Internazionale - 19.07.2019

(やまだぃちぅ) #1

Economia


statistiche commerciali, lavora all’Ocse
da 19 anni. Quando sente parlare delle ir-
regolarità nei dati commerciali, Ahmad
scoppia in una risata amara: “Per noi non
è una novità. I dati sono sempre stati pieni
di incongruenze, probabilmente fin dalla
primissima rilevazione, ma gli effetti della
globalizzazione potrebbero averle accen-
tuate. A questo punto non possiamo più
ignorare il problema”.
Quasi nessun altro conosce le compli-
cazioni legate ai dati commerciali come
Ahmad. Il suo reparto cerca di risolvere la
questione da più di tre anni. Gli statistici
dell’Ocse passano sistematicamente al
vaglio le cifre cercando errori evidenti e,
quando ci sono discrepanze notevoli nelle
rilevazioni fatte da due paesi sui flussi
commerciali reciproci, Ahmad convoca
gli statistici di entrambe le parti per illu-
strargli il problema. Se hanno sospetti sul-
la fonte dell’errore, gli statistici dell’Ocse
suggeriscono anche le possibili vie d’usci-
ta, e Ahmad spera che i paesi si accordino
su una soluzione condivisa. Insomma, gli
errori vanno eliminati uno alla volta, in
lunghe e faticose discussioni.
Non è detto che funzioni subito. Ah-
mad esprime il concetto senza troppa en-
fasi: “La constatazione di incongruenze
non spinge sempre all’azione immediata.
Se per esempio ci sono sostanziali diffe-
renze rispetto al metodo di rilevazione dei
dati, sciogliere le contraddizioni non è fa-
cile”. Se gli errori non sono im-
mediatamente evidenti, gli sta-
tistici dell’Ocse provano almeno
a valutare i dati in base alla loro
affidabilità: se i dati complessivi
di un paese dovessero presenta-
re incongruenze notevoli, allora nel com-
plesso avranno un peso diverso rispetto a
quelli di altri paesi. Non è un metodo per-
fetto, ammette Ahmad, ma almeno è un
modo consapevole di gestire i diversi gra-
di di affidabilità.
Secondo Marcel Timmer, un ricerca-
tore che gestisce una delle banche dati
economiche più grandi del mondo presso
l’università di Groningen, nei Paesi Bassi,
il lavoro di Ahmad e dei suoi colleghi “è di
un altro livello. Già oggi i loro dati sono
molto più affidabili di quelli di chiunque
altro”.
Le ambizioni dell’Ocse vanno ben al di
là dell’eliminazione di qualche errore di
misurazione. La squadra di Ahmad riela-
bora i dati commerciali in modo nuovo. In
una banca dati dal nome un po’ misterioso
di Trade in value-added sono raccolte le
cifre relative ai flussi commerciali di vari


paesi per 36 diversi settori. C’è di tutto, dai
“prodotti chimici e farmaceutici” alle “ap-
parecchiature elettroniche” fino ad “arte,
intrattenimento e altri servizi”. Ecco cosa
ne pensa Ahmad: “Vogliamo, anzi dob-
biamo, capire meglio i flussi commerciali
globali. Qual è il loro andamento oltre i
confini dei singoli paesi? Quante sono le
loro tappe? Chi dipende da chi nell’ambito
del commercio? Che vantaggio ne trae il
singolo paese? Quanto guadagna grazie al
ruolo che svolge nella filiera produttiva?”.

Ahmad e i suoi colleghi cercano di co-
gliere tutte le ramificazioni di un flusso
commerciale globale, non solo l’ultima
ansa. I loro dati non sono attuali, la versio-
ne dell’anno scorso arriva solo al 2015. In
compenso però la qualità è superiore alla
media. E l’Ocse non è l’unica organizza-
zione a cercare nuove soluzioni.

Riunione di crisi
In Irlanda, dopo il balzo in avanti del pil,
un piccolo gruppo di collaboratori del mi-
nistero delle finanze, della banca centrale
e dell’istituto di statistica ha tenuto una
riunione di crisi. Tutti erano
d’accordo sul fatto che il pil non
fosse più rilevante per cogliere
le questioni decisive per il paese,
e alla fine hanno deciso di proce-
dere a un’innovazione senza
precedenti: un nuovo indicatore con cui
ricavare dalle statistiche gli effetti della
globalizzazione. Come sottolinea Michael
Connolly, dell’ufficio statistico irlandese,
serviva semplicemente a integrare tutto
ciò che veniva misurato dal pil, eppure era
una novità di portata storica.
Gli statistici hanno deciso di partire
dal reddito nazionale lordo che, a diffe-
renza del pil, tiene conto solo delle presta-
zioni di aziende di proprietà irlandese. Poi
hanno introdotto un aggiustamento per
escludere gli effetti indiretti della globa-
lizzazione sulle cifre rilevate. Nel nuovo
indice non sono riportati né i profitti fittizi
di Google, Apple e Microsoft in Irlanda,
né quelli dell’industria internazionale del
leasing aereo che, dalla sua sede di Dubli-
no, gestisce aerei in tutto il mondo, spesso
mai entrati nello spazio aereo irlandese. Il
risultato è stata una doccia fredda: il red-

dito nazionale lordo irlandese così modi-
ficato è inferiore al pil di quasi 36 punti
percentuali, cioè 97 miliardi di euro: i mi-
liardi erano 176 invece di 273. Ma gli stati-
stici sono comunque soddisfatti. “Questa
cifra restituisce un quadro molto più rea-
listico dello stato dell’economia irlandese
senza i grandi gruppi internazionali”,
spiega Connolly. “Così riusciamo a capire
quanti debiti possiamo sobbarcarci. Ne
ricaviamo una visione più chiara”. Le di-
storsioni prodotte dalla proprietà intellet-
tuale dei grandi gruppi diventano quanto
meno più evidenti. Dal punto di vista di
Connolly, di più non si può fare.
Per Nadim Ahmad, dell’Ocse, è pro-
prio rispetto alla questione della proprietà
intellettuale che la sua organizzazione fa-
tica a soddisfare tutti. Non è compito suo
mettere in discussione il fatto che alle idee
sono attribuiti un luogo e una nazionalità,
che i brevetti possano cambiare patria. Lo
spiega con un esempio facile: “Immagi-
niamo che io scriva un libro nel Regno
Unito. I diritti d’autore si aggiungeranno
al pil di quel paese. Ma se poi mi trasferi-
sco in Spagna i diritti d’autore passeranno
al pil spagnolo. E in effetti il mio trasferi-
mento in Spagna rappresenta davvero una
nuova realtà economica. È uno sposta-
mento legittimo che va registrato come
tale, indipendentemente dal posto in cui
l’opera ha avuto origine”.
Quando però trasloca non uno scritto-
re ma una multinazionale con decine di
migliaia di collaboratori in tutto il mondo,
la questione è più complicata. Secondo
Ahmad, il nocciolo del problema è che il
concetto di proprietà intellettuale esiste e
non può semplicemente essere cancella-
to. Quindi l’Ocse non può ignorarlo.
“Certe distorsioni sono diventate ine-
vitabili, visto l’attuale peso della proprie-
tà intellettuale”, spiega Ahmad. “Il nostro
compito è renderle visibili. Dobbiamo
contribuire a rendere comprensibili e in-
terpretabili i dati. Disaggregando i dati
della crescita economica irlandese, per
esempio, si capisce che il balzo in avanti
ha avuto origine in un punto ben preciso
del sistema economico e che è dovuto a
multinazionali che hanno in Irlanda il lo-
ro quartier generale e ricavano profitti
principalmente dall’uso della proprietà
intellettuale”.
Quand’è possibile, Ahmad e i suoi col-
leghi correggono gli errori. E quando le
distorsioni sono inevitabili, le spiegano
invece di ignorarle. La speranza è di riu-
scire a rendere più comprensibile un mon-
do diventato più complesso. u sk

Gli statistici dell’Ocse


passano al vaglio le
cifre cercando errori

evidenti

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