so di lasciare al Senato, un po’ per cor-
tesia istituzionale, un po’ perché le po-
sizioni apparivano tutt’altro che uni-
voche), ma anche altri contenuti, più
controversi: tra cui quelli indicati nel-
l’accordo di maggioranza, come la
cancellazione del riferimento dell’ele-
zione “a base regionale” del Senato e la
riduzione da a dei delegati di cia-
scuna Regione chiamati, assieme a de-
putati e senatori, a eleggere il Presi-
dente della Repubblica.
Una misura, quest’ultima, appa-
di Nicola Lupo
le persone per ruoli decisivi.
Anche quando il processo decisio-
nale e la responsabilità sono distribuiti,
il ceo mantiene un ruolo unico nell’or-
ganizzazione e responsabilità che non
possono essere delegate. Gli ammini-
stratori delegati devono avere una vi-
sione e un business acumen eccezionali
per aiutare i loro team a inquadrare i
problemi in modo accurato, vederli
dalla giusta prospettiva e alla fine deci-
dere una linea di azione.
In un ambiente aziendale in costan-
te evoluzione, i leader dovranno abi-
tuarsi a un modo più agile di gestire le
proprie aziende, basandosi su ciò che
loro e il loro team sono in grado di ap-
prendere da un giorno all’altro. Do-
vranno rafforzare l’imperativo dell’ap-
prendimento e fornire riconoscimento
a coloro che si adattano a uno stile di
lavoro più collaborativo e orientato al-
l’apprendimento.
Ci vuole coraggio e visione per gui-
dare la transizione da una cultura ge-
rarchica costruita su autorità, ordine e
sicurezza a una che privilegia l’ap-
prendimento e la condivisione. Que-
sto cambiamento fa parte della ten-
denza globale di allontanarsi da strut-
ture formalizzate per spostarsi verso
reti più informali, in cui i team sono in-
coraggiati a elaborare idee e soluzioni
e condividere ciò che apprendono nel-
l’intera organizzazione. Queste sono
organizzazioni dove il feedback è uno
strumento di continuo miglioramen-
to, fornito a gradi dai colleghi con
cui si collabora piuttosto che dal solo
responsabile diretto.
Il risultato di questo nuovo modello di
leadership è un’organizzazione dinamica
che motiva il team a raggiungere obietti-
vi chiari e condivisi e premia i top perfor-
mer per l’eredità che lasciano agli altri e
rende allo stesso tempo l’organizzazione
attraente per i talenti più ricercati.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
rentemente coerente con la riduzione
(del %) di deputati e senatori, ma che
invero discutibile: sia perché il peso
delle Regioni in Parlamento andrebbe
accresciuto, e non ridotto; sia perché
con due delegati per regione divente-
rebbe impossibile assicurare, al con-
tempo, la presenza dell’opposizione e
il diritto della maggioranza di ciascun
Consiglio regionale a esprimere più di
un delegato. E non va dimenticato che
si tratterebbe comunque di una misura
operante solo dalla prossima legislatu-
ra (in ipotesi, perciò, dall’elezione pre-
sidenziale “in calendario” nel ).
Anche la direzione di fondo del post
grillino merita qualche riflessione. Da
un lato, è innegabile che, a causa del-
l’invecchiamento della popolazione,
l’età dell’elettore mediano risulta esse-
re in costante crescita. Dall’altro, è noto
che uno dei problemi, forse il principa-
le, della politica contemporanea, e an-
che di quella italiana, consiste appunto
nel sistematico prevalere di una logica
tutta contingente e di breve periodo.
Da ciò l’esigenza di immaginare
una serie di meccanismi, anche proce-
durali, che incentivino comportamenti
più lungimiranti del legislatore. Nel
Parlamento finlandese, per esempio,
opera dal una “Commissione per
il futuro”, che qualche frutto sembra
aver prodotto.
Anche in Italia qualcosa del genere
si può sicuramente immaginare, a sal-
vaguardia, in concreto, del valore co-
stituzionale della sostenibilità: un va-
lore che dal espressamente pre-
sente, seppure con esclusivo riferi-
mento al debito pubblico, nella carta
fondamentale (artt. e ). E che la
Corte costituzionale ha giustamente
iniziato a proteggere, evitando ad
esempio la diluizione in anni dei
debiti assunti dagli enti locali (senten-
za n. del ). Con l’obiettivo di
considerare sistematicamente i pro-
blemi di equità intergenerazionale,
senza bisogno di intaccare i diritti di
voto di tutti i cittadini.
Direttore del Centro di studi sul Parlamento
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il convegno.
Oggi alle ore 11 al
Principe di Savoia
di Milano si terrà
l’HR Forum
organizzato da
Spencer Stuart.
«Dialoghi di
leadership» è il
titolo dell’evento
durante il quale
Marco Alverà e
Corrado Passera
dialogheranno sui
temi affrontati
nell’articolo qui a
fianco.
Gli autori sono
Guido Bressani e
Corrado Passera,
consulenti
Spencer Stuart
e membri della
Practice
Industrial
A fuoco la Cavallerizza
TORINO
All’alba di lunedì, nel centro di Torino, è andato a fuoco il tetto della
Cavallerizza e parte dello storico complesso, patrimonio riconosciuto
dall’Unesco. Una volta spento il rogo verso le 9,30, il prefetto ha
posto sotto sequestro l’area. Il complesso ottocentesco appartiene
per metà alla Cdp e per l’altra metà (fra cui la parte bruciata), dal 2010,
a un fondo della città di Torino.
ANSA