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GIOVANNI VERONESI
REGISTA, CAPOGRUPPO
DI “MALEDETTI AMICI MIEI”
Circondata da cinque dei suoi figli (mancava solo il primogeni-
to Maddox) da sinistra Pax Thien (15 anni), Shiloh Nouvel (13),
Vivienne Marcheline (11), Zahara Marly (14) e Knox Leon, (11)
Angelina Jolie sfila alla première losangelina di Maleficent: Mi-
stress of Evil, secondo capitolo della saga fantastica.
Quella Malefica di mamma
MICHELA TAMBURRINO
L’
idea poggia su un
pilastro dell’ar-
cheologia comi-
ca; quattro amici
veri si ritrovano a
cena insieme. Pa-
rola d’ordine cazzeggio spinto.
Nulla viene taciuto, ci si insul-
ta, ci si prende in giro e si pren-
de in giro pesantemente. Un
classico della vacanza persino
pecoreccia, del cinema persino
d’autore, della tv sperimentale
di Arbore. Così Giovanni Vero-
nesi, forte della profonda amici-
zia che lo lega a Rocco Papaleo,
Sergio Rubini, Alessandro Ha-
ber ha pensato di mettere su
uno spettacolo teatrale. Carlo
Freccero lo ha intercettato ed
eccoli in tv. I quattro hanno fat-
to salire a bordo l’unica donna
del gruppo, Margherita Buy e
poi Max Tortora.
Nasce così Maledetti amici
miei, da domani sera su Rai 2 e,
di e con Alessandro Haber, Roc-
co Papaleo, Sergio Rubini e Gio-
vanni Veronesi, prodotto per
Rai 2 da Ballandi, direzione mu-
sicale di Rocco Papaleo che con-
duce anche una resident band e
ogni sera in apertura Paolo Con-
te reinterpreta i propri successi.
Veronesi, come è nata l’avven-
tura?
«Da un’amicizia trentennale.
Un giorno casualmente ci sia-
mo trovati a sostituire France-
sco De Gregori sul palco. Il pub-
blico si aspettavaRimmele si è
visto Papaleo».
Uno choc terribile.
«Pensavo pure io. Invece i tea-
tri si riempivano e noi a ruota li-
bera a raccontare. Abbiamo fat-
to Capodanni, Pasque. Frecce-
ro ci ha visti e ci ha proposto di
portare quell’atmosfera in tv».
Tutto improvvisato o c’è un
canovaccio?
«Sarei bugiardo se dicessi che
si rispetta una scaletta. Io sto at-
tento per gli stacchi del regista,
poi tutto a braccio. Non sono
un attore, non recito e non man-
do a memoria. Loro sì ma si di-
vertono a buttarsi nel vuoto».
Lei aveva annunciato che
avreste fatto nomi e cognomi
soprattutto quando parlate
male di qualcuno.
«E io li faccio i nomi e i cogno-
mi, pure se mi rovino».
Esempi?
«David Bowie, l’uomo più odio-
so che mi sia capitato di incon-
trare e di Robert De Niro».
Odioso pure lui?
«No.Però un vecchino con le ma-
ni dietro la schiena, ingobbito».
Un poveraccio?
«Uno qualsiasi. Poi arrivava
sul set e si trasformava in De Ni-
ro: dritto, altero, bellissimo.
Una capacità clamorosa di tra-
sformazione che non ha Ha-
ber, sempre lì con la gobbina.
La gente vede il bello del no-
stro mondo, noi vediamo an-
che il brutto ed è tanto».
E secondo le migliori tradizio-
ni vige la regola del calcetto,
tutti maschi.
«Infatti Margherita l’abbiamo
trascinata a forza. Anche lei una
maledetta amica ed è l’unica che
ci tiene testa. Tante donne tra gli
ospiti e sono risultate le migliori
perché è i maschi sono più attrici
delle femmine. Perciò mi accusa-
no di maschilismo».
Siamo buoni, l’attrice più sim-
patica?
«Penelope Cruz. Ci ho lavora-
to che era semi sconosciuta e
ora da star resta la stessa. Gira-
vamo il mio filmPer amore, so-
lo per amoree lei era Maria di
Nazareth. La vedevo in sogge-
zione mentre le spiegavo della
Madonna e di quello che avreb-
be dovuto interpretare. Dava
l’idea di essere cristiana. All’ul-
tima scena mi disse “Guarda
che io sono buddista, non te
l’ho detto prima per non rovi-
narti il rodaggio”. Brava e para-
cula, farà strada pensai».
Ma questo show potrebbe es-
sere l’eredità della comme-
dia all’italiana traslata in tv?
«Monicelli l’avrebbe fatto così,
con i trailer del funerale di Ha-
ber. L’importante è non equi-
vocare confondendo la com-
media all’italiana e il film comi-
co. Nel primo ci mettoLa gran-
de guerra, che dalla risata pre-
cipitava nel tragico e ritorno, il
secondo ha bisogno di un comi-
co che guida. Io come estrazio-
ne mi sento più vicino alla com-
media. Qui sono un traghetta-
tore di sincerità. Tante risate
ma in modo serio».
Molti ospiti...
«Iniziamo con Carlo Verdone e
Giuliano Sangiorgi. Tutti ven-
gono per la formula del pro-
gramma e per amicizia. Nessu-
no arriva in promozione».—
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A
veva, fra le molte
doti, quella dell’im-
mediata riconosci-
bilità. Bastavano
due note. Quel tim-
bro carnoso e scu-
ro, di seta e di velluto, quella
voce straripante di armonici
potevano appartenere solo a
Jessye Norman.
Uno dei più grandi soprani
del Novecento è morto lunedì
in un ospedale di New York,
dopo anni di sofferenze per
una lesione al midollo spina-
le. Era nata nel 1945, in Geor-
gia, nel Sud ancora segrega-
zionista. Famiglia borghese:
papà assicuratore, mamma
pianista dilettante. La voca-
zione, raccontò nell’autobio-
grafia Stand up straight and
sing!, le venne suonando
l’harmonium nella casa dei
nonni; il primo repertorio fu-
rono gli spiritual della sua
gente, che poi continuò a
cantare per tutta la vita. Nel
’69 debuttò a Berlino, Elisa-
betta in Tannhäuser, quan-
do un nero in Wagner non
era ancora abituale.
E fu subito carriera ai mas-
simi livelli, anche in Italia:
nel ’71 Selika nell’Africaine
con Muti al Maggio, nel ’72
l’unica opera alla Scala, Ai-
da, con Abbado. A Milano
tornò in concerto: l’ultimo
finì con un’ora di applausi e
cinque bis. Intanto era di-
ventata una regina del Met,
un’ottantina di recite inizia-
te nel 1983 con una gloriosa
Cassandre dei Troyens. Nel
suo repertorio, Giocasta
dell’Oedipus Rex, Ariadne,
la Donna in Erwartung, Sie-
glinde, Kundry, Judit nel Ca-
stello di Barbablù. Ma il suo
Mozart era affascinante, i
suoi Verdi (pochi) idem, la
Didone di Purcell immensa.
In realtà era più una cantan-
te da concerto che d’opera.
Con la sua voce da mezzoso-
prano acuto (un Falcon, si sa-
rebbe detto nell’800), la sua
tecnica perfetta, la sua musica-
lità impeccabile serviva
Strauss e Mahler, Schubert e
Berg, Berlioz e Satie. Aveva ca-
risma: una di quelle artiste
che salgono in palcoscenico,
anche solo in abito da sera, e
magnetizzano sguardi ed
emozioni. Maestosa, nel can-
to e nella presenza, trasforma-
va ogni brano in qualcosa di
epico e mitico. «Mon coeur
s’ouvre à ta voix», il Liebestod,
i Vier letze Lieder: qui la sua vo-
ce ti avvolgeva come liquido
amniotico, ti faceva sprofon-
dare in un’estasi primigenia,
ipnotica, sconvolgente.
Le diedero cinque Gram-
my, la National Medal of Arts,
la Legion d’onore: il 14 luglio
1989, bicentenario della Rivo-
luzione, cantò la Marsigliese
in place de la Concorde, avvol-
ta in un enorme Tricolore. Ria-
scoltate il lamento di Didone,
quei «Remember me» dove la
felicità perduta, la nostalgia,
il dolore, la vita e la morte di
lei e di noi tutti sono trasfigu-
rati nella bellezza. «Remem-
ber me»: sì, signora, ci può
scommettere. ALB. MAT. —
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David Bowie, l’uomo
più odioso che abbia
mai incontrato
Robert De Niro, un
vecchino ingobbito
Il Globe Theatre di Vil-
la Borghese è riuscito
con anni di costanza
prima a darsi una sua fisiono-
mia, poi a non tradirla. Inizial-
mente il luogo incuriosì specie i
giovani, che adorano distender-
si sulle pietre con cuscini di for-
tuna, sotto il cielo delle notti
d’agosto. Ma poi le proposte
piacquero, e ora la gente ci tor-
na volentieri, fino a ottobre. E’
Shakespeare in chiave di dina-
mismo, con compagnie nume-
rose e letture mai banali, ma al-
lo stesso tempo mai sperimen-
tali nel peggior senso del termi-
ne: intraprendenti, ma non
stravaganti. Il testo non viene
perso di vista. Così si è formato
un repertorio e gli allestimenti
validi ritornano, magari ag-
giornati. Si è appena riascolta-
to, per esempio, uno dei mi-
gliori dei tempi recenti, il Ric-
cardo III diretto, tradotto e
asciugato (non troppo) da
Marco Carniti. Il quale ha dato
una forte unità visiva alla tra-
gedia, frazionata in molti epi-
sodi coinvolgenti parecchi per-
sonaggi, facendo attraversare
il palco da una stretta pedana
scarlatta, quasi un red carpet
(scena di Fabiana Di Marco)
spesso occupato da una vitti-
ma o un cadavere che poi
scompare nel fondo. Qui il cini-
co manipolatore pronuncia i
suoi monologhi ovvero subi-
sce le sonore rampogne di un
coro di donne cui ha ucciso pa-
dri, mariti, figli. Questo Riccar-
do dalla barba bianca (Mauri-
zio Donadoni) è un omone cor-
pulento, fisicamente possente
malgrado le imbracature metal-
liche sulla spalla e su una gam-
ba: non il subdolo, velenoso
sciancato di altre versioni, ma
una monumentale incarnazio-
ne del Male. Il che naturalmen-
te era nelle intenzioni dell’auto-
re, il nonno della cui sovrana,
quel Richmond che alla fine ab-
batte il tiranno e si fa incorona-
re Enrico VII, non aveva troppi
titoli dinastici per succedere al
trono, e quindi spiegava ai sud-
diti di aver dovuto eliminare un
demonio. Il Bardo lo dota di un
fascino perverso e irresistibile,
di cui il sinistro umorismo è so-
lo un aspetto. Nel ben coordina-
to spettacolo il Riccardo extra-
large non è attorniato da fantoc-
ci rassegnati ma da individui di
cui gli attori valorizzano la per-
sonalità; e spiccano le donne,
tra cui l’energica regina Elisa-
betta di Antonella Civale. —
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Vittorio Grigolo, 42 anni, alla Scala nei panni di
Nemorino durante «L’Elisir d’amore»; regia di
Grischa Asagaroff, direttore d’orchestra il gio-
vane milanese Michele Gamba
GIOVANNI VERONESI da domani su Rai 2 a ruota libera con Papaleo, Rubini, Haber, Buy e Paolo Conte
“Siamo una banda di vecchi amici
con un’unica regola: prenderci in giro”
ALBERTO MATTIOLI
MILANO
«F
elice?
No, feli-
cissimo.
Sono a
casa. Il
pubbli-
co mi ha abbracciato con calore.
E questo abbraccio cancella mol-
te polemiche e molte cattive-
rie». Sul palcoscenico, a recita
appena terminata, ancora cari-
co di adrenalina e di sudore, Vit-
torio Grigolo tira un sospirone
di sollievo. È finito in gloria, il ri-
torno del figlio prodigo alla Sca-
la. Altro che vitello grasso: se
non champagne, per lui è stato
stappato un «Elisir d'amore»
trionfale, con molti applausi e il
bis della «Furtiva lagrima». Do-
po l'ennesimo scandalo targato
#metoo, le accuse di aver pal-
peggiato una corista del Covent
Garden durante un tournée in
Giappone, e la conseguente
messa al bando dal teatro londi-
nese e per soprammercato an-
che dal Met di New York, il teno-
re è tornato in scena ieri a Mila-
no. La Scala infatti aveva ribadi-
to la sua linea di presunzione
d'innocenza confermandogli le
quattro recite dell'«Elisir» di Do-
nizetti, come del resto il gala di
dicembre per l'altro indiziato
speciale di molestie sessuali del
mondo dell'opera, il vecchio e
glorioso Plácido Domingo.
La serata non si presentava fa-
cile. Proprio ieri i sindacati del-
la Scala erano usciti dal letargo
dell'evo Pereira, proclamando
scioperi a ripetizione a partire
dal 18 ottobre, giorno della pri-
ma di un atteso «Giulio Cesare»
di Händel. In compenso, a fare
il tifo per il Grigoletto sono arri-
vati Mara Venier e Tony Renis,
in sala forse non tanto per Doni-
zetti quanto per il giudice di
«Amici», attività accessoria che
al Vittorio ha dato una grande
popolarità televisiva che molti
puri e duri dell'opera, per inci-
so, non hanno affatto gradito.
E certo, ieri sera ogni battuta
del meraviglioso libretto di Ro-
mani finiva per assumere doppi
sensi malandrini. Nemorino en-
tra subito dopo il primo coretto
di villici, già evocatore: «Ma d’a-
mor la vampa ardente / Ombra
o rio non può temprar», che sem-
bra fatto apposta per uno che
nelle interviste racconta senza
tanti tabù i dettagli della sua vi-
ta sessuale, pare intensissima.
All'inizio, in ogni caso, Grigolo
un po' teso obiettivamente lo
era, come ha dimostrato una ca-
vatina in cui sembrava facesse
fatica a buttar fuori la voce. Poi
si è ripreso, ha fatto un bel duet-
to con Dulcamara e si è preso il
primo applauso. E qui l'incon-
fondibile voce di uno dei loggio-
nisti di più lungo corso si è fatta
sentire da un palchetto: «Che
scemi, i londinesi». Lui ha subito
iniziato a grigoleggiare sempre
di più. Si tratta del suo tipico mo-
do di recitare sopra le righe, tut-
ta una sottolineatura e una lezio-
saggine, una smorfia e un sospi-
ro: il genere di overacting che,
ironia della sorte, piace tanto al
Met per lui sì bello e perduto. Pe-
rò «Adina, credimi» era molto
bello e nel secondo atto la ro-
manza delle romanze, insom-
ma la «furtiva lagrima», è stata
applaudita e bissata, nonostan-
te i buuu! di prammatica alcuni
guastatori. Nulla di relativo alle
accuse, però. Si è subito ricono-
sciuto il tipico muggito di un al-
tro dei soliti noti del loggione.
Poi, finita la recita a tarallucci
ed elisir, dopo aver gridato dalla
ribalta «Vi amo!» al pubblico, Gri-
golo si è tolto qualche macigno
dagli scarpini, parlando per la pri-
ma volta dopo l'affaire. Ribadi-
sce che si è trattato di un equivo-
co, che lui alla corista non ha toc-
cato parti sensibili ma solo il pan-
cione di gomma previsto dai co-
stumi del «Faust», «e se questo in
Inghilterra è considerata una mo-
lestia sessuale, beh, dovrebbero
stabilirlo prima. In Italia in ogni
caso non lo è. Contro di me non ci
sono prove e nemmeno un'in-
chiesta. Questa serata cancella
tutto. Grazie a tutti, al pubblico,
alla Scala, a coro e orchestra. Tor-
no a testa alta, libero». —
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BRESCIA & AMISANO
Shakespeare
fa politica
con quel diavolo
di Riccardo III
MASOLINO D’AMICO
TEATRO & TEATRO
Era da quattro anni che i Modà di Kek-
ko Silvestre non si facevano notare
sulle pagine delle cronache musicali
e finalmente, questo venerdì, esce Testa o cro-
ce, il nuovo atteso album del gruppo anticipa-
to dal singolo Quelli come me e da Guarda le
luci di questa città, un inno a Milano. «È il no-
stro “terzo tempo” - dicono - dopo gli esordi,
difficilissimi e il successo dei primi Anni 10,
siamo pronti per una ripartenza». «Sono sta-
to in pigiama a casa, uscendo poco - dice Kek-
ko - portando mia figlia GioGiò a scuola e an-
dando a letto presto la sera. A un certo punto
mi sono detto che era ora di uscire per cerca-
re storie in mezzo alla gente. Ho frequentato
bar, osterie e ascoltato. Mi sono creato un ba-
gaglio di informazioni diventate canzoni».
Kekko è molto amico di Checco Zalone e ad-
dirittura sembrava dovesse interpretare una
parte in Tolo Tolo che uscirà il giorno di Nata-
le. «Siamo arrivati a tanto così; Checco vole-
va che facessi la parte di un porno attore e lo
avrei fatto ma poi gli impegni si son accaval-
lati; è un grande amico e il film sarà una bom-
ba». Tra le prime date e le ultime del tour c’è
di mezzo il Festival di Sanremo «Che non fa-
rò - dice subito - ho già dato e poi è un tritacar-
ne di cui facciamo a meno». Ultimo pensiero
all’amica Emma Marrone per cui scrisse e
cantò in duetto Arriverà: «L’ho sentita ieri e
ha detto che sta bene. Tutti noi facciamo il ti-
TM fo per la guerriera perché questo è».
TEMPI
MODERNI
CULTURA, SOCIETÀ
E SPETTACOLI
RED CARPET PER ANGELINA & FIGLI
SUL PALCO NELL’ELISIR D’AMORE, BIS DELLA “FURTIVA LAGRIMA”
Scala pro Grigolo
Il Teatro assolve
il tenore star
accusato di molestie
Da sinistra, i “Maledetti amici miei”: Sandro Veronesi, Rocco Papaleo, Paolo Conte, Alessandro Haber e Sergio Rubini
“Quest’abbraccio
cancella le cattiverie
Sono tornato
a testa alta”
INTERVISTA
Modà: ecco “Testa o croce”
l’album della ripartenza
LUCA DONDONI
SCOMPARE A 74 ANNI UNO DEI PIÙ GRANDI SOPRANI DEL NOVECENTO
Jessye Norman, magnetica regina della voce
MERCOLEDÌ 2 OTTOBRE 2019 LASTAMPA 25
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