La Stampa - 08.09.2019

(lily) #1

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LUCA FERRUA

P

iero Gastaldo, 65 an-
ni, Classico all’Alfieri,
laurea in Giurispru-
denza, sedici anni al-
la Fondazione Agnelli, due
da assessore e altri venti in
Compagnia di San Paolo di
cui 17 come Segretario gene-
rale.
Un cursus honorum che gli
regala una conoscenza della
città e dei suoi percorsi proba-
bilmente unica. Ora, da un an-
no, guida un’eccellenza la
«Fondazione 1563» emana-
zione della Compagnia di
San Paolo che ha il compito –
si legge nel suo Statuto – «di
promuovere la salvaguardia,
l’arricchimento e la valorizza-
zione del patrimonio artisti-
co, culturale, archivistico e bi-
bliotecario e la realizzazione
di attività di ricerca e di alta
formazione nel campo delle
discipline umanistiche». Un
messaggio chiaro per una
Fondazione che custodisce in
piazza Bernini la storia della

Compagnia e opere d’arte di
grande valore.
Buongiorno presidente Ga-
staldo, cosa fa la Fondazio-
ne 1563?
«Produciamo informazione
di qualità da mettere a dispo-
sizione della collettività, ab-
biamo molti punti di forza,
molte eccellenze anche tra
chi lavora per noi. Tra i nostri
obiettivi c’è anche la salva-
guardia dell’educazione alla
complessità della vita e della
storia, viviamo nell’epoca del-
la tendenza alla semplifica-
zione ma tuteliamo la com-
plessità. Tra i nostri obiettivi
c’è diffondere la conoscenza
del patrimonio culturale e del-
le ricerche nelle humanities.
Con le mostre, le borse di stu-
dio e i progetti rendiamo il pa-
trimonio archivistico e artisti-
co capace di parlare, di dialo-
gare».
Chi sono i potenziali ascolta-
tori del patrimonio che par-
la?
«Parliamoa chi fa parte di
una certa sfera intellettuale
ma lavoriamo a mezzi capaci
di raggiungere un pubblico
più vasto, magari in sinergia
con la Fondazione per la
scuola».
Tra i vostro obiettivi c’è an-
che la valorizzazione del ter-
ritorio, ci racconta quanto
state facendo con il baroc-
co?
«Se c’è un epoca in cui il Pie-
monte è stato visibilmente
centrale è il Barocco. Ci inte-
ressa anche cogliere quando
la cultura barocca sfuma ver-

so la ricerca del classicismo.
Un momento straordinario
non solo per Torino ma per
tutta la regione. Un’epoca se-
gnata dall’equidistanza fisica
tra Roma e Parigi che ha por-
tato a una grande apertura
per Torino e il Regno di Sarde-
gna su entrambe le direttrici.
Sarà una mostra che non na-
sce dall’importazione di even-
ti come accade per le tante ras-
segne legate agli impressioni-
sti ma da un lavoro scientifico
che incrocia il territorio. Una
mostra prodotta e non impor-
tata. Che è poi l’unica strada
per fare cultura sul territorio.
Viviamo in un’epoca in cui gli
uomini cercano esperienze e
noi vogliamo costruire espe-
rienze basate su quello che ab-
biamo. Sulla realtà di un terri-
torio».
Parlando di territorio, tori-
nese non sente l’esigenza di
preservare il grande patri-
monio della Torino manifat-
turiera?
«La missione storica della
Fondazione è il lavoro sull’ar-
chivio in tutte le sue dimensio-
ni, ma ci sono due nuove aree
che ci sono state affidate e la
prima è quella delle digital hu-
manities. Pensate a uomini
come Franco Venturi, Norber-
to Bobbio e poi Lionello Ven-
turi grazie a loro si sono vissu-
ti qui momenti molto alti, ma
per infinite ragioni questi filo-
ni rischiano la crisi di sene-
scenza perché troppo spesso
non sono più una priorità. Te-
nere Torino sulla mappa
dell’Europa vuole anche dire

aprire queste sfere di ricerca a
una capacità di dialogo con
gli strumenti più avanzate. E
facendo ricerca nelle digital
humanities è anche tenere in
vita una tradizione culturale.
Il ‘900 poi ha associato le vi-
cende della città con la mani-
fattura e avviato un momen-
to ancora in corso. Se analiz-
ziamo la storia ci accorgiamo
che le due cose che hanno
messo Torino sulla mappa eu-
ropea sono state prima il ba-
rocco poi la sua produzione
industriale e quindi valoriz-
zarle è tra le nostre priorità».
Come si può fare?
«Siamo pieni di musei del
900 e dell’industria del 900
che magari non si presentano
con questa etichetta ma pos-
sono essere collegati e resi leg-
gibili in questa chiave dall’Au-
to al Cinema, a quello della La-
vazza a Museo Martini. L’o-
biettivo però è non affrontare
tutto in modo antiquario per-
ché si parla di un modo in cui
è nato un dna ancora ben pre-
sente che ora si tratta di rein-
terpretare».
Quindi non servono solo mu-
sei a se stanti ma un hub di
conoscenza che produca
contenuti?
«E il nostro percorso, l’idea di
ancorare a qualche capacità
di interpretazione diffusa fet-
te di esperienza che non si rie-
scono a collocare all’interno
di un quadro più ampio è un
passo, ma è anche fondamen-
tale creare le professionalità
e le conoscenze. In questa
Fondazione ci sono professio-

nalità alte dal punto di vista
artistico e archivistico, ele-
menti chiave per far parlare il
patrimonio».
In futuro cosa può aiutare
Torino a restare sulla mappa
europea?
«Il problema esiste per tutte
le città medie, quelle che non
hanno problemi ad attraver-
sare nuovi territori temporali
sono le metropoli, le città glo-
bali. Per le medie credo che le
logiche non possano che esse-
re logiche di specializzazio-
ne. Serve fare due o tre cose
molto bene per restare den-
tro alle reti. L’aerospazio fa
stare Torino in rete con Tolo-
sa e Houston. Lo stesso vale
per l’automotive. Ma credo ci
sia spazio per costruire qual-
cosa del genere anche in am-
bito intellettuale. E a questo
lavoriamo noi, è a questo che
lavora la Compagnia».
Considerare Torino una cit-
tà media è una presa di co-
scienza importante che for-
se la città non ha ancora me-
tabolizzato e quando lo farà
dovrà fare scelte anche in
ambito culturale. Ma non sa-
rà facile. Cosa ne pensa?
«Capisco che ci siano tradizio-
ni molto importanti e che ci
sia l’idea che il pubblico meri-
ti eccellenze in ogni settore è
sempre forte, ma essere eccel-
lenti e sostenibili è molto diffi-
cile. E la sostenibilità spesso
si riverbera sulla possibilità di
raggiungere l’eccellenza. Sa-
rebbe importante fare delle
scelte. Continuo ad esempio
a pensare che sia stato un buo-

na idea investire su sistema
museale e sulle regge. Perché
ci ha portato vantaggi sul fron-
te del turismo creando una fi-
liera di grande valore anche
se intorno a questo non si è
riusciti a creare abbastanza in-
dustria. Mi riferisco alla capa-
cità di realizzare contenuti co-
me i cataloghi o i servizi mu-
seali o ancora tecnologie co-
me la realtà aumentata. Se-
guendo queste e altre strade
potrebbe esserci l’occasione
di costruire un indotto».
Cosa vuole dire specializza-
zione per Torino?
«Non se riusciremo a mantene-
re ad altissimo livello un tea-
tro lirico, un’orchestra sinfoni-
ca o un teatro di prosa. Ricor-
do una conversazione con l’av-
vocato Agnelli a proposito di
Lione e lui diceva in fondo è un
posto dove ci si va per due mo-
tivi una cucina straordinaria e
uno dei migliori ospedali del
mondo se vuoi curarti il can-
cro, non fanno tante cose ma
quelle le fanno benissimo. Ec-
co noi dobbiamo fare benissi-
mo alcune (poche) cose. E’ dif-
ficile spiegare e far capire la ne-
cessità di fare delle scelte. Le
città che si impongono cultu-
ralmente in Europa spesso lo
fanno per un evento straordi-
nario come Bayreuth, Arles,
Avignone. Poi ci sono Londra
o Parigi che possono essere ec-
cellenti sotto molti punti di vi-
sta, ma come detto prima quel-
le sono le città globali. L’impor-
tanza di scegliere è fondamen-
tale non si può tenere tutto in
piedi».

Oltre all’Egizio che ha un va-
lore internazionale molto
forte c’è qualche evento tori-
nese che spiega il concetto
di “mantenere la città sulla
mappa europea”?
«Faccioun esempio che non
fa parte del mio target. Mi ri-
ferisco al Kappa Future Festi-
val o anche a Club to Club.
Portano una grande quantità
di persone da fuori Italia, si
tratta di eventi entrati un
una rete globale dove sono
percepiti come eccezionali e
questo fa sì che tu prenda un
volo da Londra per venire a
Torino. Poi il Kappa si svolge
in una struttura di architettu-
ra industriale e rappresenta
anche un esempio di come si
può utilizzare il patrimonio.
Scegliere è fondamentale
ma la scelta non sempre rie-
sce. A MiTo ad esempio la
scelta non è riuscita. Settem-
bre musica rispondeva a un’e-
sigenza di pubblico locale
con la nuova versione è ridot-
ta anche la mobilità sull’asse
Torino-Milano, quindi la cre-
scita non c’è stata». —
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

Piero Gastaldo, 65 anni

PIERO GASTALDO
PRESIDENTE
FONDAZIONE 1563

PIERO GASTALDO
PRESIDENTE
FONDAZIONE 1536

PIERO GASTALDO Dopo 20 anni da segretario generale della Compagnia di San Paolo ora presiede la Fondazione 1563


“Non so se una città media riuscirà a mantenere ad altissimo livello un teatro lirico, uno di prosa e un’orchestra sinfonica”


“Per Torino è il momento delle scelte


Anche la cultura deve adeguarsi”


La «Fondazione 1563» ha il compito di promuovere la salvaguardia, l’arricchimento e la valorizzazione del patrimonio artistico, culturale, archivistico e bibliotecario

INTERVISTA

Le mostre prodotte
e non importate sono
l’unica strada
per fare cultura
sul territorio

Ci sono tradizioni
molto importanti ma
la sostenibilità
spesso si riverbera
sull’eccellenza

DOMENICA 8 SETTEMBRE 2019LASTAMPA 43
CRONACA DI TORINO

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