Il Sole 24 Ore Mercoledì 21 Agosto 2019 21
Norme & Tributi
La singola azienda non può recedere
dal contratto prima della scadenza
CASSAZIONE
Chi esce da Confindustria
non può disdettare
i Ccnl sottoscritti
L’uscita anticipata
è ammessa solo se l’accordo
non ha un termine
Giampiero Falasca
Matteo Prioschi
Un’azienda non può disdire prima
della scadenza un contratto colletti-
vo di lavoro sottoscritto dall’asso-
ciazione datoriale a cui aderiva.
Nemmeno se tale contratto nel tem-
po diventa troppo oneroso. Con la
sentenza / la Cassazione
ha accolto il ricorso promosso dalla
Filctem-Cgil nei confronti di
un’azienda che, dopo essere uscita
dal sistema Confindustria, ha deciso
di non rispettare più il contratto col-
lettivo siglato da Federgomma.
In primo e secondo grado l’im-
presa ha visto prevalere le sue ra-
gioni. Secondo la Corte d’appello è
la stessa Cassazione ad aver affer-
mato la possibilità di sottoscrivere
un nuovo contratto collettivo con
sindacati diversi da quelli che han-
no siglato l’intesa precedente (nello
specifico è stata esclusa la Filctem-
Cgil, che ha fatto ricorso).
La Suprema corte, invece, ha cas-
sato la sentenza con rinvio. I giudici
precisano che la possibilità di rece-
dere da un contratto collettivo «po-
stcorporativo» (cioè di diritto co-
mune) è consentita se tale contratto
non ha scadenza. Ciò perché l’ac-
cordo non può vincolare le parti a
tempo indefinito, vanificando «la
causa e la funzione sociale della
contrattazione collettiva, la cui di-
sciplina...deve essere parametrata
su una realtà socio-economica in
continua evoluzione». Tuttavia il
recesso deve essere attuato rispet-
tando i criteri di buona fede e cor-
rettezza e senza danneggiare i dirit-
ti intangibili dei lavoratori. Non esi-
ste, invece, analoga facoltà di reces-
so anticipato per gli accordi
collettivi aventi durata predefinita.
In tale contesto, con la sentenza
/ come richiamato dal-
l’azienda, è stata affermata la possi-
bilità di sottoscrivere un accordo con
una parte dei sindacati, che possono
anche essere diversi da quelli che
hanno siglato il contratto precedente.
Tuttavia queste regole non si ap-
plicano al caso motivo del contende-
re, in quanto il contratto collettivo di
lavoro aveva una data di scadenza e
l’impresa ha deciso di recedervi pri-
ma di tale data. Si rientra quindi in
una situazione, affermano i giudici,
in cui c’è un orientamento consolida-
to, secondo cui «la possibilità di di-
sdetta spetta unicamente alle parti
stipulanti, ossia alle associazioni sin-
dacali e datoriali...al singolo datore di
lavoro, pertanto, non è consentito re-
cedere unilateralmente dal contratto
collettivo, neppure adducendo l’ec-
cessiva onerosità dello stesso». E
nemmeno con un periodo di preavvi-
so più o meno lungo ci si può svinco-
lare dall’applicazione dell’accordo.
I giudici hanno rigettato anche la
tesi che il contratto “di prossimità”
posso conferire al datore di lavoro
il potere di recedere anticipatamen-
te dall’accordo di livello superiore.
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Dubbi di effettività e parità sulle tutele crescenti
TRIBUNALE DI MILANO
La reintegra potrebbe
contrastare di più
i licenziamenti ingiustificati
Due sistemi sanzionatori differenti
sui licenziamenti collettivi (reinte-
gra, per gli assunti prima del marzo
, e indennizzo economico per gli
assunti da tale data) rispetto alla
stessa situazione (licenziamento il-
legittimo) sono compatibili con il di-
ritto comunitario? Questo il dubbio
sollevato dal tribunale di Milano con
l’ordinanza del agosto (in un
contenzioso in cui la Cgil ha affianca-
to un lavoratore - si veda il Sole
Ore di ieri), mediante la quale la Cor-
te di giustizia europea è stata investi-
ta del compito di valutare la compati-
bilità del sistema sanzionatorio delle
“tutele crescenti” (Dlgs /) con
il diritto comunitario.
I profili di contrasto individuati
dall’ordinanza sono essenzialmente
due: l’adeguatezza ed effettività della
tutela offerta dal Jobs act rispetto al
danno della perdita del lavoro e la ra-
gionevolezza della coesistenza di due
regimi sanzionatori differenti.
Dal punto di vista del primo tema
- effettività della tutela – viene solle-
vato il possibile contrasto con l’artico-
lo della Carta dei diritti fondamen-
tali dell’Unione europea. La norma
fissa un principio invalicabile: ogni
lavoratore ha diritto alla tutela contro
un licenziamento ingiustificato. Se-
condo il tribunale, questa norma tro-
va attuazione solo se viene introdotto
un regime sanzionatorio capace di as-
sicurare effettività, adeguatezza e
dissuasività. Obiettivi realizzabili con
maggiore efficacia da un sistema fon-
dato sulla reintegrazione sul posto di
lavoro, molto più incisivo nel dissua-
dere le aziende dall’adozione di licen-
ziamenti ingiustificati.
Per quanto riguarda il secondo
aspetto –parità di trattamento tra
vecchi e nuovi assunti – l’ordinanza
richiama l’articolo della Carta dei
diritti fondamentali dell’Ue, nella
parte in cui stabilisce che tutte le per-
sone sono uguali di fronte alla legge.
Questo principio si traduce, secondo
il tribunale, nella necessità di appli-
care la stessa disciplina a lavoratori
assunti con la stessa tipologia con-
trattuale; la diversa data di assunzio-
ne non potrebbe giustificare una tu-
tela differente, in quanto il licenzia-
mento avverrebbe comunque nello
stesso tempo per tutti, a meno che
tale differenza di regime non sia con-
siderata ragionevole.
La lesione del principio di parità di
trattamento viene rinvenuta anche ri-
spetto al diverso criterio di calcolo
dell’anzianità lavorativa che deriva
dall’applicazione delle tutele crescen-
ti. Secondo l’articolo della direttiva
/, l’anzianità dei lavoratori a
termine deve essere calcolata con gli
stessi criteri di quelli a tempo indeter-
minato. La regola del Jobs act, che as-
soggetta alle tutele crescenti i rapporti
a termine convertiti a tempo indeter-
minato dal marzo in poi, viole-
rebbe questo principio, nella parte in
cui l’anzianità di servizio dei lavora-
tori a termine non sarebbe considera-
ta utile a rientrare nel regime di tutela
teoricamente più favorevole (quello
applicabile ai “vecchi assunti”).
Non è facile prevedere quali sa-
ranno le risposte che darà la Corte di
giustizia: l’analisi dei precedenti la-
scerebbe pensare a una pronuncia di
compatibilità tra le norme interne e
il diritto comunitario. Tuttavia,
l’esperienza dimostra che la giuri-
sprudenza – tanto comunitaria
quanto costituzionale – su questi te-
mi è in continua evoluzione e, quindi,
nessun esito appare scontato.
Quale che sia la pronuncia della
Corte, la vicenda rimette al centro del
dibattito un problema che riguarda
tutti i licenziamenti: esistono troppi
regimi sanzionatori, troppo differen-
ziati tra loro, che non rispondono a un
preciso disegno di politica del lavoro,
dando poche certezze alle imprese e
tutele confuse ai lavoratori.
—G.Fal.
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La casa abusiva
deve sempre
essere demolita
PENALE
Soccombe il diritto
della persona anziana
a un’abitazione dignitosa
Giovanni Negri
L’abuso edilizio non è tollerato. E
l’immobile costruito deve essere
demolito. Anche quando rappre-
senta l’abitazione di un’anziana
novantenne. La Cassazione, Ter-
za sezione penale, sentenza n.
depositata ieri, sceglie la li-
nea dura, confermando l’ordi-
nanza del tribunale di Napoli con
la quale veniva negata la sospen-
sione della distruzione di una se-
rie di opere edilizie costruite in
violazione di legge.
La Corte ha così respinto la tesi
difensiva che contestava l’assenza
di una qualsiasi valutazione sulla
proporzionalità della sanzione ri-
spetto alla situazione abitativa
della donna. Per la difesa la co-
struzione oggetto dell’ordine di
demolizione produce in realtà
una lesione assolutamente mode-
sta; tanto più se bilanciata con il
bene giuridico costituzionalmen-
te tutelato del diritto all’abitazio-
ne. Si metteva in evidenza come
l’immobile rappresenta invece
l’unica soluzione a disposizione di
una persona anziana, quasi no-
vantenne e priva delle disponibili-
tà economiche necessarie a pro-
curarsi un’alternativa dignitosa.
Per la Cassazione, tuttavia, è
priva di fondamento giuridico la
prevalenza assoluta e aprioristica
del diritto costituzionale all’abita-
zione sull’interesse pubblico a ri-
stabilire l’ordine giuridico violato
attraverso l’esecuzione dell’ordi-
ne di demolizione. Va ricordato
invece, chiarisce la sentenza, che
l’ordine di demolizione non ha
una funzione punitiva, quanto
piuttosto l’obiettivo di ripristina-
re il bene tutelato: «il fondamento
della previsione non è quello di
sanzionare ulteriormente l’autore
dell’illecito, ma quella di elimina-
re le conseguenza dannose della
condotta medesima rimovendo la
lesione del territorio verificatasi».
Il diritto del cittadino a poter
disporre di una casa dignitosa
non può prevalere, osserva anco-
ra la Cassazione, sull’interesse
della collettività alla tutela del
paesaggio e dell’ambiente e al-
l’uso corretto del territorio. Si
tratta invece di una posizione
soggettiva individuale, destinata
a cedere rispetto all’interesse
pubblico alla demolizione del-
l’immobile abusivo.
Va poi ricordato come i giudici
di merito avevano già puntualiz-
zato che non può essere invocato
uno stato di necessità per le con-
dizioni di salute della donna e per
le sue precarie condizioni econo-
miche (tra l’altro non dimostrate,
avverte la Cassazione): all’attività
edilizia abusiva non può essere
applicata questa forma di esen-
zione da responsabilità. Comun-
que, aggiungeva il Tribunale, an-
che nell’impossibilità economica
di sostenere un canone di locazio-
ne perchè titolare di una pensione
di invalidità, la donna avrebbe po-
tuto rivolgersi ai servizi sociali.
Per la Cassazione, infine, non
esiste neppure un profilo di viola-
zione dell’articolo della Con-
venzione europea dei diritti del-
l’uomo, nella parte in cui discipli-
na il diritto al rispetto della vita
privata e familiare e del domicilio.
Anche in questo caso infatti, nella
lettura della Corte, non si può
trarre la conclusione di una legit-
timità a occupare un immobile
anche se abusivo, solo perché de-
stinato a casa familiare.
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QUOTIDIANO
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