18 Martedì 22 Ottobre 2019 Il Sole 24 Ore
Finanza & Mercati
Scandalo oppioidi, prima intesa
per quattro case farmaceutiche Usa
Marco Valsania
NEW YORK
Quattro grandi società del settore
farmaceutico, le tre principali case
americane di distribuzione e un lea-
der globale nella produzione di me-
dicinali, hanno raggiunto un accordo
extragiudiziale da milioni di dol-
lari per evitare di finire alla sbarra
nello scandalo scatenato dalla letale
diffusione di oppioidi negli Stati Uni-
ti. Le aziende - il produttore israelia-
no Teva accanto alle catene Ameri-
sourceBergen, Cardinal Health e Mc-
Kesson, che assieme controllano il
% del mercato Usa - hanno archi-
viato in extremis la denuncia portata
da due contee dell'Ohio, che altri-
menti da ieri mattina a Cleveland
avrebbe dato vita al primo processo
sull’«epidemia» dei farmaci.
Teva ha annunciato che pagherà
milioni di dollari in contanti e
contribuirà con altri milioni sotto
forma di un trattamento per la di-
pendenza da oppioidi, il Suboxone.
I restanti milioni saranno a carico
dei tre colossali gruppi di distribu-
zione, tutti tra i primi marchi della
classifica Fortune .
Le ramificazioni dello scandalo,
però, sono soltanto agli inizi. I ricorsi
legali si sono moltiplicati, forse or-
mai superando i . da una costa
all'altra del Paese, in risposta a una
crisi nazionale di abusi e overdosi dei
farmaci oppioidi. In vent'anni la
marcia incontrastata di questi medi-
cinali avrebbe mietuto, stando ai dati
governativi, almeno . vitti-
me, anzitutto nel cuore più disagiato
del Paese, mettendo sotto enorme
pressione anche i servizi di assisten-
za sanitaria e sociale locali.
Nel segno delle crescenti offensi-
ve nei confronti dei protagonisti del
comparto farmaceutico, anche una
società più piccola, la catena Henry
Schein, ha separatamente accettato
un patteggiamento da , milioni di
dollari. Mentre un accordo extragiu-
diziale da , milioni era già stato di
recente firmato dalle medesime due
contee dell'Ohio, Cuyahoga e Sum-
mit, con altre quattro aziende nel mi-
rino, Johnson & Johnson, Allergan,
Mallinckrodt e Endo International.
Altri appuntamenti con la crisi de-
gli oppioidi sono imminenti. Almeno
un influente “imputato” nella vicenda,
la catena di farmacie Walgreens Boots
Alliance guidata dal chief executive e
miliardario di origine italiana Stefano
Pessina, è per il momento rimasto
fuori dall’intesa appena siglata e il giu-
dice incaricato del caso, il magistrato
Dan Polster, ha indicato che stabilirà
una nuova data per il processo.
I compromessi ad oggi raggiunti
rappresentano inoltre un mini-ac-
cordo, relativo soltanto alle due con-
tee dell'Ohio in questione e comple-
tati in corsa dopo che più ampie trat-
tative su un “settlement” nazionale
da ben miliardi, con i medesimi
accusati, erano fallite. Quei negozia-
ti, se riprenderanno, riguardano po-
tenzialmente tutte le migliaia di de-
nunce fatte scattare da contee, muni-
cipalità e stati afflitti dagli abusi negli
oppioidi. L'accusa, respinta dalle
aziende, è che per anni la salute pub-
blica sia stata sacrificata alla caccia al
profitto, che i produttori abbiano vo-
lutamente esagerato i benefici e mi-
nimizzato i rischi posti dai farmaci,
mentre i distributori avrebbero
ignorato ogni allarme su ordini ec-
cessivi e sospetti dei prodotti.
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Bank of Montréal investe
sulle vie top tra Milano e Roma
IMMOBILIARE
Il team tratta per asset in via
Condotti, corso Buenos
Aires e Vittorio Emanuele
In fase di avvio un fondo
concentrato sulla logistica,
con focus sull’ultimo miglio
Paola Dezza
MILANO
Via Monte Napoleone e via Condotti,
corso Vittorio Emanuele e come new
entry corso Buenos Aires. Pochi indiriz-
zi, centrali e di appeal, tra Milano e Ro-
ma nelle vie del lusso. Sono i focus in
Italia di BMO Real Estate Partners, spe-
cialista paneuropeo di investimenti im-
mobiliari con miliardi di euro di
masse gestite che fa parte del gruppo
Bank of Montréal.
Nel nostro Paese la società ha già in-
vestito milioni di euro in sette asset,
tra cui il Coin Excelsior di via Cola di
Rienzo a Roma e l’Excelsior di Verona,
il negozio di Loro Piana in via Condotti
nella capitale, a Milano le vetrine di
Brioni. Due i fondi immobiliari nel cui
patrimonio sono confluiti e confluiran-
no gli asset High street. Il primo, Best
Value Europe (BVE), è un fondo paneu-
ropeo non autorizzato per il mercato
italiano che ha immobili di pregio in
molte grandi città del vecchio continen-
te. Qualche esempio? Rue de la Paix e
Faubourg Saint-Honoré a Parigi, Calle
Serrano a Madrid e Paseo de Gracia a
Barcellona, oltre a vetrine a Praga, Am-
sterdam e Brussels.
La società investe anche per un fon-
do paneuropeo del gruppo, concen-
trandosi sempre sul commerciale.
Recente è, invece, la sottoscrizione di
milioni di euro per Best Value Euro-
pe II. Il fondo aperto, che ha come obiet-
tivo una raccolta pari a milioni di
euro e un valore lordo degli asset (GAV)
di un miliardo di euro, ha effettuato a
oggi in totale otto investimenti immo-
biliari. Il fondo si concentra su immobili
commerciali di alta qualità, in vie di pre-
gio di capitali e città europee di primo
piano e ha già avviato la distribuzione di
un rendimento del % all’anno.
II team di gestione sta portando
avanti diverse trattative in Italia, tutte
rigorosamente off market. Tre sono in
particolare gli investimenti che Ian Kel-
ley, fund director Europe di BMO Real
Estate partners, conta di finalizzare a
breve termine, uno a Roma, ancora una
volta in via Condotti, che riguarda uno
spazio a uso misto mentre a Milano
l’obiettivo è acquistare due edifici , il pri-
mo in corso Vittorio Emanuele e il se-
condo in zona corso Buenos Aires, que-
sti ultimi per un valore complessivo di
milioni di euro. «Iniziamo a spaziare
anche in zone emergenti di Milano, an-
che se il nostro focus resta via Monte
Napoleone» spiega Kelley. Nella via
dello shopping di lusso per antonoma-
sia ci sono alcune opportunità che ri-
chiedono però trattative lunghe.
«Milano è una città che in questo
momento ha molto appeal per gli inve-
stimenti immobiliari – dice ancora Kel-
ley -. Crescono flusso turistico e busi-
ness, i fondamentali economici sono
decisamente buoni». Ormai il capoluo-
go lombardo si avvicina ad altre grandi
città europee, con yield in compressio-
ne scesi al ,% nel Cbd (central busi-
ness district, il quartiere degli affari).
Ci sono altre città italiane, invece, co-
me Firenze che presentano un quadro
più complesso, sono troppo care a livel-
lo immobiliare e oggi hanno rendimen-
ti nelle vie dello shopping del ,%, trop-
po poco per Kelley. Anche Venezia è un
mercato difficile, che il team di BMO sta
comunque valutando.
Gli investimenti più recenti del fon-
do BVE II sono stati firmati a Parigi, per
un totale di milioni di euro, al civico
Rue des Francs-Bourgeois, affittato
a Calvin Klein, e al civico Rue de la Mi-
chodiere, un ristorante acquisito dal-
l’attore francese Gérard Depardieu,
per il quale è stata concordata una
nuova locazione decennale con il pre-
stigioso Moma Group, che lancerà un
nuovo modello di ristorazione di lusso
in questi spazi.
Ci sono altri settori del real estate da
cavalcare e proprio per questo Kelley in-
tende «puntare sulla logistica, solo per
operazioni finalizzate al last mile, l’ulti-
mo miglio per le consegne dei prodotti
che vengono acquistati online - spiega
-. Il nuovo fondo sulla logistica è in fase
di lancio per milioni di euro di rac-
colta iniziale. L’asset allocation partirà
dalla Francia e sarà estesa ad altri Paesi
nei prossimi mesi». Obiettivo è l’acqui-
sizione di superfici di piccole e medie
dimensioni, fino a mila metri quadri,
vicino alla città o in pieno centro.
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Shale oil. Rallenta l’attività del settore
AP
Wall Street volta le spalle
alle società dello shale oil
PETROLIO
Il mercato dei capitali si è
chiuso e la carestia di fondi
rallenta l’attività del settore
Sissi Bellomo
—Continua da pagina
Non dobbiamo aspettarci che dallo
shale oil scaturisca una crisi come
quella provocata dai mutui subprime.
Ma il ricorso a espedienti finanziari co-
me la cartolarizzazione della produ-
zione (rischiosissimi per gli investitori,
visto che prevedere come si comporte-
rà ciascun pozzo è compito quasi da
negromanti) è un altro campanello di
allarme delle difficoltò del settore, spe-
cie se la pratica si diffonderà. Un primo
esperimento, con un bond che pro-
mette di rendere il %, l’ha fatto Raisa
Energy in collaborazione con EnCap
Investments ma secondo il Wall Street
Journal molte altre società stanno scal-
dando i motori per seguirne l’esempio.
I segnali di fatica della comunità fi-
nanziaria nei confronti dello shale oil
del resto sono evidenti e giorno dopo
giorno si stanno moltiplicando. Persi-
no i fondi di private equity – che hanno
finanziato a lungo il settore, finendo
con l’assumere il controllo di molte so-
cietà fallite – si stanno tirando indie-
tro: già da qualche tempo hanno spo-
stato l’attenzione dall’upstream verso
il più redditizio midstream (oleodotti
e altre infrastrutture) e ora anche que-
sto segmento registra una defezione
eccellente. Carlyle ha appena abban-
donato, senza fornire giustificazioni,
un progetto da un miliardo di dollari
per costruire un nuovo terminal per le
petroliere a Corpus Christi in Texas.
Berry Group, rimasta unica azionista
della Lone Star Ports, si è rivolta al tri-
bunale in cerca di un indennizzo e po-
trebbe rinunciare all’opera.
Anche le banche nel frattempo
stanno diventando più caute con lo
shale. Per la prima volta da tre anni le
società del settore si vedranno restrin-
gere le linee di credito, secondo il son-
daggio periodico dello studio legale
Haynes & Boone: oltre la metà dei
operatori intervistati prevede un taglio
dei fondi del -% alla prossima re-
visione autunnale.
Ma il problema più serio riguarda il
mercato dei capitali. L’emissione di
azioni e obbligazioni – da cui i frackers
nello scorso decennio avevano ricava-
to miliardi di dollari, con una punta
di ben miliardi nel (dati Dealo-
gic) – oggi è diventata una fonte di fi-
nanziamento «minuscola» osserva
Haynes & Boone. I partecipanti al son-
daggio prevedono di procurarsi in
questo modo solo il % dei fondi neces-
sari, contro il % che stimavano un
anno fa. È scesa (dal % all’%) anche
la quota di denaro attesa dai fondi di
private equity.
La carestia di fondi è cominciata
nell’autunno , quando il petrolio
ha preso a scendere a rotta di collo do-
po aver superato dollari al barile.
L’anno si è chiuso con un bilancio dav-
vero magro per le società americane
dell’Oil &Gas, che sono riuscite a collo-
care azioni e obbligazioni per appena
, miliardi di dollari, il % rispetto
all’anno prima e il risultato più scarso
dal . Un disastro. Ma quest’anno
va addirittura peggio: le emissioni nel
primo semestre ammontano ad appe-
na mila dollari nel caso delle azioni
e , miliardi nel caso delle obbliga-
zioni calcola Enverus. In tutto fanno
circa , miliardi, una cifra irrisoria ri-
spetto al passato.
Nel peggior periodo di crisi dell’in-
dustria petrolifera – tra il e il ,
mentre il prezzo del barile crollava da
oltre dollari a meno di –le emis-
sioni avevano superato miliardi di
dollari, con una leggera prevalenza per
i bond ( miliardi). I rating, spesso vi-
cini al livello spazzatura, garantiscono
rendimenti allettanti. Ma anche se tut-
tora viviamo in un mondo di tassi sot-
tozero questo non basta più ad attirare
gli investitori, che sembrano aver per-
so ogni interesse per l’Oil & Gas.
Basta guardare la borsa. Il settore è
il fanalino di coda quest’anno, con per-
formance deludenti persino per i co-
lossi. I veri paria del mercato sono però
le società indipendenti dello shale: l’in-
dice S&P Oil & Gas Exploration & Pro-
duction ha dimezzato il suo valore ne-
gli ultimi mesi , con ribassi a doppia
cifra percentuale anche per molti nomi
noti, compresa Eog Resources, so-
prannominata la «Apple del petrolio»
e spesso additata come raro esempio di
virtù sia tecnologiche che finanziarie.
Oggi per molti frackers l’unica possi-
bilità è provare a reggersi sulle proprie
gambe: nel sondaggio Haynes & Boone
il cash flow operativo è identificato come
la prima potenziale fonte di finanzia-
mento (%). Ma questo impone un dra-
stico taglio dei costi n un settore che negli
ultimi cinque anni ha bruciato oltre
miliardi di dollari di cassa: bisogna
fermare trivelle, licenziare personale,
cedere asset. E dunque estrarre di meno.
È proprio quanto sta accadendo e la
produzione Usa ha già rallentato il pas-
so. Nei primi sette mesi di quest’anno
è cresciuta di appena mila barili al
giorno secondo l’Aie, a fronte di un in-
cremento di mila bg nello stesso
periodo del . Da maggio l’output
ha addirittura iniziato a diminuire,
portandosi sotto la soglia psicologica
dei milioni di barili al giorno a luglio
(anche a causa dell’uragano Berry).
Difficile intravvedere un’inversione di
rotta. A meno che il prezzo del petrolio,
ora inchiodato sotto dollari al barile,
non riprenda a correre.
á@SissiBellomo
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PHARMA
Accordo da milioni :
archiviata la denuncia
di due contee dell'Ohio