la Repubblica - 30.07.2019

(ff) #1
na decina di an-
ni fa sono stata
invitata in un li-
ceo romano a
parlare dei clas-
sici. Non ricor-
do se avevo scel-
to Ovidio o Petronio, ma non è
importante. L’incontro – accura-
tamente preparato dagli inse-
gnanti – fu vivace, la partecipa-
zione degli studenti incorag-
giante. Ma è solo alla fine, quan-
do la prossemica si scompiglia e
gli studenti si avvicinano all’au-
tore per rivolgergli una doman-
da che si vergognerebbero di
porre ad alta voce davanti ai
compagni, che le battute del co-
pione saltano e il dialogo diven-
ta autentico. La sedicenne si chi-
na in avanti e mi chiede di fir-
marle la copia di un mio roman-
zo, premettendo che è per la ma-
dre. Bisbiglia che glielo ha fatto
leggere, e le è piaciuto. Però ha
dovuto tenere vicino il vocabo-
lario, come quando studia ingle-
se. Perché la metà delle parole
non le capiva. Sto firmando la
dedica, ma mi interrompo, stu-
pita. La guardo. Quel liceo è fre-
quentato dai figli della borghe-
sia – dirigenti, politici, alti fun-
zionari, avvocati. Non si tratta
quindi di svantaggio sociale, ca-
renze formative, marginalità. E
nemmeno di distrazione digita-
le (gli smartphone cominciano
appena a diventare dispositivi
essenziali). Che genere di paro-
le? chiedo (il romanzo in que-
stione è ambientato ai giorni no-
stri, a Roma, non mi pare con-
tenga parole “difficili”). Boh,
non gliene viene in mente nes-
suna. Lo sfoglio insieme a lei, in-
curiosita. Ad apertura di pagina
ne trova tre. Epiteto, scherno, ri-
badire. La lingua italiana è di-
ventata una lingua straniera.
Per questo i risultati dei fami-
gerati test Invalsi mi sono sem-
brati perfino discreti. Da più di
vent’anni frequento le scuole
italiane di ogni grado (dalle pri-
marie agli istituti tecnici, allo
scientifico) e livello – didattico,
culturale, sociale e architettoni-
co: dai casermoni fatiscenti nel-
le periferie della mia città agli
edifici modernissimi nelle pro-
vince del Veneto. Mi sono sedu-

ta in aule abitate da alunni di
venti nazionalità diverse e altre
nelle quali i cognomi del regi-
stro erano tutti noti. Sono quin-
di una testimone e non una pro-
tagonista di questo psicodram-
ma nazionale. Ho la fortuna di vi-
vere ore quasi spensierate coi ra-
gazzi e di non doverli costringe-
re a seguire il programma o in-
terrogarli. L’esperienza persona-
le mi ha edotta sul delirio buro-
cratico, il precariato, le carenze
di organico e di risorse, le parole
belle e vuote delle carte dei dirit-
ti e le sciagurate riforme, ma
non mi permetto di esprimere
sentenze o vaticini. Ne registro
però le conseguenze, anno do-
po anno e ormai generazione do-
po generazione.
Quando una struttura implo-
de, l’edificio resta in piedi, e può
sembrare perfino solido, ma le
pareti sono destinate a franare,
le fondamenta sono squassate,
e ciò che resta è un simulacro.
La scuola di oggi ha qualcosa di
spettrale, anacronistico e in
qualche modo commovente. Un
simulacro identico a ciò che fu,
nel quale si agitano, con abnega-
zione e dedizione al martirio, in-
segnanti di coscienza netta e
buona volontà. Circondati però
da macerie, fanti nella trincea
abbandonati o sabotati dai loro
comandi. Il destino dei ragazzi è
affidato prima alla casta d’origi-
ne della famiglia, come tutti i
commentatori hanno già nota-
to, e quindi al caso. Un insegnan-

te valido può infondere in loro
una scintilla – di conoscenza,
quanto meno – altrimenti saran-
no stati solo anni di parcheggio.
Ma i ragazzi stessi cominciano a
non poter più cogliere nemme-
no quell’opportunità. La peggio-
re catastrofe infatti non è che l’i-
taliano sia per loro una lingua
straniera (lo è sempre stata), e
che la matematica resti un privi-
legio geografico: è che nessuno


  • né i ragazzi né i loro genitori –
    crede più che la scuola serva a
    qualcosa.
    L’Italia è stata una nazione
    giovane, spinta dalla forza lavo-
    ro dei suoi abitanti, poveri e in-
    catenati all’ignoranza: nel 1861,
    al momento dell’Unità, il 74%
    della popolazione era analfabe-
    ta. I padri della nazione erano
    convinti che solo la scolarizza-
    zione avrebbe portato sviluppo
    economico: i dati che decennio
    dopo decennio confermavano
    la diminuzione di quella percen-
    tuale che ci infamava tra le na-
    zioni civili d’Europa hanno ac-
    compagnato l’effettiva moder-
    nizzazione del Paese. Ma dietro
    quei dati statistici c’era una spe-
    ranza reale. Il mio bisnonno
    analfabeta spronava il figlio a
    studiare (benché poi dovette far-
    lo emigrare dopo la seconda ele-
    mentare) perché sapeva che se
    avesse saputo leggere e scrivere
    avrebbe avuto una vita migliore
    della sua. Questa certezza non
    era un’opinione, ma un fatto
    che ha cambiato la storia di mi-


©RIPRODUZIONE RISERVATA

di Francesco Merlo

E la chiamano


estate


questa estate


senza letture


La carezza


U


R


icordate che, nel tempo prima
di Greta, dicevamo: «Ne
approfitterò dell’estate per i libri, i
film, la musica»? Non esistono più i
libri per l’estate, meno che mai se
parlano dell’estate, sia quelli che
«in estate ricomincia la vita» come Il
Grande Gatsby sia quelli dove
l’estate è lo spaesamento della vita
come Lo straniero che, con i 45
gradi di oggi, non riuscirebbe più a
seppellire la madre, farsi
un’amante, commettere un delitto.
Nell’immobilità del corpo, tipica
della morte, non c’è racconto che si
possa leggere, né Alaska che ci
agghiacciava con i suoi serial killer
nel gelo né Smilla che ci regalava
brividi in spiaggia con il suo senso
della neve. E non c’è canzonetta che
si possa ascoltare, né Summertime
né Sapore di sale, se non in auto con
l’aria condizionata, perché musica e
caldo si accoppiavano bene solo
quando le serate, dopo un giorno
ardente di sabbia, prendevano il
passo dolce del Sogno di un notte di
mezza estate. Addio estati che
vivevamo come leggere primavere
affrontando i focosissimi tori, sia
pure letti in bagno, di Un’estate
pericolosa di Hemingway ormai
ridotto come canta Conte a «una
nostalgia al gusto di Curaçao».
Stordita da un’afa ben più violenta
della Vampa d’agosto di Camilleri,
non può farcela la testa che sogna
solo di rinfrescare il corpo nel Mare
colore del vino e non in questa
brodazza marrone. Il caldo non ci
piace più nemmeno nella metafora
di Marilyn Monroe. L’incendio,
senza la sensualità di Mario Soldati,
è stato il protagonista di un luglio
che in Europa ha bruciato tutto,
boschi e lidi balneari. Neppure
Moby Dick si poteva leggere, a meno
di non barricarsi con il
climatizzatore acceso e non uscire
mai se non, come suggerisce Ismael,
per trafiggersi sulla spada di Catone
o per gettarsi in mare a caccia della
medusa bianca, tra migliaia di
meduse colorate, fosforescenti e
spietate che fanno odiare
Caravaggio e Rubens. E gli
improvvisi e furiosi temporali, che
una volta segnavano la fine
dell’estate, ora invece ne fanno
parte e fanno scappare la gallina de
La quiete dopo la tempesta
disarmando persino Leopardi. È
difficile credere che negli auricolari
della gente in fuga da Fiumicino,
Arezzo, Bolzano, mentre il
maltempo caldo uccideva,
rimbombassero i tuoni e i lampi
della Sesta di Beethoven con il
temporale dei timpani, delle
trombe, dei tromboni. Una
settimana prima altre tempeste da
caldo avevano prodotto nello stesso
11 luglio i fuochi di Fahrenheit 451 e
la grandine di pietra de La lunga
marcia di Stephen King. E se una
volta in città, nel «pomeriggio
troppo azzurro», nascevano cattivi
pensieri e accidia, oggi per La
strada di McCarthy fermenta la
spazzatura e nel Giorno di ordinaria
follia scoppiano i cervelli, non solo
quelli già instabili dei drogati ma
anche quelli che interrogano gli
accoltellatori nella Calda notte del
carabiniere Tibbs. Eppure un tempo
si leggeva d’estate, nel mondo
prima di Greta.

di Melania Mazzucco


il nuovo analfabetismo

L’italiano è diventato


una lingua straniera


I padri della nazione erano convinti che solo la scolarizzazione


avrebbe portato lo sviluppo economico. Ma oggi nessuno lo pensa più


La scuola
di adesso ha
qualcosa
di spettrale e
commovente
insieme. Un
insegnante
valido può
infondere
nei ragazzi
una scintilla
ma loro
cominciano
a non poter
nemmeno
più cogliere
una simile
opportunità

Il dibattito
Dopo i test
Invalsi

Melania
Mazzucco
(foto)
interviene nel
dibattito sulle
difficoltà di
apprendimento
degli studenti,
su cui hanno già
scritto Silvia
Ronchey,
Carofiglio,
Affinati,
Pennacchi, Auci,
Recalcati, Asor
Rosa, Ceravolo

pagina. (^30) Cultura Martedì, 30 luglio 2019

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