La Stampa - 09.09.2019

(avery) #1

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GIULIA ZONCA


U

na frustata al tempo
durata quasi 17 an-
ni, un cronometro
che ancora oggi vale
il record europeo, una cifra che
resta sinonimo di Pietro Men-
nea. 19”72: dentro il record
del mondo sui 200 metri corso
il 12 settembre 1979 c’è il desi-
derio, il sacrificio, la storia di
un uomo tanto determinato da
catturare pure i suoi avversari.
Valery Borzov, «l’ucraino con
gli occhi di ghiaccio» si è sciolto
per l’amico-rivale che gli ha tol-
to il primato e 40 anni dopo
quella corsa indelebile rinnova
il legame.
Quando e dove ha visto Men-
nea per la prima volta?
«È passato tanto tempo, non
ricordo esattamente dove ci
siamo incontrati. A un Euro-
peo, abbiamo parlato duran-
te il riscaldamento, ci siamo
intesi anche con due lingue di-
verse».
Lei era il più veloce, l’uomo
da battere e la faccia dell’U-
nione Sovietica. Mennea vo-
leva superarla e ammirava
gli americani come Tommie
Smith. Come siete diventati
amici?
«Non ho mai considerato gli
sprinter europei come rivali
pericolosi. Il mio obiettivo era
sconfiggere gli afroamericani,
rompere la loro tradizione
consolidata e vincente, l'ho
raggiunto. Ero in pace».
Descriva la vostra rivalità.
«Uno scambio di battute, si è
evoluta col tempo. All'inizio
non l'ho notato, poi ho inizia-
to a prestargli attenzione, era
forte. A fine carriera, nelle
competizioni a cui ho parteci-
pato dopo l'infortunio, Pietro
mi ha battuto qualche volta.
Non ho rimpianti».
Di cosa parlavate?
«Dei tempi, degli allenamenti,
di atletica pura, la qualità del
tartan per esempio, tanto di ri-
vali e della nostra salute. Non
discutevamo mai di politica».
Quale immagine di lei e Men-
nea le è rimasta in mente?

«I vincitori delle medaglie nei
200 metri ai Giochi di Mona-
co, sul prato: Borzov, Black,
Mennea. Che trio».
Ha pensato che quel ragazzo
italiano avrebbe preso il suo
posto prima o poi?
«Alle Olimpiadi di Mosca, ho
fatto visita a Pietro nel Villag-
gio olimpico e gli ho augurato

di vincere i 200 metri. Era il
passaggio del testimone al
mio amico-avversario».
Cosa gli direbbe oggi?
«Gli direi: “Tu e io abbiamo supe-
rato la distanza, ma non siamo
riusciti a battere il tempo”».
C’erano molte differenze tra
voi, quali somiglianze?
«Io e Pietro siamo simili, sia-

mo europei campioni, euro-
pei che hanno vinto nello
sprint».
Lei era un atleta di Stato, sen-
za quella struttura e quella
pressione sarebbe stato mi-
gliore o peggiore?
«Lo Stato non mi ha mai fatto
pressioni. A spese e grazie allo
Stato, sono diventato un cam-

pione, un ministro, un deputa-
to dell'Ucraina e un membro
del Cio, ho creato una fami-
glia e visto il mondo. Non cre-
do ci sia un meglio».
Prima dei 100 metri di Mon-
treal 1976 ha ricevuto minac-
ce e ha corso lo stesso. Nono-
stante il ricordo del massa-
cro di Monaco 1972 fosse re-
cente. La Russia l’ha spinta a
gareggiare?
«Quelle provocazioni non po-
tevano fermarmi e non hanno
influito sul risultato. La deci-
sione di partecipare alla finale
è stata solo mia. Ero nervoso,
ma ho chiuso terzo».
In Canada ha conosciuto la
sua futura moglie, Ljudmila
Turiščeva, ginnasta da 9 podi
olimpici.
«Con Ljudmila non contiamo
le medaglie, ma raccontiamo
dei nostri successi ai nipoti.
Ne abbiamo tre, figli della no-
stra Tatyana».
Cinque medaglie olimpiche e
tre titoli europei consecutivi
nei 100 metri, dove tiene le
medaglie?
«Le abbiamo incorniciate, an-
che quelle di mia moglie, pre-
sto potrebbero essere esposte
al Museo olimpico».
Nel 1977 la Nasa ha lanciato
nello spazio una navicella con
le memorie del nostro pianeta.
C’era anche la sua foto.
«Quando la tua immagine vo-
la nello spazio, significa che
hai lasciato un segno evidente
sulla Terra». —
(Ha collaborato Ekaterina Dolfin)
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VALERY BORZOV. A 40 anni dal record di Mennea sui 200 metri, il rivale di sempre rinnova il legame che li ha uniti

“Caro Pietro, tu e io abbiamo superato


la distanza ma il tempo ci ha battuti”


VALERY BORZOV
5 MEDAGLE OLIMPICHE
IN 100-200 METRI E 4X100

GIANNI ROMEO


Q

uel mercoledì, è il 12
settembre, la sveglia
suona presto nella
mia camera del Cami-
no Real. Siamo a Mexico City,
c’è l’Universiade, sul mezzo-
giorno Mennea correrà la fina-
le dei 200. La città piena di fasci-
no che nel 1968, Olimpiadi, mi

aveva fatto innamorare, non
esiste più. È una fotocopia in ne-
gativo, il traffico la strangola, i
gas di scarico stagnanti ai 2248
metri dell’altipiano prendono
alla gola.
Lo stadio Olimpico Universi-
tario è un deserto. Qualche cen-
tinaio di curiosi nell’ultimo gior-
no utile per vincere la sfida che
Mennea ha ingaggiato con il fan-
tasma di Tommy Smith. «The
jet», quello del pugno nero

guantato, aveva vinto i Giochi
in 19’’83, primo uomo al mon-
do a rompere il muro dei 20’’ sul
mezzo giro di pista. Si era con-
cesso di tagliare il traguardo co-
me un ciclista, a braccia alzate.
Pietro Mennea è sulla stessa pi-
sta, per andare oltre. Le batterie
in 19’’96, la semifinale in 20’’04.
Ora o mai più. Lo sparo, la corsa
rabbiosa, lui ingobbito e rumi-
nante, la mascella che si allunga
e si allunga, una giraffa è Men-

nea, Nebiolo in tribuna con i pu-
gni al cielo, Vittori a bordo cam-
po che urla, paonazzo. E sorride
il cronometro: 19’’72. Sorride il
cielo, ripulito da un venticello
propiziatorio che offre una ma-
no, +1,8. L’amico ideale, a
quell’altitudine.
Il sottoscritto non è facile
all’entusiasmo, ancor oggi non
so cosa ho fatto, perché l’ho fat-
to. Scavalco le transenne, corro
in campo evitando un servizio
di sicurezza quasi inesistente e
sono da Pietro, riverso sul pra-
to. Raccolgo i suoi rantoli, an-
ch’io ho il fiato grosso, la prima
intervista non è fatta di parole,
solo bocche spalancate che cer-
cano ossigeno. Due mani si
stringono e un sussurro: «Ce
l’ho fatta, dovevo farcela». Poi
arrivano gli altri. Una festa fra
pochi intimi. Nebiolo il presi-
dentissimo non parla, il groppo
in gola lo paralizza.

Sarebbe uno sterile esercizio
calligrafico far paragoni fra le
due situazioni, i due quadri vi-
venti a 11 anni di distanza. The
jet 1968 aveva fatto il record vin-
cendo un’Olimpiade in mondo-
visione, avversari tosti, uno sta-
dio ribollente; Pietro 1979 ha la-
sciato a sei metri Donecki polac-

co, 20’’24, si è misurato con se
stesso, le sue ansie. Cosa signifi-
ca per Mennea questo record?
La definitiva consacrazione nel
mondo dello sprint, la prova
che anche un atleta normale, vo-
tandosi all’autoflagellazione e
al sacrificio, può andare oltre

un figlio del vento. Cosa signifi-
ca quel giorno memorabile? Per
l’atletica azzurra è un anello di
congiunzione fra le magiche se-
rate degli Europei di Praga
1978 (Simeoni, Mennea, Ortis)
e i Giochi di Mosca 1980 (Simeo-
ni, Mennea, Damilano). E uno
dei periodi più alti nella storia di
questo nobile sport. È un fulmi-
ne, quella notizia, che scuote
uno sport azzurro stagnante. I
duelli Saronni-Moser nel cicli-
smo e poco altro, in quel 1979.
E cosa significa per Nebiolo?
Un successo personale che non
tutti compresero. C’è la sua fir-
ma sul record. Ha patrocinato e
sostenuto l’Universiade messi-
cana a uso e consumo totale di
Mennea convincendo l’atleta a
trascurare tutto il resto. Da regi-
sta consumato ha ridato slan-
cio a un campione e all’atletica
azzurra. —
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Cosa resta: il racconto dell’inviato de “La Stampa” a Città del Messico

La costruzione di un successo che ha dato nobiltà alla nostra atletica

Stadio vuoto e la corsa da giraffa


contro il fantasma di “Jet” Smith


I 200 metri da record di Mennea alle Universiadi di Città del Messico nel 1979. Sopra il podio dei 200 metri alle Olimpiadi di Monaco 1972: Valery Borzov (Unione So-
vietica), Larry Black (Usa) e Pietro Mennea. Borzov vinse in 19”99. Il primo a conquistare l’oro nei 100 e 200 metri ai Giochi dal 1956 dell’americano Bobby Morrow

INTERVISTA

Non avevo mai
pensato agli europei
come rivali pericolosi
L’obiettivo era battere
gli afroamericani

Ai Giochi di Mosca
sono andato
a trovarlo al Villaggio
e gli ho passato
il testimone

La prima intervista
non è fatta di parole
ma di rantoli: «Ce l’ho
fatta. Dovevo farcela»

IL RICORDO

LUNEDÌ 9 SETTEMBRE 2019LASTAMPA 37
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