Il Sole 24 Ore - 19.08.2019

(Jacob Rumans) #1

Il Sole 24 Ore Lunedì 19 Agosto 2019 17


Diritto dell’economia Norme & Tributi


Saldo da rivalutazione, il Fisco


spiazza chi ha coperto le perdite


FISCO E CONTABILITÀ


L’interpello  del 


mette a rischio quanti


hanno ripianato le passività


Dalla lettura delle norme


il prelievo dovrebbe scattare


solo in caso di distribuzione


A cura di
Stefano Chirichigno
Paolo Meneghetti


Quali sono le conseguenze fiscali
che derivano dai vari utilizzi del
saldo attivo da rivalutazione mo-
netaria? L’utilizzo della riserva ge-
nera tassazione solo se essa viene
distribuita ai soci o anche quando
viene utilizzata per copertura di
perdite di esercizio?
Queste domande sono diventate
di scottante attualità dopo la pub-
blicazione dell’interpello  del 
luglio  che ha avuto una note-
vole eco proprio perché con le cam-
pagne rivalutative degli ultimi an-
ni, a partire da quella più diffusa
del Dl /, sono stati rivalu-
tati molti immobili (oltre ad altri
beni d’impresa) con la genesi assai
frequente di saldi attivi, in sospen-
sione d’imposta o meno a seconda
delle scelte eseguite dall’impresa.


Le indicazioni delle Entrate
In questo interpello una società in-
corporante si trova ad iscrivere un
disavanzo da annullamento della
partecipazione che, come prevede
il documento Oic , deve essere
portato – ove possibile – a incre-
mento del valore dei beni ricevuti
con la fusione, ovvero iscritto co-
me avviamento, o infine, nel caso
in cui non vi siano plusvalori laten-
ti negli asset della incorporata,
trattato come perdita con conse-
guente riduzione del patrimonio
netto della incorporante.
È proprio tale ultima fattispecie
quella su cui l’interpellante chiede
il parere dell’Agenzia, con la parti-
colarità che la copertura della per-
dita imputata a patrimonio netto
avviene mediante l’utilizzo del
saldo attivo da rivalutazione (ri-
serva in sospensione d’imposta)
che viene ridotto tramite verbale
di assemblea straordinaria (ex ar-
ticolo , comma  della legge
/), senza che esso sia in


alcun modo attribuito ai soci.
La tesi della interpellante consi-
ste nel ritenere che l’annullamento
di tale riserva in sospensione d’im-
posta non provochi alcuna imposi-
zione in capo alla società, mentre
l’agenzia delle Entrate conclude in
senso contrario, con una afferma-
zione perentoria, ma francamente
arida di valide argomentazioni.
Il punto centrale che induce
l’Agenzia a ritenere che l’utilizzo
del saldo attivo a copertura di per-
dite generi tassazione è rinvenibi-

le nell’articolo  della legge
/, il quale stabilisce che il
saldo attivo da rivalutazione deve
essere imputato al capitale sociale
o accantonato in una apposita ri-
serva, con «esclusione di ogni di-
versa utilizzazione» e proprio tale
ultimo inciso pare l’elemento fon-
dante a sostegno della tassazione,
sebbene tale ricostruzione non
convinca del tutto.

Norme ambivalenti
Le norme sulla rivalutazione dei
beni d’impresa presentano da
sempre una doppia accezione ci-
vilistica e fiscale, e l’articolo 
della legge / non fa ecce-
zione: come emerge da autorevole
dottrina (si veda la circolare Asso-
nime /, paragrafo ) i pri-
mi due commi presentano dispo-
sizioni di carattere civilistico
mentre gli altri quattro legiferano
in ambito fiscale.
Quando, nel comma , si affer-
ma che è esclusa ogni diversa de-
stinazione della riserva (rispetto
all’allocazione al capitale o iscri-
zione nel netto) lo si fa in ambito
civilistico per affermare che al sal-
do attivo è assegnato lo stesso re-
gime vincolistico del capitale so-
ciale, ma è solo leggendo il comma
 – dove sono descritte le condizio-
ni per tale utilizzo – che emerge,
per tabulas, che il saldo attivo è
utilizzabile a copertura di perdite

(anche in mero ambito civilistico).

La distribuzione ai soci
Fin qui nulla questio in ambito fi-
scale, ambito, invece, di cui si occu-
pano i commi  e seguenti laddove
l’unica ipotesi di tassazione della
riserva è la distribuzione ai soci,
come conferma la citata dottrina
(pagina ): «La cessazione della
sospensione d’imposta dipende
esclusivamente dalla distribuzione
ai soci». Pertanto altri utilizzi della
riserva, quali la copertura di perdi-
te, non rientrano tra quelle sogget-
te a imposizione.
Se così non fosse, non si com-
prenderebbe, peraltro, la ratio del
comma , per la quale la concorren-
za al reddito imponibile della socie-
tà si ha con la sola distribuzione.
Nella stessa direzione si muove an-
che il decreto attuativo  del 
che nell’articolo  recita testual-
mente: «Nelle ipotesi indicate nell’
articolo , comma , della legge, il
saldo aumentato dell’imposta so-
stitutiva concorre a formare la base
imponibile della società o dell’ente
ai soli fini delle imposte sul reddi-
to». La lettura delle norme confer-
ma, dunque, che l’unica fattispecie
di tassazione del saldo attivo è quel-
la del comma  dell’articolo , la
distribuzione ai soci, mentre nes-
sun richiamo esplicito è previsto ad
altre ipotesi di utilizzo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Saldo attivo


PAROLA CHIAVE


Il saldo attivo è la conseguenza
contabile, cioè il maggior valore che
si genera sui beni materiali ed
immateriali inclusi nella procedura
di rivalutazione. In pratica, tale
maggior valore viene iscritto quale
posta del patrimonio netto, o
apposita riserva o addirittura
direttamente imputato ad aumento
del capitale sociale. In questo senso
il saldo attivo assume lo stesso
regime vincolistico del capitale
sociale nel caso in cui sia utilizzato a
copertura di perdite tale per cui
occorre una delibera di assemblea
straordinaria per azzerare
definitivamente la riserva stessa.

1


Nel regime di sospensione di
imposta alcune riserve
presenti nel patrimonio
netto assumono la
denominazione fiscale di
“sospensione d’imposta”.
Questo status comporta la
particolare caratteristica
che se la riserva è attribuita
ai soci o al titolare scatta la
tassazione in capo alla
società o alla impresa che
vede incrementato il proprio
imponibile. Nell’ambito delle
società di capitali, poi si ha
un ulteriore effetto che la
genesi di un dividendo
tassabile in capo al socio,
quale reddito da capitale.

LE CONSEGUENZE TRIBUTARIE

SOSPENSIONE D’IMPOSTA

2


’Il saldo attivo da
rivalutazione può essere
utilizzato per copertura
perdita ma è necessario
seguire alcune regole
stabilite dall’articolo 13
comma 2 della legge
342/2000: se la copertura è
stata eseguita previa
verbale di assemblea
ordinaria non sarà possibile
distribuire utili fino a
quando la riserva non sarà
stata ricostituita, se invece
si vuole azzerare per sempre
tale riserva è necessario
deliberarne l’utilizzo con
verbale di assemblea
straordinaria.

COPERTURA PERDITE

3


Mentre il saldo attivo che
deriva da rivalutazione
eseguita quale deroga ai
principi di bilancio per caso
eccezionale ( articolo 2423,
comma 5 del Codice civile)
non è distribuibile ai soci se
non dopo aver recuperato il
maggior valore iscritto ( per
vendita o conclusione del
processo di ammortamento),
non vi sono vincoli civilistici
alla distribuzione del saldo
attivo da rivalutazione
monetaria, cioè rivalutazione
disposta da una specifica
legge, salvo tener presente le
conseguenze fiscale
di tale scelta.

DISTRIBUZIONE AI SOCI

BENI D’IMPRESA


Quando l’operazione può


generare riserve «libere»


Rilevano le rivalutazioni


solo civilistiche o eseguite


da imprese semplificate


Il saldo attivo da rivalutazione dei
beni d’impresa con rilevanza fi-
scale assume sempre la connota-
zione di riserva in sospensione
d’imposta. Tale dizione significa
che – fintanto che essa giace nel
patrimonio netto – non si genera
alcuna tassazione, mentre se vi
fossero utilizzi per distribuzione
ai soci scatterebbe il presupposto
impositivo, prima di tutto quale
incremento di imponibile della
società erogante, e, in seconda
battuta, anche in capo ai soci qua-
le dividendo.
In realtà non tutte le riserve in
sospensione d’imposta generano
tassazione solo per distribuzione
ai soci: in questo senso si distin-
gue la cosiddetta “sospensione
moderata“ (tassazione solo per
distribuzione ai soci) dalla “so-
spensione radicale” (tassazione
per ogni ipotesi di utilizzo). Il
saldo attivo da rivalutazione, a
parere di chi scrive, rientra nella
categoria delle riserve in sospen-
sione d’imposta moderata, quin-
di tassabili solo in caso di distri-
buzione.
La qualifica di riserva in so-
spensione d’imposta può non


sussistere se contemporanea-
mente all’esecuzione della riva-
lutazione la riserva stessa è sta-
ta affrancata con versamento di
imposta sostitutiva: in tal caso
essa si presenta come una nor-
male riserva di utili distribuibili
senza conseguenza impositive
(se non, ovviamente, la tassa-
zione in capo ai soci quale divi-
dendo).
Va rimarcato, tuttavia, che
l’affrancamento da rivalutazio-
ne può essere eseguito solo in
concomitanza con la rivaluta-
zione stessa, mentre se la rivalu-
tazione fosse eseguita in un cer-
to periodo d’imposta, senza af-
francare la riserva, l’affranca-
mento non potrà avvenire
successivamente tranne che non
sia promulgata una specifica
norma di affrancamento gene-
ralizzato delle riserve in sospen-
sione, come avvenne con la leg-
ge /.
Ma non sempre il saldo attivo
da rivalutazione si qualifica come
una riserva in sospensione d’im-
posta. In questo senso vi sono al-
meno due casi in cui la riserva è
libera:





la rivalutazione dei beni im-
mobili prevista dal Dl
/ è stata eseguita solo in
ambito civilistico senza ottenere
il riconoscimento fiscale: in tal
caso il saldo attivo è una riserva di

utili tassabile solo in capo ai soci
se distribuita (circolare /,
paragrafo ), mentre non è tassa-
bile in alcun caso se l’impresa è
una ditta individuale o una socie-
tà di persone (circolare /,
paragrafo );





la rivalutazione dei beni
d’impresa in genere (non
solo degli immobili) è stata ese-
guita quando l’impresa era in
contabilità semplificata e succes-
sivamente essa adotta la contabi-
lità ordinaria iscrivendo il saldo
attivo nel patrimonio netto: an-
che in questo caso la riserva è da
intendersi non in sospensione
d’imposta bensì quale semplice
riserva di utili (circolare /).
Al contrario quando la rivalu-
tazione è stata eseguita in vigenza
del regime di contabilità ordina-
ria, un eventuale passaggio alla
contabilità semplificata ne deter-
mina la rilevanza fiscale con in-
cremento dell’imponibile a causa
della sopravvenuta impossibilità
di monitorare il patrimonio netto.
La medesima conseguenza ri-
sulta applicabile quando una im-
presa che ha eseguito la rivaluta-
zione in regime di contabilità or-
dinaria cessa successivamente
l’attività: la riserva si intende at-
tribuita al socio o titolare con
conseguente tassazione in capo
alla società/impresa individuale.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Sulle supersocietà di fatto


test di esistenza nei tribunali


DIRITTO COMMERCIALE


La Cassazione ha aperto
alle società di capitali
ma i giudici sono divisi

Luca Boggio

Giudici di merito divisi sulle prove
dell’esistenza di una supersocietà
di fatto. Nelle prime sentenze suc-
cessive alla pronuncia della Cas-
sazione (sentenza /)
che dava il via libera alle società di
fatto partecipate da società di ca-
pitali, i tribunali assumono posi-
zioni opposte.
Con la riforma societaria del
 e la modifica dell’articolo
 del Codice civile fu superato
il precedente orientamento delle
Sezioni unite della Cassazione ri-
guardo all’illegittimità della par-
tecipazione di società capitalisti-
che a quelle personali (Cassazione
/). Per effetto di tale
cambiamento, la prima sezione
della medesima Corte ha sancito
poco più di dieci anni dopo la ri-
forma la configurabilità di una so-
cietà di fatto anche partecipata da
società capitalistiche (la cosiddet-
ta supersocietà), giungendo ad af-
fermarne la fallibilità e, per questa
via, a pronunciare il fallimento
delle partecipanti in estensione ai
sensi dell’articolo , quinto
comma della legge fallimentare
una volta accertata l’insolvenza
della supersocietà di fatto (Cassa-
zione /). Soltanto nel
corso del  sono state deposi-
tate le prime sentenze di fallimen-

to delle società di capitali parteci-
panti alla supersocietà alla luce
del nuovo orientamento della Su-
prema corte.
Per quanto poche siano le de-
cisioni si può registrare già
l’emergere di due opposti ap-
procci, che non troveranno com-
posizione neppure nel dettato del
Codice della crisi.
Secondo un primo orienta-
mento, accolto dal Tribunale di
Bergamo con una sentenza depo-
sitata il  dicembre , l’utilizzo
di risorse di un’impresa (indivi-
duale) per far fronte ad obbliga-
zioni assunte da una società di ca-
pitali, in un contesto in cui sia ap-
palesata ai terzi la confusione in
ordine ai soggetti giuridici desti-
nati a rendersi titolari di rapporti
commerciali e sia stata manifesta-
ta a costoro la volontà della prima
di estinguere tutti i debiti della se-
conda, sarebbero elementi decisi-
vi per la prova dell’esistenza della
supersocietà.
Opposta è l’impostazione se-
guita del Tribunale di Prato in due
successivi decreti di rigetto della
dichiarazione di fallimento di due
pretese supersocietà del ° agosto
 e del  dicembre . Infat-
ti, i giudici toscani hanno adottato
in più circostanze una lettura
maggiormente restrittiva delle
statuizioni della Corte di cassazio-
ne in ordine all’accertamento del-
l’esistenza di una supersocietà
partecipata anche da società di ca-
pitali. Nonostante le partecipanti
avessero avuto «continui rapporti
commerciali», si fossero «emesse
vicendevolmente numerose fattu-
re» e «le rispettive partite venisse-

ro poi chiuse mediante giroconti
e/o compensazioni» o «in alcuni
casi con movimenti per cassa», sa-
rebbe necessaria la prova rigorosa
dell’affectio societatis ossia della
volontà di dar vita a un soggetto
autonomo organizzato per pro-
durre un utile proprio e distinto da
quello delle partecipanti.
Al di là dell’apprezzabile mag-
gior rigore invocato dal Tribuna-
le di Prato, il punto fondamentale
è che il ricorrere di una superso-
cietà può dirsi accertato soltanto
se confusione di patrimoni, in-
ganno dei terzi e volontà dei par-
tecipanti realizzino la creazione
di un distinto centro di interessi,
separato dai soggetti che vi par-
teciperebbero, il quale costitui-
sca un nuovo soggetto di diritti,
come tale, esercente attività
d’impresa e quindi fallibile. No-
nostante le incertezze dianzi se-
gnalate che caratterizzano la giu-
risprudenza successiva alle citate
decisioni della Corte di cassazio-
ne, il nuovo articolo  del Codi-
ce della crisi non risolve il contra-
sto emerso nella giurisprudenza
pratica, avendo lasciato sostan-
zialmente invariato il dettato le-
gislativo. Infatti, il quinto com-
ma, letto con attenzione, affronta
soltanto il diverso problema della
società occulta che eserciti la me-
desima impresa, trascurando la
fattispecie della supersocietà che
eserciti invece un’altra impresa.
Dunque, le attuali incertezze ri-
schiano di perpetuarsi, se le futu-
re decisioni non si allineeranno al
più rigoroso approccio indicato
dalla stessa Corte di cassazione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

LE DEFINIZIONI

1. Società di fatto
Anche a prescindere da un
accordo espresso fra le parti,
v'è rapporto sociale
di fatto nel caso in cui manchi
la prova scritta della
costituzione del rapporto,
peraltro non
richiesta dalla legge ai fini
della sua validità.
2. Società occulta
Il rapporto sociale è occulto
quando, pur esistendo anche
solo di fatto, non venga
esteriorizzato nei rapporti
con i terzi.
3. Società apparente
Ricorre una società solo
apparente quando, non esistendo
neppure di fatto, sia esteriorizzato
un rapporto di natura societaria
nei confronti dei terzi.
4. Società irregolare
È irregolare la società che,
anche se costituita per
esplicito accordo scritto, non
sia stata registrata.
5. Supersocietà di fatto
È la società di fatto tra società,
anche di capitali, o tra società
di capitali e persone fisiche.

Free download pdf