Internazionale - 19.07.2019

(やまだぃちぅ) #1

L


e orme sono ancora lì, l’impronta a righe
degli stivali di Neil Armstrong incrosta-
ta di polvere. Non c’è atmosfera sulla
Luna, non c’è vento e non c’è acqua. Le
impronte non vengono spazzate via e
non c’è nessuno che le calpesti. Micro-
meteoriti velocissimi, particelle in miniatura che
viaggiano a più di cinquantamila chilometri all’ora,
bombardano continuamente la superficie della Luna,
ma sono così infinitesimali che erodono le cose al rit-
mo più o meno inavvertibile di 0,1 centimetri ogni
milione di anni. Perciò, se non saranno
colpite da una meteora sprofondando
in un cratere, queste impronte dureran-
no per decine di milioni di anni.
Quest’estate ricorre mezzo secolo
da quando Armstrong fece la prima pas-
seggiata lunare della storia, anche se a
livello cosmologico è passato appena
uno schioccare di dita. “L’uomo è sulla
Luna!”, gridò Walter Cronkite al tele-
giornale della Cbs, senza fiato, mentre
il mondo osservava rapito. I ragazzi lon-
tani da casa nei campi estivi marciarono
dalle loro tende nel folto dei boschi fino alle sale men-
sa per crollare seduti davanti al piccolo schermo,
mentre gli istruttori armeggiavano con le antenne
portatili. “È un piccolo passo per un uomo”, fu la frase
immortale pronunciata da Armstrong mentre scen-
deva dalla scaletta del modulo lunare il 20 luglio
1969, “ma un balzo gigantesco per l’umanità”. E poi
posò il suo stivale grigio e bianco nella polvere e lasciò
quella prima impronta.
Cosa resta davvero di quel momento? A cosa ser-
viva la missione? E cosa si lasciava dietro, qui sulla
Terra? Cinquant’anni dopo, inondazioni rese più fre-
quenti dal cambiamento climatico hanno cominciato
a portare via la base da cui fu lanciato l’Apollo 11, il
Kennedy space center in Florida (la Nasa ha spedito
della sabbia per cercare di puntellare le dune devasta-
te), mentre uragani aggravati dall’innalzamento del
livello dei mari minacciano il centro di controllo della
missione Apollo 11, il Johnson space center in Texas.
Houston, abbiamo un problema.
Molta della bellezza, della meraviglia e dell’estati-
co sgomento della spedizione sulla Luna si ricordano
soprattutto guardando le fotografie scattate dagli
astronauti statunitensi con speciali macchine svede-
si, le Hasselblad, usate per la prima volta nel 1962 sul

Mercury 8, che aveva la missione di orbitare intorno
alla Terra. Come spiega la fotografa e curatrice Debo-
rah Ireland in Hasselblad and the Moon landing (Am-
monite 2019), i tre astronauti dell’Apollo 11 Neil Arm-
strong, Buzz Aldrin e Michael Collins dovevano divi-
dersi due Hasselblad. “Accidenti, ridammi la macchi-
na fotografica”, disse Aldrin mentre si avvicinavano
alla Luna. L’immagine iconica della singola impronta
mostra l’orma dello stivale di Aldrin, non di Arm-
strong, e fu Aldrin a scattare la foto di Armstrong che
aveva appena piantato la bandiera degli Stati Uniti,
accanto alla base che chiamarono Tran-
quillity. Collins rimase sul modulo di
comando e servizio, in orbita. “Che stai
facendo, Mike? Cosa fotografi?”, chiese
Armstrong a Collins durante il viaggio
di ritorno sulla Terra, mentre continua-
vano a osservare la superficie lunare.
“Oh, non lo so”, rispose Collins. “Sto
solo sprecando pellicola, probabilmen-
te”. Non fu sprecata. Le foto rimangono
straordinarie.
Eppure, prima del luglio 1969, molti
critici pensavano che l’intero program-
ma fosse uno spreco. Prima dell’allunaggio non ci fu
mai un momento in cui l’opinione pubblica statuni-
tense appoggiasse la missione, racconta Roger D.
Launius, storico della Nasa in pensione, nel suo Apol-
lo’s legacy: perspectives on the Moon landings (Smithso-
nian 2019). Costò 25,4 miliardi di dollari (180 miliardi
di dollari di oggi) e negli anni sessanta era la maggiore
voce di spesa del governo statunitense, fatta eccezio-
ne per la guerra in Vietnam. Malgrado l’indiscutibile
ingegno di tecnici e scienziati e l’intrepido coraggio
degli astronauti, quelli che criticavano la missione
continuavano a definirla uno spreco.
Ma dopo lo strabiliante trionfo dell’allunaggio,
con conseguente dilagare della moda dei moon boot,
sia l’indifferenza generale sia lo scetticismo furono
dimenticati. Li hanno dimenticati anche alcuni di
questi nuovi libri, che sono per lo più celebrativi.
“L’uomo è sempre andato dove è stato capace di
andare”, disse Collins in una sessione congiunta del
congresso degli Stati Uniti nel settembre 1969, e sono
le parole con cui James Donovan sceglie di conclude-
re Shoot for the Moon: the space race and the extraordi-
nary voyage of Apollo 11 (Little, Brown 2019). I primi
libri di Donovan sono fanfaronesche ricostruzioni
della battaglia di Alamo, The blood of heroes, e dell’ul-

Cosa resta del primo uomo


sulla Luna


Jill Lepore


Se non saranno
colpite da una
meteora
sprofondando in
un cratere, le
impronte lasciate
da Neil Armstrong
dureranno
per decine di
milioni di anni

JILL LEPORE
è una storica e
giornalista
statunitense. Insegna
storia all’università di
Harvard. Questo
articolo è uscito sulla
New York Times
Book Review con il
titolo Fifty years ago
we landed on the
Moon. Why should we
care now?


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