la Repubblica - 01.08.2019

(ff) #1
di Gabriella Colarusso

Nell’agosto del 2015, Ayman al-Zawa-
hiri, il medico egiziano che dalla mor-
te di Osama Bin Laden guida al Qae-
da, presentò ai seguaci dell’organiz-
zazione jihadista un giovane uomo,
«un leone dalla tana», lo definì, desti-
nato a diventare uno dei leader del
gruppo terrorista: era Hamza Bin La-
den, il figlio di Osama Bin Laden.

Quattro anni dopo, la carriera del
“predestinato” potrebbe essersi con-
clusa senza le glorie immaginate dal
padre, ideologo della jihad globale
contro l’Occidente. Hamza sarebbe
morto, scrive l’emittente americana
Nbc, citando tre funzionari dell’am-
ministrazione Usa e informazioni di
intelligence. Le fonti non dicono do-
ve il trentenne sarebbe morto e in
che circostanze. «Non voglio com-
mentare su questo», ha tagliato cor-
to Trump con i giornalisti. Altre volte
in passato sono circolate informazio-
ni sulla sorte di leader jihadisti poi
smentite.
Gli Stati Uniti avevano intensifica-
to la caccia: dallo scorso marzo sulla
testa di Hamza pendeva una taglia
da un milione di dollari del diparti-
mento di Stato, una misura presa do-
po un lungo periodo di silenzio sulla
sorte del giovane, segno che la sua
potenziale leadership era considera-
ta una minaccia crescente. «Probabil-

mente l’intelligence sa che sta succe-
dendo qualcosa», commentò Ali Sou-
fan, ex agente dell’Fbi che per anni
ha indagato su al Qaeda ed è uno dei
massimi esperti mondiali di jihadi-
smo. «Hamza era destinato a seguire
le orme di suo padre», e pronto «a ri-
coprire un ruolo di leadership». La
morte di Bin Laden junior sarebbe
un colpo duro per al Qaeda, un even-
to in grado di influenzare il futuro
dell’organizzazione che compete
con lo Stato islamico per il dominio
sul mondo jihadista.
Che Hamza fosse il “predestina-
to”, l’erede alla guida di Al Qaeda, al-
meno nei piani di Bin Laden, lo rac-
contano gli stessi documenti seque-
strati dai Navy Seals nel covo di Ab-
bottabad, in Pakistan, dove nel 2011
fu ucciso il nemico numero uno
dell’America, responsabile degli at-
tentati alle Torri Gemelle. Tra gli ar-
chivi del leader jihadista svelati dalla
Cia solo nel 2017, c’era anche un vi-

deo del matrimonio di Hamza, appa-
rentemente in Iran, dove si pensa
che il ragazzo abbia vissuto con la
madre almeno fino al 2010 prima di
spostarsi nella provincia pakistana
del Waziristan per addestrarsi. Il
Guardian scrisse che Hamza aveva
sposato la figlia di Mohammed Atta,
uno degli attentatori dell’11 settem-
bre, ma la notizia fu poi smentita dal
fratello. Le poche informazioni sulla
vita di Hamza lo davano ancora al
confine tra Pakistan e Afghanistan
quando a marzo scorso, insieme alla
taglia degli americani, i sauditi deci-
sero di ritirargli la cittadinanza. Nei
suoi pochi messaggi resi pubblici, Ha-
mza aveva esortato i seguaci di al
Qaeda a colpire gli Usa per vendicare
la morte del padre, ma aveva anche
attaccato i sauditi, invitando i popoli
della penisola arabica a ribellarsi, sul-
le orme del padre Osama. È stata la
sua ultima dichiarazione. Era il 2018.
Da allora, silenzio.

A 85 anni dalla morte


Mistero Dillinger


Riesumato il corpo


del gangster-eroe


Il sospetto dei familiari


è che non ci siano


i suoi resti nella tomba


di Indianapolis


che verrà aperta


Il rapinatore fu


ucciso dall’Fbi nel ‘


Trent’anni, secondo


gli Stati Uniti


era pronto ad assumere


la guida di Al Qaeda


Sulla sua testa c’era


una taglia da un


milione di dollari


dalla nostra inviata
Anna Lombardi

new york — L’ultima rocambole-
sca fuga di John Dillinger: dal cimi-
tero. I nipoti, Michael Thompson e
Jeffery Scalf, ne sono convinti. Il
cadavere, che da ottantacinque
anni giace nella tomba di Crown
Hill, a Indianapolis, potrebbe non
essere quello del prozio gangster.
E per scoprire la verità sono pron-
ti a riesumarlo. Perché, secondo la
loro tesi, a essere stato ucciso da-
gli agenti federali davanti a un ci-
nema di Chicago, il 22 luglio 1934,
non sarebbe stato il rapinatore
gentiluomo, così educato da rin-
graziare sempre le sue vittime do-
po essersi impadronito del dena-
ro. Quel “nemico pubblico nume-
ro uno”, secondo la definizione
dell’allora direttore dell’Fbi, John
Edgar Hoover, suo nemico giura-
to. Considerato invece come una
sorta di Robin Hood dai poveri:
per quella sua abitudine, nel pie-
no della Grande Depressione, di
dar fuoco dopo ogni rapina ai regi-
stri su cui erano annotati debiti e
ipoteche. A morire al suo posto, sa-
rebbe stato un sosia. Un dispera-
to, assoldato per indossare gli abi-

ti del boss, permettendogli di scap-
pare indisturbato.
Per scoprire se le cose andarono
davvero diversamente da come ce
le hanno raccontate, i nipoti han-
no dunque chiamato le ruspe e le
telecamere di History Channel. Il
corpo sarà esumato e analizzato il

prossimo 16 settembre e poi risep-
pellito in giornata, come stabilito
dal giudice che ha rilasciato il per-
messo. Sempre che ce la facciano.
Sì, perché scoperchiare la tomba
potrebbe rivelarsi molto difficile.
La bara è schiacciata da quattro la-
stre di cemento e ferro, messe lì

dalla famiglia. Nel timore che qual-
cuno potesse profanare la fossa o,
piuttosto, per impedire di scopri-
re un’altra verità?
A sostenere che Dillinger non è
morto — perlomeno non quel gior-
no — è una studiosa locale, Susan
Sutton, direttrice del dipartimen-

to di digitalizzazione dell’Indiana
Historical Society. È lei ad aver ri-
lanciato la tesi, sussurrata per an-
ni, secondo cui il gangster amante
della moda, celebre per i suoi abiti
di sartoria e i cappottoni lunghi fi-
no ai piedi, non venne tradito dal-
la prostituta Ana Cumpana, come
si è detto finora. La donna in ros-
so, vestita di colori sgargianti per
meglio farlo identificare dagli
agenti fuori dal cinema dove si
proiettava Manhattan Melodrama,
con Clark Gable e Myrna Loy — sto-
ria di due fratelli, uno gangster e
l’altro poliziotto — in realtà avreb-
be spifferato tutto a John. Permet-
tendogli l’ennesima fuga. Secon-
do la teoria, che però non si fonda
su nessun documento, Hoover,
consapevole del trucco ma non in-
teressato a svelarlo, la punì: rispe-
dendola in Romania.
Dillinger, d’altronde, era un ma-
go della fuga. Evaso nel 1924 dalla
prigione di Michigan City con l’a-
iuto di alcuni uomini della sua
banda, era poi fuggito nuovamen-
te dieci anni dopo — nel marzo del
1934 — dal carcere di Crown Point,
in Indiana. Qui aveva minacciato
le guardie con una pistola finta,
fatta di legno e sapone, allonta-
nandosi con la macchina rubata al
direttore del carcere. Fu proprio
quello smacco, che Hoover non gli
perdonò mai, a scatenare la leg-
gendaria caccia all’uomo, immor-
talata più volte da Hollywood in al-
meno quattordici pellicole. Da Lo
sterminatore del 1945 a Nemico
Pubblico, girato da Michael Mann
nel 2009, con Johnny Depp prota-
gonista. E chissà che film resta an-
cora da girare: se davvero il mitico
gangster riuscì a fuggire anche
dalla sua ultima prigione. Il cimite-
ro.

kIstruito da Osama
Hamza, in alto, e Osama Bin Laden
che lo aveva istruito di persona

“Morto Hamza, figlio di Bin Laden”


Erede designato del nuovo terrore


jIl bandito
Al centro, John Dillinger nel
1934; a sinistra il “wanted”
emesso dalle autorità Usa
nei suoi confronti. Il corpo
del gangster verrà
riesumato per nuove analisi

L’operazione il 16


settembre. Era


considerato un Robin


Hood per l’abitudine


di dare fuoco dopo


ogni rapina in banca


ai registri dei debiti


pagina. (^14) Mondo Giovedì, 1 agosto 2019

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