■Dopo il relax in campa-
gna con la famiglia, il pre-
mier dimissionario Giusep-
pe Conte da stasera sarà al
G7 di Biarritz. A 14 mesi dal
suo esordio sulla scena inter-
nazionale, allo scorso G7 in
Canada, il professore, redu-
ce dallo scontro con Matteo
Salvini, calca (forse) per l’ulti-
ma volta il palconscenico in-
ternazionale. Un summit
con i grandi del mondo dove
i problemi del governo italia-
no sembrano lontani. Ma si
tratta di un viaggio nel quale
difficilmente Conte potrà
prendere impegni, vista la
natura “dimissionaria” del
suo esecutivo.
Non è la prima volta per il
nostro Paese si fa rappresen-
tare da un capo del governo
dimissionario. Conte ha pre-
decessori illustri: quattro. La
prima volta, ad esempio, toc-
cò ad Aldo Moro con il suo
quinto governo, che si dimi-
se il 30 aprile 1976 e andò al
G7 del 27 e 28 giugno negli
Stati Uniti da Ford.
Al tavolo di Biarritz saran-
no presenti i leader di Gran
Bretagna, Germania, Italia,
Usa, Canada e Giappone, ol-
tre alla Francia padrona di
casa. Insieme a loro sono sta-
ti invitati rappresentanti di
Paesi africani (Egitto, Burki-
na Faso, Senegal, Rwanda,
con l’Unione africana), cui si
sommano i leader di Sudafri-
ca, Australia, Cile e India.
Lotta contro le disegua-
glianze, per la parità di gene-
re e la tutela dell’ambiente:
questi i temi centrali indicati
da Emmanuel Macron per la
presidenza francese del G7.
Ma se l’agenda ufficiale pun-
ta l’attenzione su Africa e di-
suguaglianze, sul tavolo ci sa-
ranno ben altri questioni:
dalla guerra dei dazi tra Usa
e Cina, con le conseguenti
tensioni con l’Europa, alla
Brexit imminente, fino alla
crisi nel Golfo Persico con
l’Iran; senza dimenticare la
recessione che sembra profi-
larsi all’orizzonte, la situazio-
ne esplosiva in Kashmir e la
protesta a Hong Kong. Ma
non mancheranno discussio-
ni sulla proposta di una web
tax per colpire i colossi digita-
li, così come il dibattito
sull’affidabilità delle cripto-
valute.
Gli occhi saranno tutti
puntati in primis sull’ultimo
arrivato, il nuovo premier bri-
tannico Boris Johnson, al
suo primo forum internazio-
nale dopo aver conquistato
la poltrona di Theresa May.
In Francia
Il premier al G
da dimissionario
a perder tempo
segue dalla prima
FAUSTO CARIOTI
(...) sempre dalla parte opposta di Ren-
zi. Spero che Di Maio ci pensi bene pri-
ma di cedere al Pd». Beppe Grillo rinca-
ra: Renzi? «Un finto rottamatore, un
guascone salito su a furor di Europee,
mancette e menzogne». Invece gli emis-
sari del M5S è proprio con il pasdaran
renziano Andrea Marcucci e i suoi com-
pagni di partito che trattano.
Per quanto grande sia il disgusto reci-
proco, la paura di vedere gli italiani en-
trare nelle cabine elettorali con la mati-
ta e la scheda in mano è molto più forte.
Pur di impedirlo, pentastellati e piddini
sono disposti a passare sopra tutto: gli
insulti che ancora si vomitano addosso,
il senso del pudore, il voltastomaco del-
la base e il loro personale. Non siamo
ancora al M5S «costola della sinistra»,
come disse Massimo D’Alema a propo-
sito della Lega, ma è lì che si andrà a
parare: cittadino Zingaretti, compagno
Di Maio (Fico no, compagno lo è già,
senza dubbio più di Renzi).
L’incontro degli ambasciatori per di-
scutere del programma ieri è andato be-
ne. «Cordiale e costruttivo. Non ci sono
ostacoli insormontabili», assicurano tut-
ti. A pare il rispetto di se stessi e delle
proprie idee, s’intende, ma quello se lo
erano già giocato prima di sedersi al ta-
volo. La ricetta è quella di sempre: resta-
re vaghi su ogni questione controversa,
tenendo lo sguardo fisso sull’unica co-
sa che conta, ovvero fregare Matteo Sal-
vini e la metà degli italiani che vuole
andare a votare.
TUTTO È NEGOZIABILISSIMO
Si è scoperto così, senza sorpresa,
che la condizione «non negoziabile» di
rinunciare al taglio dei parlamentari,
posta il giorno prima dal Pd, è in realtà
negoziabilissima. «Siamo disponibili a
votare la legge, ma riteniamo che vada
accompagnata da garanzie costituzio-
nali e da regole sul funzionamento par-
lamentare», hanno spiegato gli uomini
di Nicola Zingaretti. Si accontentano di
un pretesto per salvare la faccia e lo
avranno.
In cambio, tra i grillini c’è chi pare
disposto a mollare Giuseppe Conte.
«Se per noi il nome di Conte è irrinun-
ciabile? Il tema dei nomi non mi appas-
siona», risponde il capogruppo penta-
stellato Stefano Patuanelli. Magari, sa-
crificando il premier-eroe in nome del-
la «discontinuità» chiesta dal Pd, riusci-
ranno a salvare la pellaccia di Di Maio,
al quale Salvini, intanto, continua a pro-
spettare la poltrona di presidente del
consiglio.
Tutto fa credere che anche sugli altri
aspetti del programma raggiungeranno
un accordo, meglio se di basso profilo. I
decreti sull’immigrazione voluti dalla
Lega non c’è mica bisogno di cancellar-
li come diceva il Pd: basta che il prossi-
mo ministro dell’Interno (Marco Minni-
ti?) finga che non ci siano. Nemmeno
l’economia è un problema. Scriveran-
no nell’intesa che i soldi si troveranno
tagliando le agevolazioni fiscali, che val-
gono 75 miliardi di euro l’anno e dentro
alle quali c’è di tutto, da aiuti sacrosanti
ad autentiche marchette. Solo al mo-
mento di scrivere la manovra decide-
ranno quali agevolazioni togliere, cioè
a quali categorie alzare le tasse. Tanto,
siccome Pd e M5S non hanno i numeri
per governare, dovranno imbarcare pu-
re Leu, che è sinonimo di imposta patri-
moniale, dalla quale qualcosa in cassa
arriverà. Sui temi ambientali, la lingua
è la stessa.
LA PRATICA PIÙ COMPLICATA
E tutti insieme faranno una legge elet-
torale proporzionale, senza collegi uni-
nominali, in modo da ridurre la presen-
za della Lega e dei suoi alleati nel prossi-
mo parlamento: l’Italia sarà ancora me-
no governabile di oggi, ma siccome è
probabile che la governi Salvini, va be-
ne così.
Ciò che conta davvero sono le poltro-
ne. Se la trattativa naufragherà sarà su
di esse, non sui “principi” o sul pro-
gramma. Proprio perché è la pratica
più complicata devono occuparsene di
persona Di Maio e Zingaretti, che han-
no iniziato a discuterne ieri sera all’ora
di cena, nel loro primo faccia a faccia.
Sergio Mattarella chiede che mercoledì
si presentino da lui con tutti i compiti
fatti. Non si accontenterà di leggere un
programma-fuffa e di conoscere il peri-
metro dell’alleanza, ma vuole che gli
diano il nome del premier concordato.
Di Maio insiste per un Conte-bis e pre-
tende di restare ministro, almeno in
uno dei due dicasteri che ha oggi, Dario
Franceschini scalpita per un posto...
Per non scannarsi sulla casella più im-
portante è probabile che a palazzo Chi-
gi mettano un terzo, tipo Raffaele Can-
tone: un magistrato a capo dei politici,
metafora perfetta del governo che stan-
no per varare.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
IL BALLO DEI QUAQUARAQUÀ
Veti e accuse, ma nessuno vuol rompere
Grillo attacca Renzi. Il leader Pd non si fida. La battaglia è sulle poltrone, il resto (taglio dei parlamentari, tasse) non conta
Tabacci contro Della Vedova
A +Europa sono quattro gatti
ma riescono pure a dividersi
Luigi Di Maio, 33 anni, capo politico del M5S,
vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo
economico; Beppe Grillo, 71 anni, fondatore del
Movimento; Nicola Zingaretti, 53 anni, governatore
del Lazio dal 2013 e segretario del Pd(LaPresse)
■Forte, si fa per dire, di una pattuglia di tre deputati e un senatore, fuori
dall’Europarlamento, capace di raccogliere appena il 2,6% dei voti nelle
elezioni politiche del 2018 e il 3,1% alle Europee dello scorso maggio, +Euro-
pa riesce nell’impresa di dividersi sull’ipotesi di sostenere un governo gial-
lo-rosso. Per il segretario di +Europa, Benedetto Della Vedova, i dieci punti
elencati da Luigi Di Maio all’uscita dal suo colloquio con il presidente
Mattarella sono «irricevibili». «Di Maio non corregge alcun errore del gover-
no precedente e chiede di completare il programma Movimento 5 stelle-Le-
ga. Così non è una proposta ricevibile», ha detto l’ex sottosegretario agli
Esteri nei governi Renzi e Gentiloni.
Ma proprio mentre il segretario di +Europa chiudeva la porta, il presiden-
te di +Europa, Bruno Tabacci, la apriva. «La crisi è giunta al passaggio
chiave. Per evitare le elezioni, una forzatura voluta solo da Salvini che ha
provocato la crisi più paradossale della storia repubblicana, Pd e M5S devo-
no provare con serietà e con impegno a costruire un patto politico per il
governo del Paese», ha fatto sapere l’ex democristiano in una nota. «Va fatto
anche partendo dai dieci punti di Di Maio che ovviamente non possono
essere considerati come non negoziabili. C’è margine per trovare su ogni
punto una sintesi credibile per l’azione di governo. Non è il tempo della
rigidità né di abiure. Un suicidio, della politica a danno dell’Italia, sarebbe
dimostrare al Paese che resta in campo solo la pelosa stabilità della Lega».
Insomma, due posizioni inconciliabili. C’entrerà qualcosa il fatto che
Della Vedova, contrario all’intesa M5S-Pd che eviterebbe il voto anticipato,
non sia presente in Parlamento, mentre Tabacci, che considera le elezioni
«una forzatura voluta solo da Salvini», sia uno dei tre deputati che +Europa
è riuscita a far eleggere?
©RIPRODUZIONE RISERVATA
3
sabato
24 agosto
2019
PRIMO PIANO